Termine per Impugnare: Attenzione ai Riti Speciali
Il rispetto del termine per impugnare una sentenza è un caposaldo del diritto processuale penale. Un ritardo, anche di un solo giorno, può comportare conseguenze irreversibili, come la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sulla non applicabilità della proroga di quindici giorni in casi specifici, legati ai riti speciali come il giudizio abbreviato e il procedimento camerale in appello.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato alla Corte di Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello, emessa il 16 ottobre 2023. Per questa sentenza, la legge prevedeva un termine di novanta giorni per il deposito delle motivazioni, con scadenza fissata al 16 gennaio 2024. A partire da tale data, la parte interessata aveva a disposizione quaranta giorni per presentare il proprio ricorso per cassazione.
Tuttavia, il ricorso veniva depositato solo il 14 marzo 2024, ben oltre la scadenza prevista. La difesa sosteneva di poter beneficiare di un’estensione di quindici giorni del termine, ma la Suprema Corte ha rigettato questa interpretazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
Con ordinanza del 27 maggio 2024, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha stabilito che il calcolo del termine non poteva includere l’aumento di quindici giorni previsto dall’articolo 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Il Calcolo del Termine per Impugnare e i Riti Speciali
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione restrittiva della norma che concede un’estensione del termine per impugnare. L’articolo 585, comma 1-bis, c.p.p. prevede una proroga di quindici giorni per l’imputato giudicato in assenza. Lo scopo di questa norma è tutelare il diritto di difesa di chi non ha partecipato attivamente al processo.
La Corte di Cassazione, richiamando un suo precedente orientamento (sentenza n. 49315 del 2023), ha chiarito un punto fondamentale: la nozione di ‘assente’ non è applicabile all’imputato il cui appello sia stato trattato con un procedimento camerale non partecipato, a seguito di un giudizio di primo grado celebrato con rito abbreviato. In questi contesti processuali, la partecipazione dell’imputato è strutturalmente diversa da quella del dibattimento ordinario. Pertanto, l’appellante non può essere considerato ‘assente’ ai fini della proroga dei termini e non ha diritto ai quindici giorni aggiuntivi per l’impugnazione. Il termine ordinario di quaranta giorni, in questo caso, era perentorio e il suo superamento ha reso l’impugnazione irrimediabilmente tardiva.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame ribadisce un principio di rigore formale di estrema importanza per gli operatori del diritto. La gestione dei termini processuali richiede la massima attenzione, soprattutto quando si opera nell’ambito dei riti speciali. La decisione sottolinea che le norme che prevedono eccezioni o proroghe devono essere interpretate in modo rigoroso e non estensivo. Per i difensori, ciò significa calcolare le scadenze con meticolosità, senza fare affidamento su possibili estensioni che, come in questo caso, potrebbero non essere applicabili. L’inammissibilità del ricorso non solo preclude l’esame nel merito delle doglianze, ma comporta anche significative conseguenze economiche per l’assistito, rendendo definitiva la sentenza impugnata.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato depositato oltre il termine perentorio di quaranta giorni previsto dalla legge, che decorreva dalla scadenza del termine per il deposito delle motivazioni della sentenza d’appello.
Per quale motivo non è stata concessa la proroga di quindici giorni del termine per impugnare?
La proroga non è stata concessa perché, secondo la Corte, non è applicabile quando l’appello è trattato con rito camerale non partecipato a seguito di un giudizio abbreviato. In tale contesto, l’imputato appellante non può essere considerato ‘assente’ ai sensi della norma che prevede l’estensione del termine.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23241 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 23241 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN CESARIO DI LECCE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/10/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
GLYPH Ritenuto che il ricorso, depositato il 14 marzo 2024, proposto da NOME COGNOME, è inammissibile, perché proposto oltre il termine per impugnare che, in presenza di sentenza resa il 16 ottobre 2023, con riserva di deposito a giorni novanta e, quindi, scadenza al 16 gennaio 2024, è di quaranta giorni, decorrenti da tale data, tenuto conto, altresì, che in presenza di appello trattato con procedimento camerale avverso sentenza di abbreviato e, quindi, non partecipato l’imputato appellante non può considerarsi assente e, pertanto, non potrà beneficiare de!l’aumento di quindici giorni del termine per l’impugnazione previsto dall’art. 585, comma 1 -bis , cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 49315 del 24/10/2023, L, Rv. 285499);
Considerato che all’inammissibilità dell’impugnazione, emessa con ordinanza “de plano” ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si ritiene conforme a giustizia liquidare come in dispositivo.
P. Q, NOME.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 maggio 2024
Il Presidente relatore