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Termine ordinatorio e misure alternative: la Cassazione

La Corte di Cassazione chiarisce la natura del termine di 45 giorni per la decisione sulle misure alternative alla detenzione. Un ricorso basato sul superamento di tale scadenza è stato dichiarato inammissibile, poiché si tratta di un termine ordinatorio, la cui violazione non invalida la decisione del Tribunale di sorveglianza, che nel caso di specie aveva rigettato l’istanza per l’irreperibilità del condannato.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure alternative: il termine di 45 giorni è ordinatorio

Nel complesso panorama della procedura penale, la gestione dei tempi processuali è cruciale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale riguardo le istanze per le misure alternative alla detenzione, chiarendo la natura del termine ordinatorio di 45 giorni previsto per la decisione del Tribunale di sorveglianza. Questa pronuncia offre spunti essenziali per comprendere come la legge bilancia la celerità del procedimento con la necessità di una valutazione approfondita.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di un condannato a una pena di un anno e un mese di reclusione, il quale aveva presentato istanza al Tribunale di sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare. Il Tribunale, tuttavia, rigettava la richiesta. La decisione si fondava su un’istruttoria che aveva rivelato come il soggetto fosse di fatto irreperibile: risultava sconosciuto all’indirizzo di residenza indicato e il suo difensore si era limitato a riferire che vivesse stabilmente in Francia, senza però fornire alcuna informazione concreta sulle sue attuali condizioni di vita e lavorative.

Il Motivo del Ricorso: la Questione del Termine Ordinatorio

Il difensore del condannato ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza davanti alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 656, comma 6, del codice di procedura penale. Secondo la difesa, il Tribunale non aveva rispettato il termine, definito perentorio, di 45 giorni dalla presentazione dell’istanza per emettere la propria decisione. Il superamento di questa scadenza, a detta del ricorrente, avrebbe dovuto comportare una conseguenza processuale, invalidando di fatto la decisione tardiva.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, fornendo una chiara interpretazione della norma in questione. I giudici hanno spiegato la differenza fondamentale tra un termine ordinatorio e uno perentorio. Un termine è perentorio solo quando la legge prevede espressamente che il suo mancato rispetto comporti la perdita del potere di compiere validamente un atto. Nel caso del termine di 45 giorni previsto dall’art. 656 c.p.p., l’ordinamento non collega alcuna conseguenza di nullità o decadenza al suo superamento.

La Corte ha rafforzato questa interpretazione richiamando una precedente e autorevole pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza n. 46837 del 2021), che aveva già qualificato tale termine come termine ordinatorio, la cui violazione non produce effetti invalidanti. La sua funzione è quella di sollecitare una rapida definizione del procedimento, ma non di sanzionare il giudice in caso di ritardo. La decisione del Tribunale di sorveglianza, pertanto, era pienamente legittima, poiché il rigetto non era dipeso da questioni procedurali o temporali, ma dalla carenza dei presupposti sostanziali: l’assenza di un domicilio idoneo in Italia e la mancata collaborazione del condannato nel fornire informazioni essenziali per la valutazione della sua idoneità alla misura alternativa.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio di grande rilevanza pratica. La qualificazione del termine di 45 giorni come termine ordinatorio significa che il condannato non può invocare il solo ritardo del Tribunale di sorveglianza per contestare la decisione. Il focus della valutazione resta saldamente ancorato ai requisiti sostanziali previsti dalla legge per l’accesso ai benefici penitenziari, come la disponibilità di un domicilio idoneo e la dimostrazione di un percorso di reinserimento sociale. La celerità è un obiettivo del sistema, ma non può prevalere sulla necessità di un’accurata istruttoria, specialmente quando, come in questo caso, è la condotta del richiedente a renderla più complessa.

Il termine di 45 giorni che il Tribunale di sorveglianza ha per decidere su un’istanza di misura alternativa è perentorio?
No, la Corte di Cassazione ha confermato che si tratta di un termine ordinatorio. Il suo mancato rispetto non comporta alcuna nullità della decisione o decadenza dal potere di decidere.

Perché il Tribunale di sorveglianza ha rigettato l’istanza nel caso specifico?
L’istanza è stata rigettata nel merito, non per questioni di tempo. Il condannato era risultato sconosciuto all’indirizzo di residenza indicato e non aveva fornito alcuna informazione precisa sulle sue condizioni di vita all’estero, venendo meno all’onere di collaborazione necessario per la valutazione.

Cosa succede se il Tribunale di sorveglianza decide sull’istanza dopo la scadenza dei 45 giorni?
Secondo la sentenza, la decisione emessa dopo la scadenza dei 45 giorni rimane pienamente valida ed efficace. Il superamento del termine non ha conseguenze sulla legittimità del provvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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