Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5148 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5148 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME RaymondCOGNOME nato a Casablanca (Marocco) il 30/07/1960, avverso l’ordinanza del 12/11/2024 del Tribunale di sorveglianza di Milano; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME condannato alla pena di anni 1 e mesi 1 di reclusione per il delitto di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, presentava istanza al Tribunale di sorveglianza di Milano nel novembre 2019, a seguito di notifica dell’ordine di esecuzione emesso dalla Procura generale di Milano, onde ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare.
Il Tribunale di sorveglianza di Milano, con ordinanza del 12 novembre 2024, rigettava l’istanza, rilevando che l’istruttoria compiuta aveva consentito di accertare che il Pascual risultava sconosciuto nel luogo di residenza indicato, e che il difensore del condannato aveva riferito che lo stesso risiedeva stabilmente in Francia, senza, tuttavia, fornire alcuna indicazione circa le sue attuali condizioni di vita.
Il difensore di fiducia di NOME COGNOME Avv. NOME COGNOME ha impugnato l’indicata ordinanza, deducendo violazione di legge processuale penale stabilita a pena di decadenza e, in particolare, dell’art. 656, comma 6, ultimo periodo, cod. proc. pen.: si duole del mancato rispetto del termine perentorio prescritto dalla citata norma, che prescrive che il Tribunale di sorveglianza debba pronunciarsi non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla presentazione dell’istanza.
Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile, rilevando che il termine del quale si discute ha natura ordinatoria, e che la questione di costituzionalità dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. alla quale ha fatto riferimento il ricorrente, che sarà discussa a breve
dalla Corte costituzionale, riguarda il diverso caso in cui, non avendo il Tribunale di sorveglianza deciso sull’istanza di misura alternativa nel termine di quarantacinque giorni, siano sopravvenute, nelle more della decisione, nuovi ordini di esecuzione comportanti il superamento della soglia individuata dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.: questione ben diversa da quella relativa al Pascual, poichØ nel caso in esame il Tribunale di sorveglianza ha respinto l’istanza non per la sopravvenienza di nuovi titoli che hanno comportato il superamento dei limiti di pena eseguibile, ma per l’insussistenza dei presupposti applicativi, non disponendo il condannato di idoneo domicilio in Italia e non avendo fornito alcuna precisa indicazione circa le condizioni di vita e l’attività svolta nel Paese estero nel quale ha richiesto di poter essere ammesso alla misura alternativa, così disattendendo l’onere di collaborazione gravante su colui che invochi l’ottenimento dei benefici penitenziari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile a cagione della manifesta infondatezza del motivo che lo sostiene.
A mente dell’art. 656, comma 6, cod. proc. pen., quando il condannato che debba scontare una pena detentiva ricompresa nei limiti indicati dal precedente quinto comma della medesima disposizione presenti istanza di ammissione ad una misura alternativa alla detenzione, «Il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta».
Com’Ł noto, un termine deve ritenersi perentorio quando l’ordinamento prevede espressamente, nel caso del suo infruttuoso decorso, che il titolare del potere di compiere l’atto consumi, perdendolo, il potere di compierlo validamente; al decorso di un termine ordinatorio non Ł, invece, ricollegata alcuna nullità o decadenza.
Alla mancata adozione della decisione entro il termine dei 45 giorni da parte del tribunale di sorveglianza l’ordinamento non ricollega alcuna conseguenza, sicchØ quello in esame deve certamente qualificarsi come termine ordinatorio; il principio Ł stato recentemente affermato da Sez. U, n. 46837 del 15/07/2021, Scott, Rv. 282225 – 01, nelle cui motivazioni può leggersi che «si tratta di termine ordinatorio, la cui violazione non comporta conseguenze» (§ 4.8), e che «il lasso temporale necessario per giungere al perfezionamento del procedimento e alla effettiva esecuzione delle decisioni adottate può variare in conseguenza del tempo necessario per l’emissione dei provvedimenti del pubblico ministero, per le ricerche del condannato in vista della notifica dei provvedimenti del pubblico ministero e, nel caso in cui l’istanza di concessione delle misure alternative sia stata ritualmente presentata, della tempestività della decisione del tribunale di sorveglianza. Si deve ricordare che, per alcuni passaggi della procedura, la legge stabilisce termini o indica la necessità di una rapida adozione (il pubblico ministero deve promuovere «senza ritardo» l’esecuzione, il magistrato di sorveglianza deve decidere «senza ritardo» sulla liberazione anticipata nei casi previsti dall’art. 656, comma 4-bis, cod. proc. pen., il tribunale di sorveglianza deve decidere entro quarantacinque giorni sull’istanza di concessione delle misure alternative alla detenzione): si tratta, peraltro, di termini ordinatori» (§7.4).
Rimane da osservare che la questione di legittimità costituzionale alla quale il ricorrente ha fatto riferimento, che sarà esaminata all’udienza del 10 marzo 2025, non riguarda direttamente il termine in questione, previsto dall’art. 656, comma 6, cod. proc. pen., della cui natura ordinatoria neppure il giudice rimettente dubita («Il legislatore ha compiuto numerosi interventi in materia tra cui – per quanto ci interessa – l’introduzione: del termine di quarantacinque giorni nell’art. 656, comma 6 del codice di procedura penale , il quale – seppur di natura ordinatoria – ha la fondamentale ratio di accelerare e contingentare i tempi di avvio di una misura alternativa alla detenzione per i soggetti che astrattamente possono usufruirne, ritenendo che il percorso
rieducativo extra-murario possa essere tanto piø efficace quanto piø ravvicinato nel tempo»), essendo stata invocata la censura «dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero disponga sospensione dell’esecuzione anche quando il superamento del residuo della pena sia superiore a quattro anni a causa del mancato rispetto del termine di quarantacinque giorni previsto dall’art. 656, comma 6 del codice di procedura penale in relazione ad una o piø pregresse istanze si ammissione a misure alternative alla detenzione al Tribunale di sorveglianza», nonchØ, di riflesso, «degli articoli 47, commi 1 e 3bis , 47ter ss. legge n. 354/1975, nella parte in cui non prevedono la possibilità di ammissione alle misure alternative rispettivamente dell’affidamento in prova ai servizi sociali e della detenzione domiciliare anche quando – ferma restando la valutazione degli altri presupposti – il superamento del residuo di pena rispettivamente di quattro anni (art. 47, comma 3bis e 47ter , comma 2), tre anni (art. 47, comma 1) e due anni (art. 47ter , comma 3) sia dovuto ai mancato rispetto del termine di quarantacinque giorni previsto dall’art. 656, comma 6 del codice di procedura penale in relazione ad una pregressa istanza di ammissione a misure alternative alla detenzione presentata al Tribunale di sorveglianza».
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di € 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 31/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME