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Termine impugnazione: quando l’appello è tardivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso avverso una condanna per violenza privata, poiché presentato oltre il termine di impugnazione di 45 giorni. La decisione chiarisce che la proroga di 15 giorni, prevista per i giudicati in assenza, non si applica ai procedimenti camerali non partecipati, confermando la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termine impugnazione: il ricorso tardivo è sempre inammissibile

Il rispetto del termine impugnazione è un pilastro fondamentale della procedura penale, la cui violazione comporta conseguenze procedurali irrevocabili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire questo tema, chiarendo un aspetto cruciale relativo ai procedimenti camerali non partecipati e alla decorrenza dei termini per presentare ricorso. Comprendere queste regole è essenziale per garantire la tutela dei propri diritti nel processo penale.

I fatti di causa

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello che, pur riformando parzialmente una decisione di primo grado, aveva confermato la responsabilità di un imputato per il reato di violenza privata. La sentenza d’appello era stata pronunciata il 18 marzo 2024, a seguito di un procedimento in camera di consiglio senza l’intervento delle parti. La motivazione della decisione veniva depositata successivamente, in data 17 maggio 2024.

Contro questa sentenza, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione. Tuttavia, il ricorso veniva depositato solo il 16 luglio 2024, una data che si rivelerà fatale per l’esito dell’impugnazione.

La decisione della Corte sul termine impugnazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per tardività. Il cuore della decisione risiede nel calcolo del termine impugnazione e nell’interpretazione delle norme che lo regolano. La Corte ha stabilito che il termine per presentare ricorso era di quarantacinque giorni, decorrenti non dalla data della pronuncia, ma da quella del deposito della motivazione.

Di conseguenza, il termine finale per l’impugnazione scadeva il 2 luglio 2024. Poiché il ricorso è stato presentato il 16 luglio 2024, risultava irrimediabilmente tardivo. Questo ha portato non solo alla dichiarazione di inammissibilità, ma anche alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.

Le motivazioni

La Corte ha articolato le sue motivazioni su due punti principali.

In primo luogo, ha precisato il dies a quo, ovvero il giorno da cui far decorrere il termine. In base all’articolo 544, comma 3, c.p.p., quando la motivazione non è redatta contestualmente alla decisione, il termine per impugnare decorre dalla data del suo deposito. Nel caso di specie, essendo la motivazione stata depositata il 17 maggio 2024, il termine di 45 giorni (previsto dall’art. 585, comma 1, lett. c, c.p.p.) scadeva il 2 luglio 2024.

In secondo luogo, e in modo ancora più significativo, i giudici hanno escluso l’applicabilità della proroga di quindici giorni prevista dall’art. 585, comma 1-bis, c.p.p. per gli imputati giudicati in assenza. La Corte ha spiegato che un procedimento camerale non partecipato, come quello svoltosi in appello, non equivale a un giudizio in assenza. L’imputato, in questo tipo di rito, non è considerato “assente” perché il processo si celebra senza la fissazione di un’udienza a cui egli avrebbe diritto di partecipare. Pertanto, non può beneficiare della proroga del termine.

Infine, la Corte ha osservato, seppur brevemente, che il ricorso sarebbe stato comunque inammissibile anche nel merito, in quanto si limitava a proporre una ricostruzione alternativa dei fatti senza sollevare censure di legittimità o denunciare un reale travisamento della prova.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce l’importanza cruciale del rispetto perentorio dei termini processuali. Sottolinea come il calcolo del termine impugnazione debba essere effettuato con la massima attenzione, specialmente in relazione alle peculiarità dei diversi riti processuali. La decisione chiarisce in modo definitivo che la proroga dei termini per l’assente non è estendibile ai riti camerali non partecipati, un principio di fondamentale importanza pratica per avvocati e imputati. La conseguenza di un errore in questo calcolo è drastica: la perdita del diritto di impugnare e l’imposizione di sanzioni economiche.

Quando inizia a decorrere il termine per l’impugnazione se la motivazione della sentenza è depositata in un momento successivo alla pronuncia?
Il termine per l’impugnazione, in questo caso di 45 giorni, inizia a decorrere dalla data di deposito della motivazione, come stabilito dall’art. 544, comma 3, del codice di procedura penale.

La proroga di 15 giorni del termine di impugnazione si applica a un imputato il cui appello è stato deciso con rito camerale non partecipato?
No, la proroga non si applica. La Corte ha chiarito che un imputato in un procedimento camerale non partecipato non può essere considerato “giudicato in assenza”, poiché in tale rito il processo si celebra senza la fissazione di un’udienza alla quale l’imputato abbia diritto di partecipare.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene presentato oltre il termine previsto?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per tardività ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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