Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13530 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13530 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LISSONE il 18/08/1964
avverso la sentenza del 15/10/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avvocato COGNOME del Foro di Milano, in difesa di COGNOME che insiste nel motivo di ricorso e ne chiede l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Milano, con il provvedimento di cui in epigrafe, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Milano pronunciata in absentia con lettura del dispositivo il 6 dicembre 2022 (e motivazioni depositate, il 3 febbraio 2023, nel rispetto del termine fissato dal giudice).
Trattasi d’inammissibilità per tardività dell’appello depositato il 3 april 2023, cioè oltre il quarantacinquesimo giorno di cui all’art. 585, commi 1, lett. c, e 2, lett. c, cod. proc. pen., non essendo stato ritenuto operante il disposto di cui al comma 1-bis del citato articolo, in quanto applicabile per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2022.
È stato proposto ricorso nell’interesse di NOME COGNOME fondato su un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), con il quale si deduce la violazione degli artt. 581, comma 1-bis, cod. proc. pen., 89, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2022, sollecitando, in subordine rispetto a una lettura costituzionalmente orientata, una questione di legittimità costituzionale delle dette disposizioni di legge, per violazione degli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.
Il ricorrente si dice consapevole dell’attuale orientamento di legittimità per cui il termine al quale la disciplina transitoria prevista dall’art. 89, comma d.lgs. n. 150 del 2022 ancora l’applicabilità del nuovo regime previsto, per quanto rileva nella specie, dagli artt. 581, comma 1-quater, e 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., va riferito al momento della lettura del dispositivo e non già a quello del deposito della motivazione (Sez. 5, n. 37789 del 03/07/2023, COGNOME, Rv. 285148 – 01).
Si prospetta tuttavia una diversa interpretazione delle citate norme.
Il riferimento della norma transitoria in oggetto alle sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore della riforma, al fine dell’applicabilità del nuovo regime innpugnatorio, dovrebbe intendersi non alla data della lettura del dispositivo bensì al momento del deposito della motivazione. Sarebbe questo difatti il momento in cui sussistono tutti gli elementi previsti dalla legge per la validità della sentenza, come individuati, appunto (anche) nel dispositivo e nella motivazione, dall’art. 546, lett. e) ed f), cod. proc. pen. Peraltro, prosegue, ricorso, dispositivo e motivazione costituirebbero requisiti anche delle pronunce della Corte costituzionale e delle sentenze quali provvedimenti giurisdizionali inerenti altre branche dell’ordinamento giuridico, come emergerebbe dagli artt. 429 cod. proc. civ., 167 d.lgs. n. 174 del 2016, in materia di giustizia contabile,
88 d.lgs. n. 104 del 2020, con riferimento al processo amministrativo, e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, quanto al giudizio tributario.
Diversamente opinando, prosegue il ricorrente sul punto, si accederebbe a una interpretazione della disciplina del nuovo regime impugnatorio destante dubbi di compatibilità con l’art. 111 Cost, quanto alla previsione per cui i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati, oltre che foriero di disparità di trattamento e irragionevole. Si ancorerebbe l’applicabilità della nuova disciplina al momento della lettura del dispositivo laddove, anche con riferimento ad altre branche dell’ordinamento, la motivazione è un requisito di validità della sentenza. Ne conseguirebbe la violazione del diritto di difesa, contratto quanto a termini di proponibilità dell’impugnazione, in ragione della mancata applicazione della sopravvenuta disciplina più favorevole all’imputato. In conclusione, per il ricorso, qualora si aderisse all’interpretazione fatta propria della Suprema Corte, a cui si è rifatto il giudice di merito, la norma sarebbe «affetta da un vizio nell sua formulazione tale da condurre a strutturali travisamenti, suscettibili di provocare una seria compromissione della certezza del diritto, come tale suscettibile di pronuncia di illegittimità costituzionale» (sul punto si cita Cor cost. n. 110 del 2023).
Le parti hanno discusso e concluso nei termini di cui in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile e la prospettata questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata.
L’infondatezza della dedotta violazione di legge è resa manifesta dal mancato confronto del motivo di ricorso con l’assetto interpretativo di legittimità in argomento. Va difatti riferito al momento della pronuncia del dispositivo e non già a quello del deposito della motivazione il termine al quale la disciplina transitoria prevista dall’art. 89, comma 3, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ancora l’applicabilità del nuovo regime previsto, per quanto rileva nella specie, dagli artt. 585, comma 1-bis, e 581, comma 1-quater cod. proc. pen. (quest’ultimo in parte successivamente modificato dall’art. 2, comma 1, lett. o, della legge n. 114 del 2024).
2.1. Il riferimento è a Sez. 5, n. 37789 del 03/07/2023, COGNOME Rv. 285148 – 01, sentenza solo citata dalla difesa che però non considera il sotteso iter logico-giuridico.
La Suprema Corte ha fatto perno sull’interpretazione dell’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2022 che disciplina in via transitoria la materia. Esso stabilisce che: «Le disposizioni degli articoli 157-ter, comma 3, 581, commi 1-ter e 1quater, e 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto. Negli stessi casi si applicano anche le disposizioni dell’articolo 175 del codice di procedura penale, come modificato dal presente decreto».
Rispetto all’attenta conclusione della Procura generale, che per favor individuava il termine ultimo di deposito della sentenza quale soglia temporale di riferimento, la sentenza in oggetto ha evidenziato come la della norma transitoria sia proprio quella di individuare un momento certo, l’opzione per il regime da di riferimento (sul punto si fa anche riferimento alla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022).
A ben vedere, prosegue la Suprema Corte sul punto, l’uso del termine «pronunciare» allude alla lettura del dispositivo e non al deposito della nella necessità di individuare un termine immediatamente certo, che consenta da subito, all’entrata in vigore della disciplina, di verificare a quali processi non debbano essere applicate le nuove norme, da individuarsi in tutte quelle fino a quel momento già «pronuncia». Non essendovi nei profili innovativi della disciplina connessioni con il contenuto della motivazione, peraltro, non è stata ritenuta sussistente ragione di fare riferimento al diverso e successivo momento del deposito della motivazione, che certamente avrebbe creato maggiori incertezze – rispetto al criterio del momento della lettura del dispositivo – dovendo verificarsi caso per caso la scadenza dei impugnationís ratio non lasciando al criterio del tempus regit actum applicare, risultando complesso individuare quale fosse l’actus motivazione, il che ha una sua ratio termini di deposito.
2.2. Deve aggiungersi in questa sede che l’interpretazione per cui il riferimento dell’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2022 alle «sentenze pronunciate» debba essere letto in termini di «sentenze il cui dispositivo sia stato pronunciato», fonda anche su ragioni sistematiche, non considerate dal ricorrente nell’articolazione del ricorso. Esse conducono nell’univoca direzione ermeneutica per cui la «sentenza è pronunciata», informando di sé l’ordinamento giuridico, mediante la «pronuncia del dispositivo» in quanto contenente la statuizione in forma imperativa della decisione deliberata dal Giudice.
Alla fase della deliberazione in camera di consiglio (disciplinata dagli artt. 525 e ss. cod. proc. pen.), volta all’adozione della decisione, segue difatti, ex art. 544 cod. proc. pen., quella della redazione del dispositivo, cioè della statuizione in forma imperativa del decisum, e, solo qualora sia possibile, della
concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata. Seguono poi la pubblicazione della sentenza, mediante lettura del dispositivo e della motivazione, solo se redatta contestualmente a esso (art. 545 cod. proc. pen.), e, in ultimo, il deposito in cancelleria della sentenza, dopo la pubblicazione, se la motivazione è contestuale al dispositivo, ovvero nei termini previsti per la redazione della motivazione dall’art. 544 cod. proc. pen.
La motivazione è dunque requisito di validità della sentenza (art. 546 cod. proc. pen.) che è giuridicamente esistente, cioè è «pronunciata», con la pronuncia del dispositivo, tanto che: per pacifica giurisprudenza di legittimità, i difetto assoluto di motivazione (anche per il caso di sua inesistenza grafica) è causa di nullità di una sentenza (giuridicamente esistente) per violazione di legge, in quanto adottata in violazione degli artt. 546 e 125 cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118 – 01).
È appena il caso di aggiungere che in più parti il codice di rito conferma la suddetta lettura sistematica, tanto con riferimento al giudizio di merito (di primo e di secondo grado) quanto in ordine al giudizio di legittimità. Si vedano, a titolo meramente esemplificativo: l’art. 530, comma 1, per cui «il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo» (al primo comma della detta norma fa poi rinvio anche il successivo comma terzo); l’art. 533, per cui il giudice «pronuncia» sentenza di condanna, con chiaro riferimento alla pronuncia del dispositivo; l’art. 605, con riferimento alla pronuncia della sentenza d’appello (anche nel caso di decisioni assunte in camera di consiglio, artt. 598-bis e 599); gli artt. 615 e 617, che disciplinano le fasi del deliberazione della sentenza di legittimità e quelle, successive, della pubblicazione della sentenza, della redazione della motivazione e del deposito in cancelleria della sentenza.
2.3. L’iter logico-giuridico sotteso alla suddetta lettura sistematica concorre peraltro a dare ragione della manifesta infondatezza della sollecitata questione di legittimità costituzionale degli artt. 585, comma 1-bis, e 89, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui ancorano l’applicabilità della maggiorazione del termine per l’impugnazione nell’interesse dell’imputato giudicato in assenza al momento della pronuncia del dispositivo e non già a quello del deposito della motivazione.
2.3.1. Trattandosi di interpretazione sistematica che, differentemente da quanto dedotto dal ricorrente, muove comunque dall’assunto per cui la motivazione è requisito di validità della sentenza, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 111 Cost., nell parte in cui prescrive che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Parimenti manifestamente infondata è la sollecitata questione con riferimento all’art. 27 Cost., non avendo il ricorrente prospettato, né comunque emergendo, in che termini l’approdo ermeneutico di cui innanzi possa confliggere con i principi costituzionali della personalità della responsabilità penale e dell presunzione di non colpevolezza (e, a fortiori, con i principi costituzionali governanti il trattamento sanzionatorio).
Quanto agli altri parametri invocati (artt. 3 e 24 Cost.) è poi appena il caso di rilevare quanto segue.
La scelta legislativa, interpretata nei termini di cui innanzi, non limita diritto di difendersi mediante la proposizione dell’impugnazione. Essa regola invece solo i tempi del relativo esercizio del diritto in ragione anche della modifica del regime impugnatorio per gli assenti di cui all’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen. nella formulazione, ratione temporis applicabile, introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022. La previsione di tale ultimo articolo è difat retta dalla stessa norma transitoria (l’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2022) ed è quindi applicabile per le sentenze il cui dispositivo sia stato pronunciato prima dell’entrata in vigore del medesimo d.lgs. n. 150 del 2022. Parimenti dicasi quanto al principio d’uguaglianza, nella materia dei mezzi impugnatori. Il termine maggiorato opera difatti con riferimento alle impugnazioni proposte negli interessi di tutti gli imputati che versano nella medesima situazione, in quanto giudicati in assenza con pronuncia del dispositivo antecedente all’entrata in vigore della riforma, e sono soggetti, contestualmente, al nuovo regime impugnatorio delle sentenze emesse in absentia.
Non può dirsi infine irragionevole la scelta del legislatore cristallizzatasi nell norma transitoria in oggetto, a cui è sottesa, come detto, la finalità di individuare un momento processuale certo e facilmente individuabile a cui ancorare l’operatività del nuovo regime impugnatorio, tale non essendo il momento del deposito della motivazione in quanto mutevole. Quanto al parametro in considerazione, è infine appena il caso di evidenziare che, applicando il diritto vivente in materia di successioni di leggi processuali nella materia delle impugnazioni, qualora non vi fosse stata la norma transitoria oggetto d’interpretazione, si sarebbe in via interpretativgi pervenuto:, al medesimo risultato ermeneutico. Ciò in ragione della tutela dell’affidamento delle parti processuali all’immutabilità del regime impugnatorio che sorge con la statuizione in forma imperativa suscettibile d’impugnazione, quindi con la pronuncia del dispositivo (quanto alla rilevanza del principio dell’affidamento in materia, al fine dell’individuazione dell’actus cui fare riferimento per l’individuazione della disciplina processuale applicabile, in assenza di norma transitoria, e al diverso modo di atteggiarsi in relazione all’interesse oggetto di affidamento, si vedano,
ex plurimis, Sez. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537 – 01, Sez. U, n. 38481 del 25705/2023, D., Rv. 285036 – 01, nonché Sez. 4, n. 43729 dell’08/1072024, Jaid, 287127 – 01, e Sez. 4, n. Sez. 3, n. 51557 del 14/1172023, Spina, Rv. 285628 – 01).
2.3.2. Ne consegue dunque la manifestamente infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e dell’ar 89, comma 3, del medesimo d.lgs., per contrasto con gli’artt. 3, 24, 27 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che la maggiorazione di quindici giorni del termine d’impugnazione nell’interesse dell’imputato giudicato in assenza opera solo con riferimento alle sentenze il cui dispositivo sia stato pronunciato dopo l’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 150 del 2022.
In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa d inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 febbraio 2025
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