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Termine impugnazione: errore di calcolo annullato

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza della Corte di Appello che dichiarava inammissibile un appello per tardività. La decisione si basa sulla constatazione di un palese errore di calcolo nel determinare il termine impugnazione. Nonostante le premesse normative corrette, il giudice di secondo grado aveva sbagliato a calcolare la data di scadenza, negando ingiustamente all’imputato il diritto al giudizio di appello. Gli atti sono stati rinviati alla Corte di Appello per la prosecuzione del processo.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termine Impugnazione: Quando un Errore di Calcolo Cambia l’Esito del Processo

Nel diritto processuale penale, il rispetto dei termini è un principio cardine che garantisce certezza e ordine allo svolgimento del giudizio. Tuttavia, cosa succede quando è proprio il giudice a commettere un errore nel calcolare un termine impugnazione? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo scenario, annullando una declaratoria di inammissibilità e ripristinando il diritto di difesa dell’imputato.

I Fatti del Caso: un Appello Dichiarato Tardivo

La vicenda ha origine da una decisione della Corte di appello di Roma, che aveva dichiarato inammissibile, a causa della sua presunta tardività, l’appello proposto da un imputato contro una sentenza di condanna emessa dal Tribunale. Secondo la Corte territoriale, l’atto di gravame era stato depositato oltre la scadenza prevista dalla legge.

L’imputato, ritenendo la decisione ingiusta e basata su un presupposto errato, ha presentato ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione e la violazione delle norme che regolano il calcolo dei termini per l’impugnazione.

Il Calcolo del Termine Impugnazione e l’Errore del Giudice

Il cuore della questione risiedeva nel corretto calcolo del termine impugnazione. La difesa ha evidenziato come la stessa Corte di appello avesse correttamente individuato le norme applicabili:

1. Art. 585, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.: che prevede un termine di 45 giorni per l’impugnazione.
2. Art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen.: che aggiunge un’estensione di 15 giorni qualora l’imputato sia stato dichiarato assente nel giudizio di primo grado.

La somma di questi periodi portava il termine complessivo a 60 giorni. Pur partendo da queste corrette premesse, la Corte di appello era incorsa in un palese errore di calcolo. Aveva infatti concluso che il termine per il deposito scadesse il 15 novembre 2023, mentre, secondo i calcoli della difesa, la data corretta era il 30 dicembre 2023. Di conseguenza, l’impugnazione, depositata il 24 dicembre 2023, risultava pienamente tempestiva.

La Decisione della Corte di Cassazione: la Correzione dell’Errore

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, riconoscendo l’evidente errore materiale commesso dal giudice di secondo grado. Gli Ermellini hanno sottolineato come, a fronte di premesse giuridiche esatte, la Corte di appello fosse giunta a una conclusione errata per un semplice vizio di calcolo, che ha però avuto conseguenze devastanti sul diritto di difesa dell’imputato.

Per questo motivo, la Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata e ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Roma per la celebrazione del giudizio, riconoscendo che l’atto di appello era stato presentato tempestivamente.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione è lineare e ineccepibile. Il provvedimento della Corte di Appello è stato viziato da un “mero errore di calcolo”. Sebbene il giudice di merito avesse correttamente identificato il quadro normativo di riferimento – ossia la somma dei 45 giorni previsti dall’art. 585, comma 1, lett. c) e dei 15 giorni aggiuntivi per l’assenza dell’imputato (art. 585, comma 1-bis) – ha fallito nell’operazione aritmetica per determinare la data finale. Questo errore ha inficiato la validità dell’intera ordinanza, che si fondava esclusivamente sulla presunta tardività del gravame. L’appello, depositato il 24/12/2023, rientrava ampiamente nel termine corretto, che scadeva il 30/12/2023.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio fondamentale: la correttezza delle procedure e il rispetto delle garanzie difensive sono elementi imprescindibili di un giusto processo. Un errore, anche se di natura puramente materiale come un calcolo sbagliato, non può compromettere il diritto di un imputato a ottenere un secondo grado di giudizio. La decisione della Cassazione non solo restituisce all’imputato la possibilità di far valere le proprie ragioni in appello, ma funge anche da monito sull’importanza dell’accuratezza e della diligenza nell’amministrazione della giustizia a tutti i livelli.

Come si calcola il termine per presentare appello se l’imputato era assente al processo di primo grado?
Al termine ordinario, che nel caso di specie era di 45 giorni (art. 585, comma 1, lett. c, c.p.p.), si aggiunge un ulteriore periodo di 15 giorni, come previsto dall’art. 585, comma 1-bis, c.p.p., per un totale di 60 giorni.

Un errore di calcolo da parte di un giudice può rendere nulla una sua decisione?
Sì. Come dimostra questa sentenza, la Corte di Cassazione ha stabilito che il “mero errore di calcolo” nel determinare la scadenza del termine di impugnazione è stato sufficiente per annullare l’ordinanza che dichiarava l’appello inammissibile.

Cosa succede dopo che la Cassazione annulla un’ordinanza di inammissibilità per un errore di calcolo?
La Corte di Cassazione, annullando l’ordinanza, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte di appello di competenza. Questo significa che il processo di appello, precedentemente bloccato, dovrà essere celebrato, in quanto l’impugnazione è stata riconosciuta come tempestiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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