Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23636 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23636 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato in Romania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/10/2023 emessa dalla Corte di appello di Venezia visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Venezia dichiarava la tardività dell’impugnazione proposta nell’interesse di COGNOME NOME, evidenziando come il ricorso era stato proposto oltre il termine di 15 giorni, senza che potesse applicarsi l’aumento del termine di cui all’art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., posto che l’imputato non era stato giudicato in assenza.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l’imputato, nel cui interesse è stato proposto un unico motivo, con il quale si deduce la violazione degli artt. 585, comma 1-bis, 420, 420-bis e 420-ter cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione.
Rappresenta la difesa che l’imputato aveva partecipato personalmente alla prima udienza nel giudizio di primo grado, per poi non comparire in quelle successive, sicchè all’udienza in cui il procedimento era stato definitivo il predetto risultava assente.
Si assume che l’assenza dopo l’iniziale comparizione dovrebbe essere equiparata alla assenza per l’intera durata del procedimento, posto che in entrambe le ipotesi l’imputato è rappresentato dal difensore e si giustifica la necessità di assegnare un termine più ampio – maggiorato di 15 giorni rispetto a quello ordinario – per la proposizione dell’impugnazione.
Il ricorso è stato trattato in forma camerale ex art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente fonda il motivo di impugnazione sulla pretesa equiparazione di situazione processuali che, invero, sono nettamente distinte e diversamente regolamentate.
L’istituto dell’assenza presuppone una verifica circa l’effettiva conoscenza del procedimento, cui non fa seguito, in alcuna delle udienze dibattimentali, la comparizione in udienza dell’imputato.
Diversamente, l’imputato che compare (»pone in essere un comportamento processuale che non consente, neppure nelle successive fasi, di dubitare della conoscenza del procedimento, salva restando la sua volontaria mancata comparizione nel prosieguo del giudizio che, in ogni caso, non comporta la dichiarazione di assenza.
La disciplina dei due istituti è necessariamente diversa e si fonda sulle diverse garanzie volte ad assicurare l’effettiva conoscenza della celebrazione del processo.
Il diverso regime introdotto per la determinazione dei termini per il deposito dell’impugnazione non è in alcun modo legato al fatto che l’imputato sia stata o meno concretamente presente in un’udienza per poi non partecipare alle restanti. L’art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., nell’aumentare di 15 giorni il termine per la proposizione dell’impugnazione nel caso di imputato giudicato in assenza,
ha essenzialmente riconosciuto la necessità di un arco temporale aggiuntivo, in considerazione della correlata previsione, contenuta all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., che richiede anche il rilascio di un apposito mandato ad impugnare.
Nel caso di imputato presente nel giudizio di primo grado, pur se materialmente non comparso all’ultima udienza, la nuova disciplina sulla proposizione dell’appello non richiede il rilascio di uno specifico mandato.
Proprio tale diversità di adempimenti, a seconda che l’imputato sia stato giudicato in assenza o meno, giustifica il riconoscimento, solo nel primo caso, dell’ampliamento del termine per impugnare.
Quanto detto dimostra anche l’infondatezza della presunta disparità di trattamento introdotta dalle richiamate norme, posto che l’aumento del termine per impugnare, riconosciuta solo nel caso di giudizio svolto in assenza dell’imputato, trova fondamento proprio nell’onere ulteriore imposto con il necessario rilascio del mandato ad impugnare.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuaii e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 2 maggio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente