Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18594 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18594 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME (CUI CODICE_FISCALE), nato in Israele il 20/05/1969
avverso la ordinanza del 25/02/2025 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha rigettato l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicata all’estradando NOME COGNOME con ordinanza emessa dalla stessa Corte in data 17 gennaio 2025, a seguito di arresto provvisorio in pari data, in relazione a procedura estradizionale promossa dallo Stato di Israele in base a mandato di arresto emesso il 28 maggio 2024 dal Tribunale di Tel Aviv in ordine ai reati di riciclaggio, falso e frode.
Avverso la ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’estradando deducendo i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo violazione degli artt. 715, comma 6 e 700, comma 1, cod. proc pen.; art. 696 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 16 e 12 della Convenzione Europea di estradizione del 13 dicembre 1957.
Il ricorrente premette che è incontroverso che il mandato di arresto sul quale si basa la procedura estradizionale si individua nell’atto emesso in data 28/05/2024 dal Tel Aviv Magistrate Court di Israele, e che sulla base di detto atto è stato eseguito, in data 17 gennaio 2025, l’arresto provvisorio di NOME COGNOME del quale è stata disposta la convalida con emissione della ordinanza di custodia cautelare in carcere da parte della Corte di appello di Milano.
Tuttavia, alla deduzione difensiva secondo la quale il predetto mandato di arresto non è stato trasmesso con la domanda di estradizione entro il previsto termine di 40 giorni, la Corte di appello di Milano – nel rigettare l’istanza difensiva di revoca per tale motivo – ha opposto due ordini di considerazioni:
la prima attiene alla lingua inglese utilizzata nella documentazione trasmessa dallo Stato richiedente, la quale – sembrerebbe di comprendere dall’ordinanza – impedirebbe ai giudici di entrare nel merito della stessa, dovendosi attendere l’arrivo della versione in italiano;
la seconda attiene alla “inefficacia” dell’istanza difensiva, dal momento che le norme della Convenzione Europea di Estradizione, da integrarsi con quelle codicistiche, non richiederebbero la trasmissione, entro i 40 giorni dall’arresto, del provvedimento di arresto alla base dell’arresto provvisorio.
Ebbene, quanto alla prima considerazione – posta l’affermata necessità della trasmissione dei documenti di cui agli artt. 700 cod. proc. pen. e 12, comma 2, Conv. europea, tra i quali il titolo giurisdizionale straniero restrittivo – non p essere accettata la soluzione consistente nel ritenere l’atto non intellegibile e, al tempo stesso, pretendere di trarne conseguenze sfavorevoli per l’estradando.
Quanto alla seconda considerazione, la Corte di appello ha frainteso la eccezione difensiva allorquando la riferisce alla forma del titolo cautelare emesso dai Giudici israeliani o alla validità della proroga di quest’ultimo, posto che la difes ha eccepito la mancanza sia del titolo originario che di sue eventuali proroghe.
L’equivoco in cui è incorsa la Corte ha fatto sì che fosse del tutto assente la motivazione sulla eccezione difensiva, basata sul concorde disposto, sul punto, degli artt. 12 e 16 della Convenzione europea e degli artt. 700 e 715 cod. proc. pen. in quanto entrambe le fonti richiamano espressamente il mandato di arresto o il provvedimento restrittivo della libertà personale, ricollegando alla sua assenza la decadenza della misura una volta trascorsi 40 giorni.
Ebbene, l’unico provvedimento trasmesso risulta essere quello del 18 febbraio 2025, in realtà successivo all’arresto e del tutto parziale e incompleto, non risultando pervenuta la “descrizione dei fatti di reato” allegata allo stesso, come risulta dall’allegato 8 della richiesta di estradizione, di cui all’allegato 5 al rico Inoltre, risultano trasmessi solo moduli precompilati privi di alcuna utilità.
2.2. Con il secondo motivo violazione degli artt. 714, comma 3, cod. proc pen. e 705, comma 2 lett. a) e c) cod. proc. pen. e 25 Cost.
La necessaria prognosi sull’esito della procedura estradizionale avrebbe dovuto far apprezzare negativamente la pena prevista per i reati per i quali è chiesta, pari a quella massima di 60 anni di reclusione, la quale designa una manifesta violazione del principio di legalità, che si riverbera sull’arrest provvisorio, violandosi i nostri principi costituzionali, senza dimenticare che l’art 78 cod. pen. prevede, nel caso di concorso di reati che la durata massima della pena non superi i 30 anni.
Il Procuratore generale ha prodotto memoria a sostegno del rigetto del ricorso.
La difesa ha depositato memoria difensiva con allegati a sostegno dell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per quanto di ragione e deve essere accolto.
La Corte di appello ha rigettato la istanza di revoca della misura cautelare applicata, a seguito di arresto provvisorio estradizionale, all’estradando affermando l’insussistenza della sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per inerzia dello Stato richiedente in quanto «in base alla nota del Ministero della Giustizia del 20 febbraio 20251.1 con la quale viene comunicato che il “Ministero della giustizia dello Stato di Israele ha presentato la domanda di estradizione” con
l’allegata documentazione nei confronti di NOME deve prendersi atto che risulta rispettato dalla Stato di Israele il termine dei 40 giorni ( decorrente nel caso in esame dal 17 gennaio 2025), come previsto dalla Convenzione di Parigi» ( v. pg. 3 della ordinanza impugnata). Ha, tuttavia, rilevato che «la domanda di estradizione e l’allegata documentazione risultano allo stato trasmesse per conoscenza in lingua inglese e saranno in seguito trasmesse con traduzione in lingua italiana. Dovrà, dunque, attendersi la traduzione in lingua italiana».
Ha poi affermato l’incontroversa sussistenza del requisito di cui all’art. 16, par. 2, della Convenzione di Parigi, secondo il quale “La domanda d’arresto provvisorio indicherà l’esistenza di uno degli atti previsti nel paragrafo 2, lettera a dell’articolo 12 e manifesterà l’intenzione di inviare una domanda d’estradizione; essa menzionerà il reato per il quale l’estradizione sarà domandata, il tempo e il luogo ove è stato commesso e, nella misura del possibile, il segnalamento dell’individuo ricercato”, indicando che il successivo paragrafo 4 dell’art. 16 prevede che “L’arresto provvisorio potrà cessare, se, entro 18 giorni dall’arresto, la Parte richiesta non dispone della domanda di estradizione e degli atti menzionati nell’articolo 12; esso non potrà, in alcun caso, superare 40 giorni dal momento dell’arresto”.
Richiama poi (v. pg. 4, ibidem) l’art. 12 della Convenzione di estradizione (“Documentazione a sostegno”) e a proposito, la Corte censura l’impostazione difensiva assumendo che essa «trascura di considerare che la decisione esecutiva di condanna o di un mandato di arresto o di qualsiasi altro atto avente la stessa forza – dunque il titolo di cattura israeliano – deve corrispondere alle forme prescritte nel diritto interno dello Stato richiedente, e non semplicemente identificarsi con le modalità previste nella procedura dello Stato richiesto. Sicché è ben possibile che nel diritto interno israeliano sia prevista una procedura di proroga dell’efficacia di un mandato di cattura (eventualità ravvisata dalla stessa Difesa)». Infine, richiama – senz’altro – l’art. 13 della convenzione “Completamento d’informazioni”.
3. Costituisce jus receptum che, in tema di estradizione per l’estero secondo la normativa prevista dalla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, la misura coercitiva provvisoriamente applicata ex art. 715 cod. proc. peri. deve essere revocata se, allo scadere del termine massimo di quaranta giorni decorrente dall’arresto, la domanda di estradizione, corredata dai documenti giustificativi, non sia stata indirizzata dal Ministero della Giustizia dello Stat richiedente al Ministero della Giustizia italiano, ovvero non sia stata trasmessa per via diplomatica, a nulla rilevando che nel medesimo termine non sia intervenuta anche l’estradizione (Sez. 6, n. 27719 del 13/03/2019, COGNOME, Rv. 276222), ribadendosi il più risalente orientamento secondo il quale, in tema di estradizione
per l’estero, il mancato arrivo della documentazione allegata alla domanda di estradizione entro il termine di quaranta giorni dall’applicazione della misura cautelare, comporta la revoca del provvedimento coercitivo, senza dispiegare alcun effetto sull’ulteriore corso della procedura estradizionale (Sez. 6, n. 20962 del 13/05/2009, COGNOME, Rv. 244104) chiarendosi che «se si considera poi che anche l’art. 700 c.p.p. prevede espressamente che l’estradizione è consentita solo se alla domanda risulta allegato il provvedimento giurisdizionale che costituisce il titolo giudiziario della richiesta, deve affermarsi che dalla norma convenzionale e dalle norme codicistiche nazionali si evince il principio generale per cui nella procedura estradizionale, quale che sia la situazione procedimentale che le ha dato in concreto origine, non è mai consentito il protrarsi della misura cautelare oltre i quaranta giorni in mancanza dei documenti indicati dall’art. 700 c.p.p. e art. 12, comma 2 Conv. europea, ed in particolare del titolo giurisdizionale straniero restrittivo».
Inoltre, in tema di estradizione per l’estero, l’inosservanza della disposizione contenuta nell’art. 201 disp. att. cod. pen., secondo cui le domande provenienti da un’autorità straniera nonché i relativi atti e documenti sono accompagnati da una traduzione in lingua italiana, non dà a luogo a nullità. Ne consegue che è legittima la decisione favorevole all’estradizione richiesta da uno Stato estero, ancorché la domanda e la relativa documentazione non risultino essere stati tradotti nella lingua italiana, osservandosi che la traduzione degli atti nella sola lingua inglese, in luogo di quella italiana, doveva ritenersi consentita dall’art. 2 della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 (Sez. 6, n. 18306 del 12/03/2004, COGNOME, Rv. 229414) e l’omessa traduzione degli atti trasmessi dallo Stato richiedente non preclude all’autorità giudiziaria italiana di ricorrere all’ausilio di un interprete per colmare le omissioni dell traduzione degli atti utili ai fini della decisione da adottare (Sez. 6, n. 18704 de 18/03/2008, Boldea, Rv. 239678; così anche Sez. 6, n. 24707 del 24/05/2007, Lupan, Rv. 237113).
Rileva questa Corte che, in base ai principi esposti, la questione posta dal ricorrente, incentrata sulla mancata trasmissione del provvedimento coercitivo alla base della domanda estradizionale, risulta aver decisivo rilievo in relazione all’art. 715, comma 6, cod. proc. pen., dovendosi affrontare la valenza della condizione ivi prevista del pervenimento al Ministero degli affari esteri o a quello della giustizia della “domanda di estradizione e i documenti previsti dall’art. 700”, rispetto alla dedotta mancanza in tale documentazione del titolo cautelare del 28 maggio 2024.
Ebbene, in ordine alla esistenza di tale titolo cautelare negli atti trasmessi al
Ministero della Giustizia – di cui alla nota del 20 febbraio 2025 – la ordinanza ha omesso di rispondere.
Non giustifica tale omissione né il generico riferimento al pervenimento della domanda estradizionale al Ministero della Giustizia né la mancata traduzione della
stessa documentazione in lingua italiana; né risulta pertinente al tema devoluto la censura da parte della stessa Corte sulla mancata considerazione difensiva della
corrispondenza dell’atto alle norme di diritto interno della Parte richiedente; come pure risulta eccentrico il rilievo circa la possibile proroga della misura cautelare
da parte della autorità israeliana.
L’avvenuta trasmissione del provvedimento di cattura israeliano del 28
maggio 2024 al competente Ministero italiano, in quanto presupposto della domanda estradizionale è decisiva ai fini della chiesta revoca della misura
custodiale, stante il concorde disposto dell’art. 16, par. 4, della Convenzione e art.
715, comma 6, cod. proc. pen., onde si impone la verifica da parte della A.G. della suo perveninnento al competente Ministero, secondo i principi e modalità prima
richiamati.
L’accoglimento del motivo assorbe quello successivamente proposto, avente comunque ad oggetto questione non devoluta alla Corte di appello.
Ne consegue l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Devono essere disposti gli adempimenti di Cancelleria di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15/04/2025.