Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14043 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14043 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da NOME nato a Mesagne il 22 dicembre 1973 avverso l’ordinanza resa dal Tribunale di Lecce il 29 ottobre 2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Lecce sezione del riesame ha confermato l’ordinanza resa dal GIP del Tribunale di Lecce il 10 ottobre 2024 con cui è stata disposta la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di ten estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso, commesso in danno di un imprenditore.
2.Avverso detta ordinanza propone ricorso l’imputato, tramite il suo difensore di fiducia deducendo:
2.1 Violazione dell’art. 309 comma 10 e 125 cod.proc.pen. poiché il provvedimento impugnato ha indicato nel dispositivo il termine per il deposito della motivazione in 45 giorni, se addurre alcuna motivazione.
In forza dell’art. 309 comma 10 cod.proc.pen. il termine ordinario di deposito del provvedimento del tribunale del riesame è di giorni 30, prorogabile sino a 45 per quelle motivazion particolarmente complesse a causa del numero degli arrestati o della gravità delle imputazioni. La giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha stabilito il principio che il giudice che p la redazione della sentenza ritenga di avvalersi del termine più lungo di cui all’art. 544 comma 3 cod.proc.pen. ha solo l’onere di indicare tale termine nel dispositivo, senza necessità di particolari formule che diano atto della scelta effettuata in relazione alla particolare compless della motivazione.
A giudizio del ricorrente la scelta del termine più lungo nella fase cautelare dovrebbe invece accompagnarsi ad una sia pure stringata motivazione.
L’orientamento che ritiene la questione non rilevante poggia sull’assunto della mancanza di un pregiudizio dei diritti difensivi, ma non considera che le fasi relative all’operatività del tri del riesame sono tassativamente scandite da termini perentori, in quanto espressione della ferma volontà del legislatore di porre limiti ben specifici a situazioni che possono comportare indebite violazioni della libertà personale; inoltre, in caso di dilatazione dei termini deposito della sentenza, gli interessi difensivi non sono mai pregiudicati, atteso il maggio termine per impugnare riconosciuto all’imputato, mentre all’arrestato e al suo difensore non viene riconosciuta una corrispondente estensione dei termini per presentare ricorso per Cassazione e l’impugnazione deve comunque, a pena di inammissibilità, essere depositata entro 10 giorni dall’avviso di deposito dell’ordinanza, anche nel caso in cui il tribunale del riesame sia riservato di depositare la motivazione nel termine straordinario più lungo. Infine, disposizione di cui all’art. 309 comma 10 cod.proc.pen. prevede la possibilità di una proroga del termine entro cui depositare le motivazioni soltanto in due casi tassativi, legati all’elev numero di arrestati e al numero o alla gravità delle imputazioni.
Da questa dizione è agevole desumere che la disposizione non è rimessa alla totale insindacabile discrezionalità del tribunale del riesame, il quale potrebbe estendere il periodo per il deposit delle motivazioni anche per motivi diversi e inespressi.
Nel caso in esame non è possibile comprendere le ragioni che hanno richiesto l’estensione del termine ordinario previsto dall’art. 309 cod.proc.pen. in quanto il numero dei soggett promuoventi istanza di riesame e comunque quelli arrestati non era rilevante e l’imputazione in scrutinio era unica.
Osserva il ricorrente che, in assenza di una valida motivazione circa la necessità di posporre i deposito dell’ordinanza, viene ad essere snaturata la norma e disattesa la volontà del legislatore nella parte in cui espressamente prevede che la dilatazione del termine possa avvenire soltanto per due ragioni, l’elevato numero degli arrestati e il numero e la gravità delle imputazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo di ricorso non può trovare accoglimento, alla stregua della consolidat giurisprudenza di legittimità sul tema, da cui il collegio non ritiene di discostarsi.
E’ stato infatti ripetutamente affermato che il tribunale, il quale per la stesura della motiva di un’ordinanza di misura cautelare di tipo coercitivo adotti un termine superiore ai trenta gi a norma dell’art. 309, comma 10, c.p.p., ha solo l’onere di indicarlo nel dispositivo, sen necessità di particolari formule che diano atto della scelta effettuata in relazione alla partic complessità della motivazione” (così già Sez. 1, n. 11166 del 22/12/2015, dep.2016, Pardo, Rv. 266211 e , di recente, Sez. 6, 31/01/2024, n.11737, Rv. 286203)
Inoltre è stato precisato che in tema di riesame delle ordinanze che dispongono misure coercitive, è insindacabile la decisione da parte del tribunale di disporre di un termine superi a quello di trenta giorni e non eccedente quello di quarantacinque previsto dall’art.309, comma decimo, cod. proc. pen. per il deposito della motivazione, in caso di particolare complessità quest’ultima. (Sez. 2, n. 22463 del 05/05/2016, Prezzavento, Rv. 266897 – 01);
L’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. sanziona, infatti, con la perdita di efficacia dell’ordinan applicativa di misura coercitiva, la sola inosservanza dei termini prescritti per la decisione (di giorni dalla ricezione degli atti) e per il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria ( giorni o, al massimo, quarantacinque giorni dalla decisione), senza imporre al giudice alcun obbligo motivazionale a sostegno del termine più lungo, eventualmente disposto e meramente indicato nel dispositivo della decisione.
La giurisprudenza ha più volte ribadito che, non essendo espressamente prevista alcuna esplicita sanzione processuale in ordine alla mancanza di motivazione, il termine può essere disposto senza alcuna spiegazione e che, all’interno del limite massimo consentito di 45 giorni, sussiste una discrezionalità non sindacabile, che non può essere oggetto di censura.
Questa interpretazione appare corretta perché è legata al dato letterale della norma in questione, che non lascia spazio ad altre possibili letture e , in forza dell’art. 12 Preleggi, essere preferita.
Deve in effetti convenirsi con il ricorrente che la disciplina di cui all’art. 544 cod.proc. spesso richiamata a sostegno di questa interpretazione dell’art. 309 comma 10 cod.proc.pen., in quanto non richiede particolari formule che diano atto della scelta effettuata in relazione a particolare complessità della motivazione della sentenza, prevede tuttavia per le parti del processo un corrispondente maggior termine per l’impugnazione (Sez. 4, n. 6504 del 29/10/1999, dep. 2000, De, Rv. 216687 – 01), mentre ciò non è previsto dall’art. 309 cod.proc.pen.
Ma nel caso delle misure cautelari va considerato che il termine di deposito può essere prolungato di soli quindici giorni rispetto al termine ordinario, sicchè tale differimento deposito risulta molto contenuto, rispetto al termine lungo previsto dall’art. 544 cod.proc.pen
e il suo sforamento comporta la sanzione dell’inefficacia della misura cautelare applicata, a differenza di quanto succede nell’ipotesi di deposito tardivo della motivazione della sentenza.
Non va poi sottaciuto che l’eventuale violazione dei limiti derivanti dall’art. 309 comma 1
cod.proc.pen. potrebbe assumere rilevanza disciplinare, nell’ipotesi in cui comporti un’indebita e ingiustificata compressione della libertà personale dell’indagato.
Tali elementi, che il ricorrente non considera, consentono di ritenere che la possibilità di u breve proroga del deposito della motivazione, in assenza di peculiari formule e del potere di
autonoma impugnazione della statuizione, sia comunque in armonia con la fase cautelare, scandita da termini perentori e ispirata alla
ratio della minore lesione possibile dei diritti
fondamentali dell’individuo.
Per le ragioni sin qui esposte , la censura è infondata.
2.11 rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp.att. cod.proc.pen.
Roma 6 marzo 2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME