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Termine a difesa: Diritto irrinunciabile nel direttissimo

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per furto aggravato perché al primo grado di giudizio, svoltosi con rito direttissimo, era stato illegittimamente negato all’imputato il termine a difesa. Il giudice aveva erroneamente presunto una scelta per il rito abbreviato, mai formalizzata, violando così un diritto fondamentale dell’imputato, come sancito anche dalla Corte Costituzionale. La Suprema Corte ha ribadito che la richiesta di termine a difesa è essenziale per ponderare le scelte processuali e non preclude l’accesso successivo a riti alternativi.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termine a difesa nel rito direttissimo: un diritto che non può essere negato

Nel contesto di un giudizio direttissimo, la richiesta di un termine a difesa rappresenta una garanzia fondamentale per l’imputato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza questo principio, annullando una condanna per furto aggravato proprio perché tale diritto era stato negato. La decisione del giudice di primo grado si basava sull’erroneo presupposto che l’imputato avesse già scelto il rito abbreviato, una circostanza che non si era mai verificata. Questo caso evidenzia l’importanza cruciale del tempo necessario per una ponderata strategia difensiva, anche nei procedimenti più celeri.

I fatti del processo

Un individuo veniva arrestato per furto aggravato e immediatamente sottoposto a giudizio direttissimo. Durante l’udienza di convalida, il suo difensore d’ufficio, appena nominato e senza aver potuto esaminare gli atti, chiedeva un termine a difesa per poter preparare adeguatamente il processo. Il Giudice, tuttavia, respingeva la richiesta, sostenendo che si fosse “già optato per la definizione mediante rito abbreviato”. Questa affermazione si basava sul semplice fatto che l’imputato avesse rilasciato al difensore una procura speciale per il rito abbreviato, senza però aver mai formalizzato la relativa istanza. Nonostante l’immediata eccezione di nullità sollevata dal difensore, il processo proseguiva, concludendosi con una condanna, poi confermata in appello.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della difesa, annullando con rinvio sia la sentenza d’appello sia quella di primo grado. Il fulcro della decisione risiede nel riconoscimento della violazione del diritto di difesa. I giudici hanno chiarito che il rilascio di una procura speciale per il rito abbreviato non equivale alla richiesta formale di accesso a tale rito. Anzi, la procura serve proprio per formalizzare la richiesta in un momento successivo, presumibilmente dopo aver usufruito del termine a difesa per valutare la strategia più opportuna.

Le motivazioni: il diritto al termine a difesa non preclude i riti alternativi

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio consolidato e rafforzato da una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale (n. 243 del 2022). La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che interpretano la concessione del termine a difesa come un ostacolo alla successiva richiesta di riti alternativi, come il giudizio abbreviato o il patteggiamento.

La Cassazione ha spiegato che negare il tempo necessario per studiare gli atti processuali e ponderare le scelte difensive svuota di significato il diritto di difesa. La scelta di un rito alternativo è una delle decisioni più delicate e strategiche che un imputato, assistito dal suo difensore, deve compiere. Per farlo in modo consapevole, è indispensabile disporre di uno spatium deliberandi, ovvero di un tempo adeguato per la riflessione. Imporre una scelta immediata, seduta stante e incognita causa, specialmente quando il difensore è stato appena nominato, costituisce una grave compressione di un diritto inviolabile. Pertanto, il diniego del termine a difesa ha generato una nullità del giudizio che non poteva essere sanata, imponendo l’annullamento della decisione.

Le conclusioni

La sentenza in esame riafferma un caposaldo del giusto processo: la celerità non può mai sacrificare le garanzie difensive essenziali. Viene stabilito in modo inequivocabile che, in un giudizio direttissimo, il giudice è tenuto a concedere il termine a difesa se richiesto dall’imputato, anche e soprattutto in funzione della scelta consapevole sui riti speciali. Questa decisione non solo tutela l’imputato nel caso specifico, ma serve come monito per tutti i tribunali, garantendo che il diritto a un’adeguata preparazione della difesa sia sempre rispettato, in conformità con i principi costituzionali.

È legittimo per un giudice negare il termine a difesa nel giudizio direttissimo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 243/2022, il giudice è tenuto a concedere il termine a difesa se l’imputato ne fa richiesta. Negarlo costituisce una violazione del diritto di difesa e determina la nullità del giudizio.

La richiesta di termine a difesa impedisce di accedere successivamente al rito abbreviato?
No, assolutamente. La sentenza chiarisce, richiamando la Corte Costituzionale, che la concessione del termine a difesa è funzionale proprio a consentire all’imputato una scelta consapevole, inclusa quella di accedere a riti alternativi come il giudizio abbreviato in un’udienza successiva.

Il rilascio di una procura speciale per il rito abbreviato equivale a una richiesta di tale rito?
No. La Corte ha specificato che il rilascio della procura speciale è un atto preliminare che autorizza il difensore a presentare l’istanza, ma non sostituisce l’istanza stessa. Non può essere interpretato come una scelta già effettuata che giustifichi il diniego del termine a difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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