Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18887 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18887 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME SalvatoreCOGNOME nato a Corleone il 09/07/1975;
Di NOMECOGNOME nata a Corleone il 31/05/1977;
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo in data 11/07/2024
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Termini Imerese del 14/11/2023, che aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME alla pena di mesi 6 di arresto ed euro 4.000,00 di ammenda ciascuno, per i reati di cui all’articolo 44, lettera c), 93-95 d.P.R. 380/2001.
Avverso tale sentenza gli imputati hanno proposto ricorso congiunto per cassazione, lamentando violazione di legge in riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’articolo 131bis in ragione della condotta post factum .
3. I ricorsi sono inammissibili.
Questa Corte ritiene, ai fini della applicabilità dell’art. 131bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche (Sez. 3, n. 44348 del 25/09/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 33101 del 2024, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016, COGNOME, Rv. 266586 – 01, n.m.; Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Rv. 265450 – 01), che la consistenza dell’intervento abusivo – data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell’intervento; dall’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti; 6. dalla totale assenza di titolo abilitativo o dal grado di difformità dallo stesso.
Inoltre, in relazione alla fattispecie di cui agli artt. 93 e 95 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, la particolare tenuità del fatto va verificata tenendo conto del bene giuridico protetto e dell’interesse sotteso alla specifica disposizione incriminatrice, consistente nella tutela della pubblica incolumità dal rischio sismico (Sez. 3, n. 783 del 20/04/2017, dep. 11/01/2018, Rv 271865).
Si è anche ritenuto (Sez. 3, n. 33414 del 04/03/2021, Riillo, Rv. 282328 – 01) che il principio di diritto dianzi menzionato trova applicazione soprattutto nei casi in cui la consistenza dell’opera abusivamente realizzata non sia tale da escludere, di per sé, la natura esigua del danno o del pericolo di danno agli interessi tutelati dalle norme in materia edilizia, urbanistica e paesaggistica. Ma quando la consistenza dell’opera è tale da escludere in radice l’esiguità del danno o del pericolo, correttamente il giudice può escludere la applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen. (fattispecie relativa ad un fabbricato a due piani in cemento armato, in zona sismica e totalmente abusivo).
Nel caso in esame, la Corte di appello a pag. 3 precisa che la consistenza dell’intervento, per tipologie, dimensioni e caratteristiche costruttive (in particolare la chiusura del preesistente terrazzo scoperto e l’aumento dell’altezza del locale ripostiglio, nonché la dismissione di un preesistente solaio con aumento della superficie calpestabile e del volume dell’edificio) era tale da escludere l’applicabilità della speciale causa di non punibilità invocata.
Rammenta inoltre – con esplicito riferimento al caso oggi scrutinato – che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.m. in proc. Derossi, Rv. 265450 – 01), «indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto è … la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell’intervento abusivo, come nel caso in cui siano violate, mediante la realizzazione dell’opera, anche altre 13 disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (si pensi alle norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere
in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell’ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali)».
Tale motivazione, niente affatto illogica, fa anzi buon governo dei principi dianzi evidenziati; tanto basta per considerare manifestamente infondata la doglianza.
La pronuncia citata dal ricorrente, secondo cui la più ampia e più favorevole disciplina dell’art. 131bis cod. pen. introdotta dalla c.d. riforma «Cartabia» (d.lgs. n. 150/2022), la quale ha fatto emergere un nuovo elemento valutabile ai fini dell’applicazione dell’istituto, costituito dalla «condotta susseguente al reato», può trovare applicazione anche ai reati edilizi, applicava in concreto la causa di non punibilità alla luce della «modestia intrinseca dell’intervento edilizio in oggetto (minimo aumento della superficie utile abitabile, rilevato anche dalla sentenza rescindente della cassazione, laddove, quanto all’estensione dell’abuso, era stato riconosciuto l’errore con cui i primi giudici d’appello avevano confuso i metri cubi con i metri quadri)»; sia in considerazione della condotta susseguente al reato (elemento in precedenza non valutabile ai presenti fini), avuto riguardo all’istanza di regolarizzazione del titolo edilizio presentata dall’imputata successivamente alla realizzazione dei lavori.
Fattispecie concreta non paragonabile a quella in esame, in cui i giudici hanno escluso in radice l’applicabilità dell’articolo 131bis cod. pen. in ragione della entità dell’intervento edilizio.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma l’11 aprile 2025.