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Tentato omicidio: la valutazione ex ante è decisiva

Una donna, inizialmente condannata per tentato omicidio del coniuge e del figlio, ha visto il reato riqualificato in lesioni aggravate dalla Corte d’Appello. La Procura ha impugnato la decisione. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello, stabilendo che per la configurazione del tentato omicidio è fondamentale la valutazione “ex ante” dell’azione, ovvero la sua idoneità a uccidere al momento del fatto, a prescindere dall’esito effettivo. La natura dell’arma, le zone vitali colpite e l’intervento di terzi sono elementi cruciali che la Corte d’Appello aveva illogicamente trascurato.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Tentato Omicidio: La Valutazione ‘Ex Ante’ è Decisiva, non l’Esito Finale

La distinzione tra tentato omicidio e lesioni aggravate è una delle questioni più complesse e dibattute nel diritto penale. Spesso, la linea di demarcazione è sottile e dipende da una valutazione attenta dell’intenzione dell’aggressore. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 37848/2025) ha ribadito un principio fondamentale: per qualificare un’aggressione come tentato omicidio, il giudice deve effettuare una valutazione ex ante, cioè basata sulla potenzialità dell’azione di causare la morte al momento in cui è stata compiuta, e non sull’esito fortunato o sulla lieve entità delle lesioni riportate dalla vittima. Questo approccio garantisce che la giustizia si concentri sull’intento criminale e sulla pericolosità della condotta, piuttosto che su fattori casuali.

I Fatti del Caso: Un Dramma Familiare in Tribunale

Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce da una vicenda familiare. Un’imputata era stata condannata in primo grado per il tentato omicidio del coniuge e del figlio, oltre che per maltrattamenti in famiglia. La Corte d’Appello, in riforma della prima sentenza, aveva riqualificato i tentati omicidi in lesioni aggravate, riducendo la pena. Secondo i giudici d’appello, alcuni elementi contrastavano con l’intento omicida: in particolare, la prognosi di soli 15 giorni per le ferite del marito e il fatto che l’imputata, convivendo con le vittime, avrebbe avuto altre occasioni per ucciderle se quella fosse stata la sua reale volontà.
Contro questa decisione ha proposto ricorso il Procuratore Generale, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nella sua valutazione. Gli elementi a favore del tentato omicidio erano, secondo l’accusa, preponderanti: la natura micidiale dell’arma (un coltello), le parti vitali del corpo colpite (volto, polso, addome) e la reiterazione dei colpi. Inoltre, l’omicidio era stato sventato solo grazie all’intervento del figlio, che si era interposto per difendere il padre.

La Decisione della Corte di Cassazione e i Criteri del Tentato Omicidio

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, annullando la sentenza d’appello e rinviando il caso a un nuovo giudizio. I giudici supremi hanno definito la motivazione della Corte d’Appello come “manifestamente illogica”, ribadendo i criteri corretti per la qualificazione del tentato omicidio.
La Corte ha sottolineato che la valutazione dell’idoneità e dell’univocità degli atti, richiesta dall’art. 56 del codice penale, deve essere condotta con un giudizio ex ante. Questo significa che il giudice deve porsi nella situazione dell’aggressore al momento dell’azione e valutare se, in base a tutte le circostanze, la sua condotta era oggettivamente capace di causare la morte e diretta in modo inequivocabile a tale scopo.

Le Motivazioni: La Valutazione “Ex Ante” nel Tentato Omicidio

La sentenza si sofferma su tre punti cardine che chiariscono il percorso logico che il giudice deve seguire.

L’Irrilevanza dell’Esito Effettivo

Il primo errore della Corte d’Appello, secondo la Cassazione, è stato dare peso eccessivo alla prognosi di guarigione di 15 giorni. Questo dato è irrilevante. Il fatto che la vittima non abbia subito lesioni mortali non esclude l’intento omicida, specialmente quando ciò è dovuto a fattori esterni alla volontà dell’aggressore, come la reazione difensiva della vittima stessa o l’intervento di terzi. L’analisi non può essere “condizionata dagli effetti realmente raggiunti”.

Idoneità dell’Azione e Univocità degli Atti: Analizzare il Momento del Crimine per il Tentato Omicidio

Il secondo punto critico è la mancata considerazione della dinamica concreta dell’aggressione. La Corte d’Appello non ha tenuto conto che la vittima si era difesa, bloccando i colpi, e che il figlio era intervenuto per fermare la madre. Questi elementi sono decisivi perché dimostrano che l’azione omicida è stata interrotta da cause indipendenti dalla volontà dell’imputata. L’idoneità dell’azione va valutata considerando l’arma usata (un coltello), le zone del corpo mirate (volto e addome, entrambe vitali) e la violenza dell’attacco.

Il Dolo Omicidiario: L’Intenzione di Uccidere

Infine, la Cassazione ha smontato l’argomento secondo cui l’imputata avrebbe potuto uccidere le vittime in altri momenti. Questa circostanza, secondo una giurisprudenza consolidata, non è di per sé decisiva per escludere il dolo omicidiario, ovvero la volontà di uccidere. L’intenzione criminale va desunta da indicatori oggettivi legati all’azione specifica, come il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo attinte e la reiterazione dei colpi.

Le Conclusioni: Principi di Diritto per il Giudice del Rinvio

La Corte di Cassazione, annullando la sentenza, ha tracciato una linea guida chiara per il nuovo giudice d’appello. La qualificazione giuridica del fatto dovrà basarsi su una rigorosa analisi ex ante della condotta. Il giudice dovrà valutare se l’azione, per le sue modalità e i mezzi utilizzati, era oggettivamente idonea a provocare la morte e se l’intenzione dell’imputata era diretta, con un alto grado di probabilità, a raggiungere tale risultato. Questa sentenza riafferma un principio di civiltà giuridica: la gravità di un reato si misura dall’intenzione e dalla pericolosità della condotta, non dalla fortuna della vittima.

Per configurare il tentato omicidio, la vittima deve essere stata in effettivo pericolo di vita?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per la sussistenza del tentato omicidio è irrilevante che la vittima sia stata o meno in pericolo di vita. La valutazione deve essere fatta ex ante, cioè basandosi sulle circostanze presenti al momento dell’azione, per determinare se l’atto era idoneo a causare la morte.

Una prognosi di guarigione breve (es. 15 giorni) può escludere il tentato omicidio e portare a una condanna per lesioni?
No, una prognosi breve non è decisiva. La Corte ha stabilito che la valutazione dell’idoneità degli atti a uccidere non può essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti. L’intento omicida va accertato considerando l’arma usata, le parti vitali del corpo colpite e la dinamica dell’azione, non l’esito finale.

Cosa significa che la valutazione dell’azione deve essere “ex ante”?
Significa che il giudice deve “tornare indietro” al momento in cui il reato è stato commesso e valutare l’azione in base a ciò che era prevedibile in quel preciso istante. Deve considerare l’arma, le modalità dell’attacco e le circostanze oggettive, senza lasciarsi influenzare da ciò che è accaduto dopo (ad esempio, il fatto che la vittima sia sopravvissuta grazie al proprio intervento difensivo o all’aiuto di terzi).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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