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Tentato incendio: dolo eventuale o dolo diretto?

Un individuo dà fuoco a un’auto e le fiamme si propagano ai veicoli vicini. La Corte di Appello ha riqualificato il reato da incendio a tentato incendio. La Cassazione ha confermato la decisione, specificando che per il tentato incendio è necessario il dolo diretto, desumibile dalle azioni concrete dell’agente, anche se il giudice di merito aveva erroneamente menzionato il dolo eventuale.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Tentato Incendio: Dolo Diretto o Basta Accettare il Rischio? La Cassazione Fa Chiarezza

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 35878 del 2025, offre un importante chiarimento sulla configurabilità del reato di tentato incendio e sulla natura dell’elemento psicologico necessario per la sua sussistenza. Il caso analizzato riguarda un episodio in cui l’incendio di un’autovettura si è propagato ai veicoli vicini, sollevando complessi interrogativi sulla distinzione tra dolo diretto e dolo eventuale nel contesto dei reati di pericolo.

I Fatti del Caso: dall’auto in fiamme all’accusa

I fatti all’origine della vicenda giudiziaria vedono un imputato condannato per aver cosparso di benzina e dato fuoco a un’autovettura parcheggiata in un’area municipale. Le fiamme, divampate rapidamente, si sono propagate ad altre due automobili vicine: una è andata completamente distrutta, mentre l’altra è stata solo parzialmente danneggiata.

Inizialmente condannato per il reato di incendio consumato ai sensi dell’art. 423 del codice penale, l’imputato ha visto la sua posizione riesaminata in appello.

Il Percorso Giudiziario e la Riqualificazione in Tentato Incendio

La Corte di Appello, pur respingendo la tesi difensiva che mirava a qualificare il fatto come semplice danneggiamento, ha ritenuto che il reato non avesse raggiunto la soglia della consumazione. Secondo i giudici di secondo grado, poiché le fiamme si erano propagate in modo completo solo a una delle auto vicine e avevano attinto solo parzialmente la seconda, il fatto doveva essere ricondotto alla figura del tentato incendio (artt. 56 e 423 c.p.).

Tuttavia, nella sua motivazione, la Corte territoriale ha affermato che l’imputato aveva “accettato il rischio che l’incendio potesse propagarsi”, un’espressione che richiama la figura del dolo eventuale. Proprio questa affermazione è diventata il fulcro del ricorso in Cassazione, basato sulla presunta incompatibilità tra il dolo eventuale e la struttura del delitto tentato, che tradizionalmente richiede un’intenzione diretta e inequivoca.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e cogliendo l’occasione per ribadire principi consolidati in materia. I giudici hanno chiarito che il reato di tentato incendio è pienamente configurabile quando si appicca un fuoco che, sebbene domato o non propagatosi in vaste proporzioni, possedeva la potenzialità per creare un pericolo per la pubblica incolumità.

Il punto cruciale della decisione riguarda l’elemento psicologico. La Cassazione ha sottolineato che il delitto di incendio è caratterizzato da dolo generico, che consiste nella “coscienza e volontà” di cagionare un evento con le caratteristiche di vastità e diffusività richieste dalla norma. Tale volontà deve essere diretta e non meramente eventuale.

Secondo la Corte, l’espressione utilizzata dai giudici d’appello (“accettato il rischio”) costituiva una semplice “caduta lessicale”, ovvero un’imprecisione terminologica che non inficiava la correttezza del ragionamento di fondo. La valutazione dell’intento criminale, infatti, non deve basarsi su singole parole, ma sulla ricostruzione complessiva del fatto. Nel caso di specie, l’azione di cospargere un’auto di benzina in un parcheggio affollato e appiccare il fuoco è stata considerata un atto inequivocabilmente diretto a provocare un incendio di vaste proporzioni, integrando così pienamente il dolo diretto richiesto per il tentativo.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Cassazione conferma che per la configurabilità del tentato incendio è indispensabile la presenza del dolo diretto, inteso come volontà di causare un rogo pericoloso per la collettività. Anche se un giudice di merito utilizza un’espressione imprecisa come “accettazione del rischio”, la condanna per il reato tentato resta valida se le circostanze concrete dimostrano in modo inequivocabile che l’agente voleva proprio quell’evento. La decisione riafferma l’importanza di guardare alla sostanza dei fatti per determinare l’elemento psicologico del reato, superando eventuali imprecisioni formali della motivazione.

È configurabile il reato di tentato incendio?
Sì, la Cassazione conferma che si configura il tentato incendio quando si appicca un fuoco che viene domato prima di poter divampare in vaste proporzioni, ma che era idoneo a porre in pericolo l’incolumità pubblica.

Per il tentato incendio è sufficiente il dolo eventuale, cioè la mera accettazione del rischio?
No. La sentenza chiarisce che per il delitto tentato è necessario il dolo diretto, ovvero la coscienza e la volontà di cagionare l’evento. La Corte ha ritenuto che il riferimento al dolo eventuale da parte del giudice d’appello fosse solo un’imprecisione lessicale, poiché i fatti dimostravano la volontà diretta di provocare un incendio.

Come si distingue il tentato incendio dal danneggiamento seguito da incendio?
La distinzione risiede nell’elemento psicologico. Nel tentato incendio (art. 423 c.p.), l’agente ha la volontà di provocare un evento di vaste proporzioni e pericoloso per la pubblica incolumità. Nel danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.), l’intenzione è limitata a danneggiare una cosa specifica e l’incendio che ne deriva va oltre l’intenzione originaria dell’agente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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