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Tentato furto con strappo: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha riqualificato un episodio di aggressione per un registratore di cassa da tentata rapina a tentato furto con strappo. La decisione si fonda sulla distinzione cruciale della direzione della violenza: se è rivolta prevalentemente alla cosa e solo indirettamente alla persona, si configura il furto e non la rapina. L’imputato aveva cercato di sottrarre la cassa dal bancone di un bar, ingaggiando una colluttazione con il proprietario che tratteneva l’oggetto. La Corte ha annullato la precedente condanna, rinviando il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 30 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Tentato furto con strappo o rapina? La Cassazione traccia il confine

La distinzione tra rapina e tentato furto con strappo è una questione sottile ma fondamentale nel diritto penale, con conseguenze significative sulla qualificazione del reato e sulla pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento su questo confine, analizzando un caso in cui un individuo aveva tentato di sottrarre un registratore di cassa dal bancone di un bar. La Suprema Corte ha annullato la condanna per tentata rapina, riqualificando il fatto e sottolineando un principio chiave: la direzione della violenza.

I fatti del caso

Un uomo, dopo essersi visto negare un cambio di monete dal gestore di un bar, tentava di impossessarsi del registratore di cassa afferrandolo dal bancone. Ne scaturiva una colluttazione fisica, ma circoscritta all’oggetto: l’imputato tirava la cassa verso di sé, mentre il proprietario la tratteneva con forza. Durante questo ‘tiro alla fune’, il proprietario riportava una lievissima lesione all’unghia di un dito. L’azione si interrompeva grazie all’intervento di un altro cliente e alla minaccia del barista di chiamare la polizia, che induceva l’aggressore ad allontanarsi. Sia in primo grado che in appello, l’uomo veniva condannato per il reato di tentata rapina.

La decisione della Corte di Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due punti: la sussistenza di una desistenza volontaria e l’errata qualificazione del fatto, che doveva essere considerato un tentato furto con strappo e non una tentata rapina. La Suprema Corte ha respinto il primo motivo, chiarendo che l’abbandono dell’azione non era stato volontario, ma indotto dalla minaccia di un intervento delle forze dell’ordine.

Tuttavia, i giudici hanno accolto il secondo motivo, ritenendolo fondato e decisivo. La Corte ha annullato la sentenza di condanna e ha rinviato il caso ad un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio, basato sulla corretta qualificazione giuridica del reato.

La differenza nel tentato furto con strappo

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra la violenza tipica della rapina (art. 628 c.p.) e quella del furto con strappo (art. 624-bis c.p.). La giurisprudenza consolidata afferma che il discrimine si trova nella direzione dell’energia fisica esercitata dall’agente:

Furto con strappo: la violenza è diretta esclusivamente o prevalentemente verso la cosa. Eventuali ripercussioni sulla persona sono indirette e involontarie, dovute alla stretta relazione fisica tra la persona e il bene sottratto.
Rapina: la violenza è diretta contro la persona, sia per vincere la sua resistenza, sia per impedirle di difendere il bene. La violenza sulla persona è il mezzo per ottenere la sottrazione della cosa.

Nel caso specifico, la lotta si è svolta interamente per il possesso del registratore di cassa, con i due contendenti separati dal bancone. La violenza era quindi finalizzata a vincere la resistenza che la vittima opponeva ‘sulla cosa’ e non una violenza diretta ‘sulla persona’ per intimidirla o sopraffarla.

Le motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando come l’energia fisica dell’imputato fosse stata ‘certamente indirizzata ed aveva avuto sicuramente ad oggetto solo e soltanto la cassa e giammai la persona del titolare del bar’. La lievissima lesione al dito della vittima è stata considerata una conseguenza accidentale della contesa per l’oggetto, una ‘ripercussione indiretta ed involontaria’. La dinamica dei fatti, con le due persone ai lati opposti del bancone, rendeva materialmente complicato un contatto fisico diretto e volontario. Pertanto, i giudici di merito avevano commesso un ‘errore di qualificazione’ nel ricondurre il fatto alla fattispecie della tentata rapina.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: per configurare il più grave reato di rapina, non è sufficiente una qualsiasi forma di violenza nel contesto di una sottrazione, ma è necessario che tale violenza sia usata come strumento per neutralizzare la volontà della vittima. Quando la forza è impiegata per superare la resistenza che la vittima esercita trattenendo il bene, il reato si qualifica come tentato furto con strappo. La riqualificazione del reato avrà importanti conseguenze pratiche nel nuovo giudizio d’appello, non solo sulla determinazione della pena, ma anche sulla possibile applicazione di cause di non punibilità, come quella per particolare tenuità del fatto.

Qual è la differenza fondamentale tra rapina e furto con strappo?
La differenza risiede nella direzione della violenza. Nel furto con strappo, la violenza è rivolta immediatamente e direttamente verso la cosa che si intende sottrarre, e solo indirettamente verso la persona. Nella rapina, invece, la violenza è diretta alla persona, come mezzo per impossessarsi del bene.

Perché in questo caso è stato escluso il reato di tentata rapina?
Perché la Corte ha ritenuto che la violenza esercitata dall’imputato fosse finalizzata esclusivamente a sottrarre il registratore di cassa, vincendo la resistenza che il proprietario opponeva trattenendo l’oggetto. La lotta si è concentrata sulla ‘cosa’ e non sulla ‘persona’, nonostante una minima lesione accidentale riportata dalla vittima.

Cosa ha deciso la Corte riguardo alla desistenza volontaria dell’imputato?
La Corte ha escluso che si trattasse di desistenza volontaria. L’imputato ha interrotto la sua azione criminale non per una libera scelta, ma perché spaventato dalla minaccia del proprietario del bar di chiamare le forze dell’ordine, che infatti sono intervenute poco dopo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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