Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25828 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25828 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Torino dell’8.11.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza con cui il GUP del Tribunale del capoluogo piemontese, procedendo con rito abbreviato, aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del delitto di tentata rapina e, con le circostanze attenuanti generiche e la riduzione per la scelta del rito premiale, lo
aveva condannato alla pena finale di mesi 8 di reclusione ed euro 250 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;
ricorre per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia che deduce:
2.1 erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 56 e 628 cod. pen., assoluta assenza, carenza e contraddittorietà della motivazione in merito alla sussistenza della ipotesi di desistenza volontaria di cui al comma terzo dell’art. 56 cod. pen.: ripercorre l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità i punto di sussistenza degli estremi della “violenza” o della “minaccia” quale elemento costitutivo del delitto di rapina rilevando come, nel caso di specie, la ricostruzione restituita dalle immagini del circuito di videosorveglianza del locale è nel senso che la minima violenza ascrivibile al ricorrente era stata esercitata esclusivamente sulla res e non già sulla persona della vittima nei cui confronti non era stata profferita alcuna minaccia; segnala che, in ogni caso, la dinamica dell’episodio avrebbe imposto di ritenere integrata l’ipotesi della desistenza volontaria;
2.2 erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 56 e 628 cod. pen., assoluta assenza, carenza e contraddittorietà della motivazione in merito alla mancata riqualificazione del fatto in tentato furto ed alla omessa pronuncia di improcedibilità dell’azione penale per intervenuta remissione della querela: ribadisce come nel caso in esame la dinamica dell’episodio non consentiva di ricondurre la condotta dell’imputato nella fattispecie della tentata rapina essendo piuttosto e più correttamente configurabile un tentativo di furto improcedibile per remissione della querela
2.3 erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 56 e 628 cod. pen., assoluta assenza, carenza e contraddittorietà della motivazione in merito alla esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto ai sens dell’art. 131-bis cod. pen.: rileva che la Corte d’appello non ha motivato in alcun modo sulla esclusione della causa di non punibilità che avrebbe invece dovuto essere riconosciuta alla luce della modalità della condotta, della esiguità del danno o del pericolo oltre che della non abitualità del comportamento;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
la difesa del ricorrente ha trasmesso una memoria difensiva in replica alle considerazioni svolte dalla Procura Generale: ribadisce la fondatezza del primo motivo, relativo alla desistenza e del secondo motivo relativo alla qualificazione giuridica del fatto in termini di tentato furto piuttosto che di tentata rapin
sottolinea, ancora, come la sentenza impugnata non abbia motivato sulla possibile applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., che era stata sollecitata in sede di richiesta di discussione di fronte alla Corte d’appello alla luce della modifica normativa intervenuta successivamente alla sentenza di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato relativamente al secondo motivo nei termini e per le ragioni di cui appresso.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito, del delitto di tentata rapina per “… aver compiuto att idonei, diretti in modo non equivoco, ad impossessarsi, per trarne profitto, del registratore di cassa di proprietà di NOME COGNOME, usando violenza e minaccia consistite nell’afferrare il registratore di cassa sul bancone del bar … e nel dire al NOME, che cercava di trattenerlo, che si sarebbe portato via la cassa se non gli avesse cambiato delle monete, non riuscendo nell’intento per la reazione della vittima e degli avventori”.
Il giudice di primo grado aveva ricostruito l’episodio sulla scorta delle immagini registrate dal circuito di sorveglianza attivo all’interno del bar che mostravano “… l’imputato entrare nel bar inizialmente per consumare un caffè e successivamente chiedere al gestore un cambio in banconote di alcune monete; al diniego del barista, l’imputato dava in escandescenza asserendo che se non avesse ricevuto il cambio del denaro avrebbe portato via la cassa, passando dalle parole ai fatti ed afferrando il cassetto del denaro, provando a portarlo via, non riuscendovi perché a sua volta il gestore tratteneva la cassa con le mani”; aveva dato conto che “i due rimanevano in stallo alcuni secondi tenendo entrambi in mano l’oggetto, ma fisicamente divisi dal bancone, fino a quando l’azione si interrompeva al sopraggiungere di un avventore (il teste COGNOME) che riportava a più consigli l’imputato che desisteva pur continuando nell’alterco con la persona offesa e nelle continue richieste di cambio di denaro”; era risultato, inoltre, che “successivamente l’imputato afferrava nuovamente la cassa con più veemenza e nuovamente il gestore si contrapponeva nel medesimo stallo lesionandosi fortuitamente e leggermente l’unghia del mignolo sinistro” (cfr., dalla sentenza di primo grado).
Il Tribunale aveva inoltre evocato la testimonianza del COGNOME sul fatto che la minaccia della persona offesa di chiamare la polizia era stata sufficiente a
spaventarlo tanto che l’imputato andava via prima dell’arrivo della polizia (pag. 3 della sentenza di primo grado)
Dal canto suo la Corte d’appello, replicando alle dogliarize formulate dalla difesa con l’atto di gravame e, in definitiva, sovrapponibili al primo ed al secondo motivo del ricorso, ha richiamato, in fatto, la ricostruzione operata dal primo giudice ed ha concluso nel senso che l’ppisodio era stato correttamente ricondotto nella tentata rapina perché “… l’imputato, dopo aver minacciato di portare via con sé il registratore di cassa … ha appreso con forza il registratore di cassa manifestando sia sul bene, che apprendeva con forza cercando di strappare energicamente alla presa della persona offesa, sia sulla persona offese che, nel tentativo di sottrarre il bene determinava una minima lesione nella zona dell’unghia del mignolo sinistro, una vis violenta …” (cfr., pag. 6 della sentenza impugnata).
3.1 Tanto premesso, rileva il collegio che il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato, avendo la Corte d’appello puntualmente motivato in merito sia alla reiterazione della condotta del NOME ma, anche, al suo allontanamento dovuto alla minaccia, da parte del titolare, di chiamare le forze dell’ordine, che erano infatti di lì a poco intervenute rinvenendo sul posto l’odierno ricorrente.
In diritto, poi, vale la pena di ribadire che nei delitti di danno a forma libera la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina i meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente per il cd. recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta COGNOME attiva COGNOME che COGNOME valga COGNOME a COGNOME scongiura re COGNOME l’evento (cfr., Sez. 2, n. 24551 del 08/05/2015, COGNOME COGNOME, COGNOME Rv. 264226 01; Sez. 5, n. 18322 del 30/01/2017, COGNOME COGNOME COGNOME, COGNOME Rv. 269797 01; Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, COGNOME COGNOME, COGNOME Rv. 272677 01; Sez. 5 , COGNOME n. 17241 del 20/01/2020, P., Rv. 279170 – 01).
3.2 Il secondo motivo è, invece, fondato, nei termini di cui appresso.
È consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, che il discrimine tra la condotta di rapina e quella di furto (con strappo) va individuato nella direzione della violenza esplicata dall’agente, per cui si è in presenza di un furto con strappo quando la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene; integra, invece, la rapina, la violenza diretta o che si sviluppa sulla persona.
Si è infatti sottolineato che nella fattispecie del furto con strappo la violenza si esercita esclusivamente sulla cosa, anche se, a causa della relazione fisica che intercorre tra la cosa sottratta e la persona che la detiene, può derivare una ripercussione indiretta ed involontaria sulla persona; ricorre invece la rapina allorché la cosa è particolarmente aderente al corpo del possessore e costui, istintivamente o deliberatamente, contrasta la sottrazione, cosicché la violenza necessariamente si estende alla persona, in quanto l’agente non deve superare soltanto la forza di coesione inerente al normale contatto della cosa con la parte lesa, ma deve vincere la resistenza di questa. (cfr., in tal senso, e tra le tante, Sez. 2, n. 2553 del 19/12/2014, dep. 21/01/2015, COGNOME, Rv. 262281 – 01; Sez. 2, n. 16899 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 276558 – 01).
Richiamata, dunque, la ricostruzione dell’episodio come restituita dalla lettura delle due sentenze di merito, risulta chiaro l’errore di qualificazione in cui sono incorsi i giudici di primo e di secondo grado nel ricondurlo alla fattispecie della tentata rapina laddove, invece, l’energia fisica dell’imputato era stata certamente indirizzata ed aveva avuto sicuramente ad oggetto solo e soltanto la cassa e giammai la persona del titolare del bar; vale la pena, d’altro canto, ribadire che i due – nel contendersi la cassa (di cui il primo cercava di impossessarsi ed il secondo cercava di trattenere in tal modo procurandosi la lievissima lesione al dito) – si trovavano sui lato opposto dal bancone risultando perciò anche materialmente complicato che venissero direttamente a contatto.
La condotta del NOME va dunque inquadrata nella fattispecie del tentato furto con strappo con conseguente annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino che, in sede rescissoria, provvederà a rivalutarne la complessiva gravità sia ai fini della eventuale rideterminazione della pena che, anche, della applicazione della causa di non punibilità se consentita.
Il terzo motivo, in tal modo, è assorbito.
P.Q.M.
riqualificati i fatti ai sensi degli artt. 56-624-bis cod, pen., annulla sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 6.6.2024