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Tempus regit actum: quale norma si applica nel processo

Un imputato ha contestato la sua condanna sostenendo l’applicazione di nuove norme procedurali (Riforma Cartabia) in base al principio del tempus regit actum. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che la legge applicabile a un’impugnazione è quella in vigore al momento della pronuncia della sentenza impugnata, non quella dei successivi atti procedurali. La Corte ha inoltre ritenuto legittimo il rigetto implicito della richiesta di pene sostitutive, a causa del corposo casellario giudiziale del ricorrente e della genericità dell’istanza.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tempus Regit Actum e Riforma Cartabia: la Cassazione fa chiarezza

Con la recente sentenza n. 6010/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: la successione delle leggi nel tempo e l’applicazione del principio tempus regit actum. Il caso esaminato offre spunti fondamentali per comprendere quale normativa si applichi ai processi in corso quando interviene una riforma, come la recente Riforma Cartabia, che ha modificato i termini a comparire nel giudizio d’appello.

Il Caso: La Successione di Leggi Processuali nel Giudizio d’Appello

La vicenda trae origine dal ricorso di un imputato, condannato in primo grado dal Tribunale di Pescara nel 2019. L’atto di appello veniva presentato poco dopo, sempre nel 2019. Successivamente, con l’entrata in vigore della Riforma Cartabia (1° gennaio 2023), la normativa sui termini a comparire nel giudizio d’appello veniva modificata, raddoppiando il termine da venti a quaranta giorni (art. 601, comma 5, c.p.p.).

Il decreto di citazione per il giudizio di appello veniva emesso nel gennaio 2023, sotto la vigenza della nuova norma. La notifica, tuttavia, rispettava il vecchio termine di venti giorni ma non quello nuovo di quaranta. La difesa del ricorrente eccepiva quindi la nullità della notifica, sostenendo che, in base al principio tempus regit actum, si sarebbe dovuta applicare la legge in vigore al momento dell’emissione del decreto di citazione, ovvero la nuova disciplina più favorevole.

La richiesta di pene sostitutive

Oltre alla questione procedurale, il ricorrente lamentava che la Corte d’Appello avesse omesso di pronunciarsi sulla sua richiesta di conversione della pena detentiva in una delle sanzioni sostitutive previste dalla stessa Riforma Cartabia, domanda presentata con le conclusioni scritte.

L’Applicazione del Principio Tempus Regit Actum secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo di ricorso, ritenendolo infondato. Il cuore della decisione si basa sull’interpretazione consolidata, fornita dalle Sezioni Unite (sentenza “Lista” n. 27614/2007), del principio tempus regit actum in materia di impugnazioni.

Secondo la Suprema Corte, quando si succedono diverse discipline processuali senza una specifica norma transitoria, per individuare il regime applicabile occorre fare riferimento al momento in cui viene emesso il provvedimento impugnato, e non agli atti successivi. In questo caso, l'”actus” che cristallizza la normativa è la pronuncia della sentenza di primo grado.

Poiché sia la sentenza di condanna (2019) sia la proposizione dell’appello (2019) erano avvenute ben prima dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia, l’intero giudizio di impugnazione doveva svolgersi secondo le regole procedurali allora vigenti. Il decreto di citazione a giudizio in appello non è un atto autonomo, ma un mero atto esecutivo di una fase processuale già incardinata sotto l’egida della vecchia normativa. Pertanto, il termine a comparire applicabile era correttamente quello di venti giorni.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su un’esigenza di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento delle parti. Ancorare la disciplina dell’impugnazione alla legge vigente al momento della pronuncia della sentenza garantisce che le regole del gioco siano chiare fin dall’inizio e non possano essere modificate da interventi legislativi successivi. Questo approccio evita disparità di trattamento e assicura la stabilità del quadro normativo su cui le parti hanno basato le loro strategie difensive.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Cassazione ha ritenuto infondato anche questo. Pur riconoscendo che la richiesta di sanzioni sostitutive era stata presentata tempestivamente, la Corte ha osservato che la Corte d’Appello non era tenuta a una motivazione esplicita per rigettarla. La decisione si basa su due elementi:

1. Il quadro indiziario negativo: il ricorrente aveva un certificato del casellario giudiziale con ben 81 provvedimenti, di cui circa sessanta sentenze di condanna. Un quadro del genere rendeva di per sé arduo un giudizio prognostico favorevole.
2. La genericità dell’istanza: la difesa si era limitata a chiedere l’applicazione delle pene sostitutive senza fornire elementi specifici e concreti capaci di contrastare la pesante storia criminale dell’imputato e di giustificare una prognosi positiva.

In tale contesto, l’obbligo di motivazione della Corte d’Appello poteva ritenersi assolto implicitamente, dato che la concessione del beneficio sarebbe stata palesemente preclusa dalla personalità del condannato, come emergente dagli atti.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio cardine in materia di successione di leggi processuali: per le impugnazioni, il momento che determina la legge applicabile è quello della pronuncia della sentenza impugnata. Questa regola, basata sul principio tempus regit actum, fornisce una guida chiara per gli operatori del diritto, garantendo stabilità e prevedibilità al processo. Inoltre, la decisione ribadisce che le richieste di benefici, come le sanzioni sostitutive, devono essere supportate da argomentazioni specifiche e concrete, specialmente in presenza di precedenti penali significativi. Una mera richiesta formale, priva di elementi a sostegno di una prognosi favorevole, non è sufficiente a far scattare un obbligo di motivazione analitica da parte del giudice.

Quando cambia una legge processuale, quale si applica a un appello già presentato?
Secondo la sentenza, la disciplina applicabile all’intero giudizio di impugnazione è quella in vigore al momento della pronuncia della sentenza che si impugna, non quella vigente al momento dei successivi atti procedurali come il decreto di citazione.

Il giudice d’appello deve sempre motivare esplicitamente il rigetto di una richiesta di pene sostitutive?
No. In presenza di un quadro palesemente ostativo, come un casellario giudiziale estremamente negativo, e di un’istanza generica, il giudice può rigettare la richiesta anche implicitamente. L’obbligo di motivazione specifica sorge quando l’istanza fornisce elementi concreti che necessitano di una valutazione per un giudizio prognostico.

Cosa significa il principio tempus regit actum nel contesto delle impugnazioni penali?
Significa che l’atto processuale è regolato dalla legge del tempo in cui è stato compiuto. Per le impugnazioni, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’atto di riferimento (l'”actus”) che fissa le regole per l’intero giudizio di gravame è la pronuncia della sentenza impugnata. Questo per garantire la certezza del diritto e la parità delle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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