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Tempus regit actum: la Cassazione sulla procedura

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in materia processuale, vige il principio tempus regit actum. Un appello proposto quando era richiesta una specifica formalità a pena di inammissibilità (l’elezione di domicilio) rimane inammissibile anche se tale norma viene successivamente abrogata. La legge applicabile è quella in vigore al momento del deposito dell’atto, non quella successiva più favorevole.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tempus Regit Actum: Quando la Legge del Momento Decide il Destino di un Appello

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale della procedura penale: il tempus regit actum. Questo principio stabilisce che la validità di un atto processuale deve essere valutata secondo la legge in vigore al momento in cui l’atto è stato compiuto, e non secondo leggi successive, anche se più favorevoli. Il caso analizzato riguarda un appello dichiarato inammissibile per un vizio di forma che, solo in un secondo momento, è stato eliminato dal legislatore. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Un Appello Dichiarato Inammissibile

Un imputato, a seguito di una condanna in primo grado, proponeva appello. Al momento della presentazione dell’impugnazione, nel luglio 2023, era in vigore una norma (l’art. 581, comma 1-ter, c.p.p.) che richiedeva, a pena di inammissibilità, di depositare contestualmente all’atto di appello una dichiarazione o elezione di domicilio. L’avvocato non adempiva a tale formalità, e di conseguenza l’appello veniva dichiarato inammissibile, rendendo la sentenza di condanna definitiva.

Successivamente, nell’agosto 2024, una nuova legge abrogava la disposizione che imponeva tale adempimento. L’imputato, allora, presentava un’istanza alla Corte d’appello per chiedere la revoca dell’esecutività della sentenza, sostenendo che la nuova legge, più favorevole, dovesse essere applicata retroattivamente al suo caso. La Corte d’appello respingeva l’istanza, e la questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte: il principio tempus regit actum prevale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’appello. I giudici hanno chiarito che, a differenza delle norme penali sostanziali (che definiscono i reati e le pene), per le quali vale il principio della retroattività della legge più favorevole, per le norme processuali si applica il principio tempus regit actum.

L’ammissibilità dell’appello doveva quindi essere valutata sulla base delle regole procedurali vigenti al momento del suo deposito (luglio 2023). Poiché in quel momento la legge richiedeva la dichiarazione di domicilio, e questa mancava, l’appello era correttamente stato dichiarato inammissibile. L’abrogazione successiva della norma non poteva sanare un vizio già consolidato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su argomentazioni solide, bilanciando il diritto di difesa con le esigenze di certezza e stabilità del processo.

Il Principio Tempus Regit Actum nella Procedura Penale

Il cuore della motivazione risiede nella natura delle norme processuali. Queste norme regolano lo svolgimento del processo e la validità degli atti. Applicare retroattivamente ogni modifica significherebbe creare un’incertezza costante, mettendo in discussione atti e decisioni già compiuti. Il principio tempus regit actum garantisce che ogni fase processuale sia regolata da una legge certa e conoscibile al momento del suo compimento, assicurando così l’ordinato svolgimento della giustizia. La Corte ha citato un’importante sentenza delle Sezioni Unite (n. 44895/2014, Pinna) che aveva già stabilito questo principio per le norme sull’ammissibilità delle impugnazioni.

L’Interpretazione delle Sezioni Unite sul Caso Specifico

La Corte ha inoltre fatto riferimento a una recentissima pronuncia delle Sezioni Unite (n. 13808/2025, De Felice), che ha affrontato proprio la questione della successione di leggi relativa all’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. Le Sezioni Unite hanno statuito che la vecchia disciplina, che prevedeva l’onere della dichiarazione di domicilio, continua ad applicarsi a tutte le impugnazioni proposte fino al 24 agosto 2024, giorno precedente all’entrata in vigore della legge abrogatrice. Questa decisione chiude definitivamente ogni dubbio interpretativo.

Infine, la Corte ha respinto anche l’argomento secondo cui una elezione di domicilio già presente agli atti del primo grado fosse sufficiente. Anche su questo punto, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’atto di appello doveva contenere almeno un richiamo “espresso e specifico” a quella precedente dichiarazione, in modo da consentirne una facile individuazione, adempimento che nel caso di specie era mancato.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce una regola chiara per gli operatori del diritto: la validità formale di un atto di impugnazione si cristallizza al momento del suo deposito. Le modifiche normative successive, anche se più favorevoli, non possono avere effetto retroattivo per sanare vizi di inammissibilità già perfezionatisi. Questa decisione sottolinea l’importanza della diligenza del difensore nel rispettare scrupolosamente le norme processuali vigenti, poiché un errore formale può precludere definitivamente l’accesso a un grado di giudizio, con conseguenze irreversibili per l’assistito.

Una legge processuale più favorevole, entrata in vigore dopo la proposizione di un appello, si applica retroattivamente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per le norme processuali vige il principio tempus regit actum, secondo cui la validità di un atto è regolata dalla legge in vigore al momento del suo compimento. L’abrogazione successiva di un requisito di ammissibilità non può sanare un appello già presentato in modo invalido.

Cosa significa il principio tempus regit actum nel contesto delle norme processuali?
Significa che la legge che disciplina un atto del processo (come la presentazione di un appello) è quella in vigore nel momento esatto in cui l’atto viene compiuto. Questo principio garantisce certezza e stabilità giuridica, impedendo che le decisioni già prese vengano rimesse in discussione a ogni cambio di normativa procedurale.

Era sufficiente aver eletto domicilio nel primo grado di giudizio per rendere ammissibile l’appello secondo la vecchia normativa?
No. La Corte, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite, ha chiarito che non era sufficiente. L’atto di impugnazione doveva contenere almeno un richiamo “espresso e specifico” alla precedente dichiarazione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, per consentirne un’immediata individuazione. La sola esistenza di una precedente elezione di domicilio non era, di per sé, sufficiente a soddisfare il requisito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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