Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 46770 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 46770 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/09/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da NOME COGNOME nato a Milano 24/05/1957, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Genova del 31/07/2024,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 31/07/2024, il Tribunale del riesame di Genova rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari d Savona in data 09/07/2024 aveva rigettato la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere.
Avverso il provvedimento ricorre l’indagato ai sensi dell’articolo 310 cod. proc. pen.. Deduce il ricorrente tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge laddove l’ordinanza non ha tenuto conto del “tempo silente” intercorrente tra l’epoca di commissione del fatto e l’inizio della misura.
2.2. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione laddove l’ordinanza ha tenuto conto esclusivamente del tempo trascorso dall’inizio della misura, circostanza non dedotta dalla difesa in sede di appello.
Al contrario, nessuna motivazione viene fornita in ordine alla concreta e attuale sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, pur in assenza di condotte delittuose negli ultimi due anni e in presenza di condotte di sicuro ravvedimento, quali la cessazione di tutte le società, della partita IVA e della ditta individuale.
2.3. Con il terzo motivo, deduce travisamento dei motivi di appello, carenza e illogicità della motivazione, valutazione di esigenze cautelari non tenute in considerazione nell’ordinanza genetica.
Evidenzia il ricorrente come il pericolo di inquinamento probatorio – ritenuto sussistente dall’ordinanza impugnata – non sia tra le esigenze cautelari riscontrate nell’ordinanza genetica, fondata esclusivamente sul pericolo di reiterazione del reato.
In data 19/09/2024 l’Avv. M. COGNOME depositava, per il ricorrente, memoria con cui contestava le conclusioni del P.G. e insisteva per l’accoglimento del ricorso.
Evidenziava come, sia nella prima istanza effettuata al G.I.P. del Tribunale di Savona, sia nell’atto di appello ex art. 310 c.p.p. presentato al Tribunale del Riesame di Genova a seguito dell’impugnazione del rigetto emesso dallo stesso G.I.P. e quindi, di conseguenza, nel ricorso in Cassazione effettuato in ordine al rigetto del riesame ci si è sempre riferiti al tempo silente che parte dalla data dell’ultima contestazione effettuata al COGNOME sino alla data del suo arresto.
Pertanto, sin dalla prima impugnazione è stato contestato come l’unico motivo a sostegno dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare fosse il pericolo di reiterazione del reato e che questo potesse (e può) essere certamente escluso proprio in considerazione dei due anni intercorsi tra la data dell’ultimo fatto criminoso asseritamente commesso dal COGNOME e la data di applicazione della massima misura restrittiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo e il secondo motivo, che possono essere trattati congiuntamente stante la sostanziale identità di oggetto, sono inammissibili.
La giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo, ex multis, Sez. 2, n. 494/2024 del 13 dicembre 2023, 08/01/2024, Rigillo, n.m.) è costante nell’affermare il principio secondo il quale, ai fini della revoca o della sostituzione della misura cautelare, l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della stessa, siccome qualificabile, in presenza di ulteriori elementi di valutazione, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (Sez. 2, n. 47120 del
04/11/2021, Rv. 282590-01; Sez. 2, n. 12807 del 19/02/2020, Rv. 278999-01; Sez. 2, n. 46368 del 14/09/2016, Rv. 268567-01).
Non è pertinente, pertanto, il richiamo, peraltro generico, al cosiddetto “tempo silente”, il quale – come correttamente evidenziato nell’ordinanza impugnata (pag. 5) – assume rilievo esclusivamente nella fase genetica della misura cautelare, momento in cui il giudice è tenuto a verificare, per la prima volta, se le esigenze cautelari siano attuali o meno.
Con motivazione non manifestamente illogica il Tribunale ha pertanto ritenuto che il brevissimo lasso di tempo intercorrente dall’inizio della misura non fosse idoneo neppure ad essere valutato sotto il profilo della resipiscenza.
Né, in tutta evidenza, può avere alcun rilevo la circostanza che il c.d. “tempo silente” fosse stato dedotto anche in sede di riesame, posto che tale mezzo di impugnazione è stato respinto.
Il ricorso, che si limita a riproporre pedissequamente l’analogo profilo di censura dedotto in sede di appello e motivatamente disatteso nel provvedimento impugnato, è pertanto inammissibile per genericità (sul punto, v., ex multis, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
3. Il terzo motivo è inammissibile.
L’ordinanza impugnata (pag. 6) fonda il diniego dell’istanza di revoca o sostituzione della misura di massimo rigore con quella degli arresti domiciliari da un alto evidenziando che i reati contestati al COGNOME (reati fiscali e di bancarotta) possono essere tranquillamente essere posti in essere presso la propria abitazione (anche tramite interposta persona) e, dall’altro, che il luogo indicato per lo svolgimento degli arresti domiciliari fosse assolutamente inidoneo in quanto abitato dalla coniuge coindagata, la cui compresenza nella stessa dimora potrebbe sicuramente rafforzare il pactum sceleris e agevolare condotte di occultamento del profitto del reato.
Il ricorso non considera affatto la prima parte della motivazione, appuntando la sua doglianza esclusivamente sul secondo profilo, in relazione al quale non coglie tuttavia nel segno, essendo di tutta evidenza come la motivazione, nel citare espressamente il “consolidamento del pactum sceleris”, si riferisca al pericolo di reiterazione del reato e non anche all’inquinamento probatorio.
La doglianza, che non si confronta in modo realmente critico con il provvedimento impugnato, è quindi priva della necessaria specificità.
4. Il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att., cod. proc. pen.
Così deciso il 24/09/2024.