Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25746 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25746 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Camerun il 15/9/1986
avverso la sentenza del 18/4/2024 della Corte di appello di Napoli
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 aprile 2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia emessa il 12 ottobre 2021 dal Tribunale della stessa
città, con cui Bikai Bikai Moise è stato condannato per il reato di cui all’art. 391ter cod. pen.
Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto violazione di legge, essendo stato ritenuto integrato il reato contestato, pur se il telefono cellulare era privo d batteria, scheda SIM e cavo per l’alimentazione. Premesso che il legislatore ha esplicitamente indicato che i dispositivi devono essere idonei a effettuare comunicazioni, nel caso di specie, la Corte di appello, al pari del Giudice di primo grado, non avrebbe accertato l’idoneità dell’apparecchio rinvenuto ad effettuare comunicazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il reato di cui all’art. 391-ter cod. pen. (Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti) è stato introdotto dall’art. 9 dl. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, nell’ambito dei delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie. norma prevede che, fuori dei casi disciplinati dall’art. 391-bis (agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti a regime detentivo differenziato ai sensi dell’art. 41-bis ord. pen. in elusione delle relative prescrizioni), chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o, comunque, consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti, al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta, è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni (primo comma).
Viene sanzionato nella medesima misura anche il detenuto che riceve o utilizza tale dispositivo, salvo che il fatto non costituisca un più grave reato (terzo comma).
Il secondo comma contempla, infine, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, l’ipotesi in cui il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense.
Sulla base di quanto emerge dai lavori preparatori, l’introduzione della nuova fattispecie delittuosa rispondeva all’esigenza di contrastare il fenomeno, che era divenuto ormai endemico, dell’introduzione in carcere di apparecchi cellulari, che l’Amministrazione penitenziaria non era in condizioni di contrastare
efficacemente, essendo risultata non praticabile, dal punto di vista sia tecnico sia economico, la soluzione alternativa della cosiddetta “schermatura” degli istituti penitenziari.
Nella relazione illustrativa si espone, infatti, che «si intende introdurre nel codice penale un reato specifico per punire le condotte illecite di introduzione, possesso e utilizzo di apparecchi radionnobili o altri apparati, idonei per le comunicazioni con l’esterno, all’interno degli istituti penitenziari, al fine prevenire e di contrastare tali condotte e, soprattutto, di garantire una maggiore sicurezza all’interno delle carceri, in modo da evitare che il loro dilagare possa arrecare pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico».
La preoccupazione del legislatore, quindi, era evitare che il detenuto potesse indebitamente comunicare con l’esterno, continuando liberamente a gestire i propri traffici criminosi.
A fronte di tale ratio dell’intervento normativo, in dottrina si è sostenuto che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame va individuato nell’esigenza di garantire l’effettività della pena detentiva e della custodia cautelare in carcere, le cui finalità possono risultare frustrate dall’indebito accesso, da parte dei detenuti, a dispositivi idonei alla comunicazione, dei quali gli stessi detenuti si potrebbero servire non solo per coltivare il proprio diritto all’affettivit comunicando con i loro cari, ma anche per continuare a gestire affari illeciti.
3. Passando all’analisi più particolareggiata della disposizione normativa, si deve osservare che l’art. 391-ter cod. pen. enuclea due reati, previsti nel primo e nel terzo comma, i quali sono puniti con la stessa pena della reclusione da uno a quattro anni. Il primo comma prevede un reato comune («chiunque»), che presenta la tipica struttura della norma a più fattispecie, atteso che si contemplano tre condotte tra loro alternative, precisamente quelle di chi: 1) procura indebitamente a un detenuto un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni; 2) consente a un detenuto l’uso indebito di tali strumenti; 3) introduce in un istituto penitenziario uno dei menzionati beni al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta. Mentre le prime due fattispecie sono a dolo generico, risultando indifferente, ai fini dell’integrazione del reato, lo scopo dell’agente, in quanto estraneo alla tipicità del fatto, la terza fattispecie esige il dolo specifico («al fine di render disponibile a una persona detenuta»). Tale elemento soggettivo, come affermato in dottrina, bilancia l’anticipazione dell’offesa, che si realizza in quanto è sufficiente che l’autore del reato introduca nell’istituto penitenziario il dispositiv mentre non si richiede che il detenuto ne abbia l’effettiva disponibilità.
Il terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. prevede un reato proprio, il cui soggetto attivo qualificato è il «detenuto», e ha anch’esso la struttura della norma a più fattispecie, delineando due condotte tra loro alternative, precisamente, quelle del detenuto che indebitamente «riceve» o «utilizza» un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni. L’utilizzo della congiunzione disgiuntiva «o» implica che, affinché il reato sia integrato, non è necessario che il detenuto utilizzi il dispositivo per effettuare comunicazioni, ma è sufficiente che l’agente qualificato ne sia in possesso per averlo ricevuto.
Il presupposto di entrambi i reati di cui al primo e al terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. è che l’accesso a dispositivi idonei alla comunicazione sia indebito. Clausola, questa, di antigiuridicità espressa speciale, con cui il legislatore fa riferimento all’accesso a dispositivi di comunicazione non autorizzato dall’Amministrazione penitenziaria sulla base delle leggi e dei regolamenti.
Va sottolineato che l’art. 391-ter cod. pen., nel descrivere le condotte incriminate, menziona l’apparecchio telefonico e “altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni”.
Al riguardo questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’interpretazione letterale, teleologica e sistematica dell’art. 391-ter cit. conduce a ritenere che le condotte ivi tipizzate possono avere ad oggetto esclusivamente un apparecchio telefonico o “altro dispositivo”, con esclusione, pertanto, delle loro parti o di eventuali accessori, quali, ad esempio, la scheda SIM (Sez. 6, n. 42941 dell’11/09/2024, PG c/Collalunga, Rv. 287262 – 01).
Si è, innanzitutto, considerato che quando il legislatore ha inteso sanzionare condotte riferite a parti di determinati beni lo ha previsto espressamente: in tema di armi, ad esempio, sono state sanzionate le condotte di fabbricazione, introduzione nello Stato, vendita o cessione, senza la licenza dell’autorità, non solo delle armi da guerra o tipo guerra ma anche di parti di esse (art. 1, legge 2 ottobre 1967, n. 895) ovvero la loro detenzione (art. 2, legge cit.).
In assenza di tale esplicita previsione normativa, si è ritenuto che un ampliamento del significato delle due locuzioni, impiegate dal legislatore (“apparecchio telefonico” e “altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni”), al fine di ricomprendervi anche la sola scheda SIM, si risolve non in una interpretazione estensiva, bensì in una non consentita operazione di estensione analogica della fattispecie incriminatrice e, dunque, nella violazione dei principi di riserva di legge e di determinatezza della fattispecie nonché, conseguentemente, della correlata garanzia “soggettiva”, riconosciuta ad ogni
consociato, della prevedibilità delle conseguenze della propria condotta (cfr. Corte cost., sentenza n. 98 del 2021).
Nessuna delle due locuzioni in esame può, infatti, assumere, tra i suoi possibili significati letterali, anche quello di “carta o scheda SIM”. Il termi “apparecchio telefonico” si riferisce, infatti, ai dispositivi che consentono l comunicazione a distanza tra gli utilizzatori. Vengono, a tale riguardo, in rilievo, tra gli altri, i telefoni fissi, i telefoni mobili, gli smartphone e tutte le succ evoluzioni tecnologiche di tale strumento (ad es., in tempi recenti, i c.d. “criptofonini”). Di converso, la locuzione «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni» si riferisce agli altri dispositivi, che, pur diversi dai primi, sono questi accomunati dalla medesima destinazione funzionale.
Si è sottolineato che tale soluzione appare anche coerente con la ratio della norma. L’obiettivo perseguito, ossia impedire indebite comunicazioni da parte dei detenuti sia tra loro che all’esterno, e il principio di offensività impongono d considerare quale oggetto delle condotte materiali sanzionate dall’art. 391-ter cod. pen. il solo dispositivo nella sua unitarietà; diversamente, si finirebbe per estendere la tutela penale a fatti privi di offensività.
Nel caso in esame ciò che viene in rilievo è un apparecchio telefonico privo di scheda SIM e di batteria. Si pone, quindi, il problema di verificare se tale dispositivo possa rientrare nella previsione dell’art. 391-ter cod. pen.
La risposta negativa discende, innanzitutto, dall’interpretazione letterale della disposizione di cui all’art. 391-ter cod. pen. In essa, infatti, sono descrit condotte che hanno come alternativo oggetto materiale un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni, così che la stessa espressione utilizzata dal legislatore rende evidente che i due strumenti menzionati sono in correlazione e accomunati proprio per essere entrambi dotati di idoneità alla comunicazione. Del resto, la stessa rubrica dell’art. 391-ter cod. pen. (“accesso indebito a dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni”), sia pure al limitato fine di fornire un “sommario” dell’articolo, ma, comunque, dando indicazioni utili a comprendere l’argomento della disposizione, contempla soltanto i “dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni”, in essi, quindi includendo anche gli apparecchi telefonici, che, per l’appunto, devono avere idoneità alla comunicazione.
Inoltre, se la ratio della norma è quella di impedire la comunicazione del detenuto con l’esterno, è evidente che l’idoneità del telefono ad effettuare comunicazioni è un requisito necessario, con la conseguenza che il reato non si configura qualora l’apparecchio non sia in grado, per sue disfunzioni o altro, di
permettere le comunicazioni suddette (si pensi, ad esempio, al telefonogiocattolo oppure a quello privo di elementi interni o danneggiato).
Una diversa interpretazione finirebbe per colpire condotte in concreto inoffensive, acuendo i dubbi che tale figura delittuosa ha sollevato in punto di ragionevolezza e proporzionalità della risposta sanzionatoria. L’art. 391-ter cod. pen., infatti, è norma criticata in dottrina, non solo in quanto espressiva di una politica criminale votata all’iper-criminalizzazione, ma anche per la forte anticipazione della risposta penale che essa configura: il reato, infatti, s consuma a prescindere dal fatto che una comunicazione di qualsiasi tipo sia effettuata, e addirittura prima che il detenuto sia entrato in possesso del dispositivo.
Giova aggiungere che non possono ricomprendersi nell’alveo della norma incriminatrice le diverse condotte connotate, per lo più, dal frazionamento del singolo dispositivo o, ad esempio, dall’introduzione in tempi diversi delle singole parti così ottenute. L’oggetto materiale delle condotte alternativamente incriminate dall’art. 391-ter cod. GLYPH pen. si riferisce al solo dispositivo immediatamente utilizzabile per la comunicazione con l’esterno. Come già osservato (così sentenza citata n. 42941/2024), infatti, tali condotte, seppure ipoteticamente coerenti con la ratio della disposizione incriminatrice, si pongono in netto contrasto con il principio di legalità e di tassatività, spettando al so legislatore la valutazione in merito alla eventuale modifica della norma incriminatrice e, in particolare, all’estensione dell’oggetto materiale dell condotte tipizzate.
Alla luce di quanto precede va rilevato che, nel caso in esame, non può ritenersi configurato il reato contestato.
L’imputato, nel corso di una perquisizione all’interno della cella n. 16 della casa circondariale di Napoli-Poggioreale, è stato trovato in possesso di un apparecchio telefonico privo di scheda SIM e di batteria e, quindi, non idoneo ad essere utilizzato per comunicare.
Non risultano effettuati accertamenti sulla eventuale disponibilità da parte dell’imputato di una SIM da inserire nel dispositivo, rinvenuto in suo possesso, o sulla possibilità del funzionamento dell’apparecchio a prescindere dalla SIM. Circostanze, queste, che, in considerazione del tempo trascorso dai fatti, appaiono non più verificabili fruttuosamente.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
Così deciso il 13 maggio 2025.