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Tardività appello: quando decorre il termine?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso a causa della tardività dell’appello. La sentenza chiarisce che, per un imputato assente ma a conoscenza del procedimento, il termine per impugnare decorre dalla lettura della sentenza in udienza e non da una successiva notifica. Questo caso sottolinea l’importanza cruciale del rispetto dei termini processuali, anche in presenza di apparenti irregolarità come errori nelle generalità anagrafiche.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tardività Appello: il Termine Decorre dalla Lettura in Udienza Anche per l’Assente

Nel processo penale, il rispetto dei termini è un principio cardine. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un concetto fondamentale riguardo la tardività dell’appello, chiarendo che per l’imputato assente il termine per impugnare una sentenza decorre dalla sua lettura in udienza, se questa è contestuale al deposito delle motivazioni. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da un appello proposto avverso una sentenza di primo grado. La Corte di Appello competente dichiarava l’impugnazione inammissibile per tardività. L’imputato, tramite il suo difensore, ricorreva quindi in Cassazione, sostenendo due motivi principali. In primo luogo, lamentava un’errata identificazione anagrafica nei precedenti gradi di giudizio. In secondo luogo, contestava la dichiarazione di tardività, affermando che, essendo assente al momento della lettura della sentenza, avrebbe dovuto ricevere una notifica personale dalla quale far decorrere i termini per l’appello.

La storia processuale dell’imputato era complessa: inizialmente dichiarato ‘contumace’ e ‘irreperibile’ a causa di dati anagrafici errati, era stato successivamente identificato correttamente. Dopo aver eletto domicilio e nominato un difensore di fiducia, l’imputato non si era tuttavia mai presentato alle udienze successive, inclusa quella finale in cui il Tribunale aveva emesso la sentenza, dandone lettura in aula e depositandola contestualmente.

La Decisione della Corte e la Tardività dell’Appello

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte di Appello. Il punto centrale della sentenza è proprio la questione della tardività dell’appello. I giudici hanno stabilito che l’appello, presentato il 20 gennaio 2020 contro una sentenza letta e depositata in udienza il 19 novembre 2019, era stato depositato ben oltre il termine di 30 giorni previsto dalla legge.

La Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’imputato fosse ‘assente’. Essendo stato correttamente identificato e avendo nominato un difensore, era sua responsabilità e di quest’ultimo monitorare l’andamento del processo. La lettura della sentenza in udienza è stata considerata l’atto da cui far decorrere il termine per l’impugnazione, senza necessità di alcuna notifica ulteriore.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su un’attenta analisi della procedura. I giudici hanno chiarito che l’indicazione di ‘assente’ nella sentenza di primo grado era da intendersi come ‘non presente’, dato che l’imputato era stato precedentemente dichiarato ‘contumace’ (una condizione mai formalmente revocata nel corso del processo).

Il fulcro del ragionamento risiede nel principio secondo cui, quando la motivazione di una sentenza è letta integralmente in udienza insieme al dispositivo, il termine per impugnare decorre da quella data per tutte le parti, presenti o assenti. L’assenza dell’imputato non costituisce una giustificazione per attendere una notifica personale, soprattutto quando è rappresentato da un difensore di fiducia che ha il dovere di informarlo. La difesa, infatti, non può invocare la mancata notifica per sanare un ritardo nel deposito dell’atto di appello. L’inammissibilità per tardività, essendo un vizio pregiudiziale, ha inoltre impedito alla Corte di esaminare nel merito gli altri motivi di ricorso, come l’asserito errore nelle generalità dell’imputato.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con fermezza un principio fondamentale della procedura penale: la perentorietà dei termini processuali. La decisione sottolinea che la diligenza è un dovere sia per l’imputato che per il suo difensore. L’assenza volontaria dal processo non può trasformarsi in un vantaggio processuale, né può giustificare il mancato rispetto delle scadenze. Per gli operatori del diritto, questo rappresenta un monito a monitorare costantemente l’esito delle udienze, poiché la lettura della sentenza in aula è l’evento che, in molti casi, determina l’inizio del conto alla rovescia per proporre un’efficace impugnazione. La tardività dell’appello è un errore che preclude ogni ulteriore discussione nel merito, rendendo definitiva la decisione impugnata.

Quando inizia a decorrere il termine per impugnare una sentenza se l’imputato è assente?
Secondo questa sentenza, se la sentenza viene letta e depositata contestualmente in udienza, il termine per l’impugnazione decorre da quel momento anche per l’imputato assente che sia a conoscenza del procedimento e rappresentato da un difensore.

Un errore nelle generalità dell’imputato può sanare la tardività dell’appello?
No. La Corte ha stabilito che l’inammissibilità del ricorso per tardività è una questione pregiudiziale che impedisce di esaminare nel merito altre doglianze, inclusi eventuali errori nelle generalità anagrafiche.

Qual è la conseguenza principale della tardività dell’appello?
La conseguenza è la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione. Ciò significa che l’atto non viene esaminato nel merito, la sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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