Ordinanza di Cassazione Penale Sez. U Num. 37824 Anno 2025
Penale Ord. Sez. U Num. 37824 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/07/2025
ORDINANZA
sulla richiesta di rimessione proposta da COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA;
udita la relazione svolta dal componente NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi inammissibile la richiesta e condannarsi l’imputato al pagamento della somma di C 5.000,00 in favore della Cassa delle ammende; udito il difensore AVV_NOTAIO che ha concluso riportandosi alla memoria.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, imputato dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 392 cod. pen.) ed appropriazione indebita (art. 646 cod. pen.) nel procedimento pendente dinanzi al Tribunale di Pescara,
proponeva istanza di rimessione del processo ex art. 45 cod. proc. pen. in data 17 ottobre 2024.
1.1. Nella richiesta di rimessione l’istante deduceva che era emersa una grave situazione locale estranea alla dialettica processuale, tale da turbare il regolare svolgimento del procedimento penale, avente causa nella supina accondiscendenza degli organi giudicanti rispetto alle iniziative del pubblico ministero e nella sottoposizione del AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ad altro procedimento penale insieme con tale NOME COGNOME, soggetto difeso dallo stesso AVV_NOTAIO.
Con ordinanza del 7 gennaio 2025, depositata il successivo 29 gennaio, la Seconda Sezione Penale riteneva inammissibile la richiesta non avendo il COGNOME «allegato alcuna situazione esterna all’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende il procedimento che lo interessa, anche soltanto in astratto idonea ad inquinare la funzione, limitandosi ad elencare una serie di eventi processuali a lui sfavorevoli e lamentare la generica iniquità del suo intervenuto rinvio a giudizio». Il predetto provvedimento, sottolineava inoltre, che non poteva ritenersi in alcun modo idonea a minare l’imparzialità dei giudici del Tribunale di Pescara la rappresentata apertura di un procedimento penale a carico del AVV_NOTAIO della Repubblica presso il medesimo ufficio avente ad oggetto presunti fatti correlati a due perquisizioni subite da un assistito del COGNOME, essendo rimasta del tutto indimostrata, perché generica ed assertiva, la connessione tra le diverse vicende giudiziarie.
2.1. Ritenuta l’inammissibilità della richiesta ex art. 45 cod. proc. pen., la Seconda Sezione Penale, con la stessa ordinanza, ne disponeva la rimessione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., rilevando l’esistenza di un contrasto interpretativo in ordine alla possibilità di disporre la condanna della parte istante al pagamento delle spese processuali all’esito della pronuncia di inammissibilità o di rigetto della richiesta ex art. 45 cod. proc. pen..
Con decreto in data 7 febbraio 2025 la Prima Presidente, preso atto dell’esistenza GLYPH e della GLYPH rilevanza ai fini GLYPH della decisione del GLYPH contrasto giurisprudenziale, assegnava il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione in camera di consiglio l’odierna udienza.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato richiesta di trattazione orale e, successivamente, note scritte con le quali ha concluso per l’inammissibilità della richiesta di rimessione avanzata dall’imputato e la condanna dello stesso al pagamento della somma di C 5.000,00 alla Cassa delle ammende. Nelle suddette conclusioni l’ufficio di Procura sottolineava la diversità dell’atto introduttivo,
formalizzato da una semplice richiesta piuttosto che dal ricorso per cassazione, (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello Rv. 272011 – 01) nonché l’espresso riferimento dell’art. 616 cod. proc. pen. al solo ambito delle impugnazioni, per rimarcare l’assenza della previsione della condanna della parte privata al pagamento delle spese processuali nella disciplina dettata dall’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. a differenza di quanto previsto, in caso di rigetto o inammissibilità del ricorso, dall’art. 616 cit.; ad avviso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, pertanto, deve trarsi la conclusione che il legislatore ha voluto disciplinare differentemente le conseguenze dell’esito negativo della «richiesta» e del «ricorso» con conseguente non sovrapponibilità delle norme relative a quest’ultimo anche alla disciplina della richiesta di rimessione.
AVV_NOTAIO, nell’interesse del COGNOME, depositava memoria in cancelleria con la quale, premessa la non riconducibilità dell’istituto della rimessione al novero delle impugnazioni, chiedeva affermarsi il principio per cui alla declaratoria di rigetto od inammissibilità dell’istanza di rinnessione non segue la condanna al pagamento delle spese processuali; a fondamento di tale prospettazione la difesa sottolineava come l’istituto della rimessione del processo è rimedio sotteso all’esigenza di scongiurare il pericolo di condizionamento del giudice per effetto di gravi situazioni locali, finalizzato a garantire il principio d terzietà ed imparzialità del giudice garantito dall’art. 111 Cost.
5.1 Con memoria depositata in cancelleria il 24 giugno, NOME COGNOME insisteva nel rappresentare la sussistenza di situazioni di fatto tali da giustificare la rimessione del processo ad altra sede, sottolineando, in particolare, le iniziative assunte dal AVV_NOTAIO della Repubblica consistite nella ripetuta richiesta di archiviazione di procedimenti penali, smentita dal rinvio a giudizio a seguito di rituale opposizione della persona offesa e dalla successiva condanna degli imputati COGNOME NOME e NOME pronunciata dal Giudice di Pace di Sulmona con sentenza in data 25 marzo 2025. Insisteva, inoltre, nel rappresentare l’anomalia del procedimento che lo stesso AVV_NOTAIO della Repubblica aveva intrapreso nei confronti di un assistito dell’AVV_NOTAIO, NOME, che aveva subito due perquisizioni, a dire dello scrivente palesemente illegittime, e tali da giustificare la denuncia dello stesso AVV_NOTAIO della Repubblica da parte del NOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La rimessione della richiesta alle Sezioni Unite impone la decisione della stessa nel merito non potendo restare attribuita alla sezione semplice la
valutazione dei presupposti di cui all’art. 45 cod. proc. pen.; al proposito, infatti, deve essere richiamato il principio affermato da Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216660 – 01 secondo cui, poiché l’art. 610, comma 2, cod. proc. pen., nel contemplare i casi di assegnazione del ricorso alle Sezioni unite, non prevede la possibilità di separata definizione dei relativi motivi, come invece espressamente stabilito per il giudizio civile, sussistendone le condizioni, dalla norma, di natura eccezionale e specifica, di cui all’art. 142 disp. att. cod. proc. civ. il ricorso, una volta assegnato alle Sezioni unite, deve essere da queste definito interamente, senza che sia possibile una decisione limitata ad alcune questioni dedotte e con la contestuale riserva di definizione di quelle residue alla sezione semplice, dal momento che il meccanismo di assegnazione predisposto dal citato art. 610, identico per la sezione semplice come per le Sezioni unite, induce a ritenere che nel sistema legislativo queste ultime altro non siano che una sezione, quantunque composta da magistrati provenienti dalle varie sezioni semplici, sicché l’assegnazione del ricorso comporta la decisione su di esso, nella sua interezza e non su una o più questioni tra quelle con esso dedotte. Del resto la disposizione relativa al procedimento civile in sede di legittimità si spiega con la circostanza che quel rito prevede ipotesi di competenza esclusiva delle sezioni unite civili (ad es., sulla giurisdizione) ma la natura eccezionale e specifica della norma di cui all’art. 142 disp. att. cod. proc. civ. non consente di ipotizzare l’estensione della regola al di fuori del caso esplicitamente previsto.
Ne consegue che nella presente sede dovrà procedersi all’analisi del merito della richiesta di rimessione avanzata dal COGNOME oltre che alla definizione della questione controversa.
2. Al fine di meglio delineare la questione, appare necessario ricordare i tratti essenziali dell’istituto disciplinato dagli artt. 45 ss. cod. proc. pen.; con la rimessione del processo, il legislatore ha delineato un istituto di carattere assolutamente eccezionale, con il quale ha inteso apprestare un rimedio processuale allorché siano messe in pericolo la sicurezza o la pubblica incolumità ovvero sia gravemente compromessa la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo. Secondo l’orientamento di Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003, COGNOME, Rv. 223638 – 01 l’istituto della rimessione ha carattere eccezionale, implicando una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e, come tale, comporta la necessità di un’interpretazione restrittiva delle disposizioni che lo regolano, in esse comprese quelle che stabiliscono i presupposti per la translatio iudicii. Ne consegue che, per grave situazione locale deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da
tale abnormità e consistenza da tradursi in un pericolo concreto per la imparzialità del giudice (inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito) o della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo. I motivi di legittimo sospetto possono configurarsi solo in presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa. La predetta pronuncia chiarisce, ancora, che se l’istituto della rimessione deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge, l’eccezione è giustificata dall’esservi un pericolo concreto che il giudice, data la grave situazione locale, possa non essere imparziale. L’imparzialità è esplicitamente affermata come principio dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, la quale ha inserito i principi del giusto processo nell’art. 111 Cost. affermando, tra l’altro, che ogni processo deve svolgersi davanti ad un giudice terzo e imparziale.
In ordine alla individuazione dell’organo sospettato di essere privo di imparzialità si è poi precisato che il giudice non imparziale o sospetto di esserlo è non soltanto il giudice del processo, ma l’organo giudicante nel suo complesso (Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003, cit.), e ciò non può che essere l’effetto di una causa eccezionale.
I provvedimenti e i comportamenti del giudice possono assumere rilevanza ai fini della rimessione del processo a condizione che siano l’effetto di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sicuramente sintomatici della non imparzialità del giudice.
2.1 Va poi ricordato che l’elencazione dei presupposti della rimessione è stato oggetto di specifica modifica ad opera della legge 7 novembre 2002, n. 248 la quale ha inserito tra le cause legittimanti il trasferimento di competenza anche il «legittimo sospetto». Per effetto di tale modifica, pertanto, la rimessione del processo, prevede che tali situazioni locali si manifestino lungo una triplice, alternativa o concorrente, linea pregiudicante: pregiudizio per la libera determinazione delle persone partecipanti al processo; pregiudizio per la sicurezza o la pubblica incolumità; ragioni di legittimo sospetto di parzialità del giudice (Sez. 6, n. 17170 del 01/03/2016, COGNOME, Rv. 267170 – 01).
Una precisa determinazione dei presupposti così modificati è contenuta in Sez. U, n. 25693 del 29/05/2002, COGNOME, Rv. 222000 – 01), con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale del previgente testo dell’art. 45 cod. proc. pen., in riferimento all’art. 2, n. 17, legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, nella parte in cui non prevedeva tra le cause di rimessione il legittimo sospetto; si precisava in detta occasione come il pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, è, invero, il condizionamento che queste persone subiscono, in quanto soggetti passivi di una vera e propria coartazione fisica o psichica che, incidendo sulla loro libertà morale, impone una
determinata scelta, quella della parzialità o della non serenità, precludendone altre di segno contrario. Il «legittimo sospetto» è, invece, il ragionevole dubbio che la gravità della situazione locale possa portare il giudice a non essere, comunque, imparziale o sereno, dovendo intendersi per imparzialità la neutralità, la indifferenza del giudice, sempre inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito, rispetto all’esito del processo. La formula «legittimo sospetto» è quindi, più ampia, più comprensiva della formula «libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo», ponendo essa l’accento sull’effetto, cioè sul pericolo concreto che possano essere pregiudicate la imparzialità o la serenità, senza esigere che quell’effetto sia conseguenza della impossibilità per il giudice di essere imparziale per essere stato coartato fisicamente o psichicamente.
Anche nella interpretazione della Corte costituzionale si è sottolineata l’eccezionalità dell’istituto ed il suo stretto collegamento con il principio di imparzialità del giudice; in particolare il Giudice delle leggi (Corte cost., sent. n. 306 del 1997), ha riconosciuto come, nell’ambito del principio del giusto processo, derivante dalle disposizioni costituzionali che attengono alla disciplina della giurisdizione, rilievo centrale deve attribuirsi alla imparzialità-neutralità del giudice, in carenza della quale tutte le altre regole e garanzie processuali perderebbero di concreto significato.
Con altra pronuncia (Corte cost. sent. n. 168 del 2006) con la quale si dichiarava non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, comma 1, cod. proc. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. con riguardo alla impossibilità per la parte civile di proporre richiesta di rimessione, veniva sottolineata la natura di eccezionale presidio – a garanzia della serenità ed imparzialità del giudizio e, quindi, in ultima analisi, dello stesso valore del «giusto processo» dell’istituto, da sempre previsto soltanto per il processo penale. In questa occasione sottolineavano ancora «la peculiarità e gravità delle esigenze che l’ordinamento del processo penale intende soddisfare e bilanciare attraverso la rimessione: da un lato, il divieto di distogliere chiunque dal giudice naturale precostituito per legge; dall’altro, valori anch’essi costituzionalmente rilevanti, quali l’indipendenza e, quindi, la imparzialità dell’organo giudicante e la tutela del diritto di difesa».
L’elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo, in tema di garanzie di imparzialità del giudice ha enunciato, in termini del tutto analoghi, il principio secondo cui, ai sensi dell’art. 6, par. 1, CEDU, l’equo processo deve svolgersi dinanzi ad un «tribunale costituito per legge», espressione che
riflette un principio basilare dello Stato di diritto, la cui concreta applicazione riguarda non solo la base legale dell’esistenza stessa del tribunale, ma anche il profilo della sua composizione in ogni singola causa (Corte EDU, 08/12/2009, cit., § 213). Il tribunale, dunque, proprio per garantire l’obiettività e la trasparenza delle sue decisioni, deve essere conforme alle specifiche regole ad esso applicabili ed alle disposizioni in materia di costituzione delle sue formazioni giudiziarie (Corte EDU, 05/10/2010, RAGIONE_SOCIALE Repubblica Slovacca, §§ 58-59).
Tuttavia «i timori sulla mancanza di indipendenza e di imparzialità dei giudici nazionali che si basano unicamente sul contenuto delle decisioni giudiziarie pronunciate contro un ricorrente o sulle semplici circostanze che un giudice interno abbia commesso errori di fatto o di diritto e che la sua decisione sia stata annullata da una istanza superiore non possono essere considerati obiettivamente giustificati» (Corte EDU, 08/12/2009, Previti c. Italia, § 258).
5. L’applicazione dei sopra esposti principi deve fare concludere per l’inammissibilità della richiesta avanzata da NOME COGNOME e già anticipata nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Seconda Sezione Penale; il richiedente, non ha allegato alcuna situazione esterna tale da integrare una «grave situazione locale» che possa concretamente pregiudicare la libera determinazione delle persone che partecipano al processo o, comunque, far rilevare il legittimo sospetto del difetto di imparzialità dell’intero ufficio giudiziario ove è in corso il dibattimento che lo vede imputato. L’istante, invero, si è limitato a rappresentare, anche nella memoria successivamente depositata in cancelleria, una serie di eventi a lui sfavorevoli ed a lamentare l’iniquità del suo rinvio a giudizio senza però che tali circostanze appaiano in alcun modo idonee a far dubitare dell’imparzialità del Tribunale di Pescara dinanzi al quale lo stesso è imputato.
Del tutto prive di qualsiasi aspetto rilevante ai fini della rimessione del processo appaiono, poi, le vicende del procedimento penale nei confronti di NOME NOME sia perché prive di diretta e chiara connessione con il procedimento in cui COGNOME è imputato sia perché la supposta illegittimità delle perquisizioni subite dal predetto e la denuncia del pubblico ministero da parte dell’indagato non costituiscono in alcun modo circostanze idonee a far dubitare della imparzialità dell’ufficio giudiziario che procede.
La declaratoria di inammissibilità della richiesta determina la necessità di affrontare la questione della eventuale condanna alle spese del procedimento.
6. La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente: “Se in caso di rigetto o di declaratoria d’inammissibilità della richiesta di rimessione, la parte
privata richiedente debba essere condannata al pagamento delle spese processuali”.
7. In tema di spese processuali va precisato che il termine è generalmente riferito a tutti gli esborsi che costituiscono il costo del processo, cioè a tutti gl oneri economici relativi ad attività direttamente coordinate con lo svolgimento del processo; detti oneri vanno suddivisi in due distinte categorie, l’una riconducibile ad ogni esborso derivante da prestazioni del servizio giustizia ad opera dell’apparato pubblico, l’altra riferibile ad ogni compenso da corrispondere a soggetti privati per attività svolte nel processo o ad esso connesse.
In particolare, secondo l’art. 4 del d.P.R. n.115 del 2002 « le spese del processo penale sono anticipate dall’erario» e il relativo regolamento si rinviene per il giudizio di merito nell’art. 535 cod. proc. pen. a mente del quale « la sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali» mentre per il giudizio di cassazione nell’art. 616 cod. proc. pen. in base al quale «con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento».
Chiamate a pronunciarsi sul tema delle spese Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, Min. tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222265 – 01 non mass. sul punto, hanno individuato nell’art. 91 cod. proc. civ. la disposizione cardine dell’intero ordinamento giuridico che ne costituisce principio fondamentale, essendo ragionevolmente ispirato alla fondamentale regola del “chi perde paga”, salvo restando il potere discrezionale del giudice di stabilire la parziale o totale compensazione, in presenza di speciali esigenze di equità o della reciproca soccombenza. La stessa pronuncia afferma poi che il carico delle spese del procedimento, ove non trovi una specifica regolamentazione, segue il principio di causalità e soccombenza di cui è espressione non soltanto la previsione AVV_NOTAIO contenuta nell’art. 541 cod. proc. pen. ma ancor più l’art. 616 cod. proc. pen., secondo cui, con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento.
Le nozioni stabilite da detta pronuncia hanno trovato conferma ed approfondimento in Sez. U, n. 35760 del 09/07/2003, Min. economia in proc. Azgejui, Rv. 225471 – 01 che in motivazione hanno ribadito che, per la regolamentazione delle spese di parte, deve trovare necessaria applicazione, come regola fondamentale dell’ordinamento, il principio di causalità, di cui la soccombenza è un elemento rilevatore (che opera anche in caso di azione necessaria ed al quale si conformano sia l’art. 91 cod. proc. civ. sia l’art. 541 cod. proc. pen.).
8. Fatte tali premesse in ordine alla natura ed ai presupposti degli istituti, in relazione alla questione controversa nella giurisprudenza di legittimità si confrontano due distinti orientamenti.
Secondo un primo indirizzo, nell’ipotesi di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità della richiesta di rimessione presentata dall’imputato, consegue obbligatoriamente la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento, oltre a quella facoltativa, prevista dall’art. 48, comma 6, cod. proc. pen., relativa al pagamento di una somma di denaro a favore della cassa delle ammende (Sez. 6, n. 46023 del 11/10/2023, NOME, non mass; Sez. 5, n.27453 del 17/02/2023, NOME, non mass; Sez. 5, n. 49692 del 04/10/2017, C., Rv. 271438 – 01; Sez. 1, n. 944 del 09/02/2000, COGNOME, Rv. 216006 – 01; Sez. 1, n. 4633 del 15/07/1996, COGNOME, Rv. 205587 – 01). Tale soluzione muove dalla constatazione che in tema di procedimenti incidentali trova applicazione il principio AVV_NOTAIO, fissato per tutti i giudizi da celebrarsi davanti alla Corte di cassazione (ivi compresi quelli riservati alla sua competenza funzionale) dall’art. 616 cod. proc. pen., prima parte, per cui le spese processuali, anticipate dallo Stato, vanno poste a carico di chi ha dato infondatamente luogo al relativo incidente. Si osserva che la soluzione che esclude la condanna alle spese in caso di rigetto ovvero inammissibilità della richiesta di rimessione non tiene conto della circostanza che la previsione della condanna alle spese del procedimento è stabilita in via AVV_NOTAIO dalla prima parte dell’art. 616 cod. proc. pen., quale statuizione accessoria dei provvedimenti della Corte di cassazione: a fronte di tale dato testuale, la disciplina di cui all’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. introduce una previsione speciale quanto all’entità della somma oggetto di condanna in favore della Cassa delle ammende, ma non priva la norma del Capo III del Titolo III, dedicato al ricorso per cassazione, della sua specifica valenza in relazione alle decisioni della Corte di cassazione.
La tesi in esame richiama, a sostegno della condanna alle spese all’esito della dichiarazione di inammissibilità o rigetto della richiesta di rimessione, il principio espresso da Sez. U, n. 26 del 05/07/1995, COGNOME, Rv. 202014 – 01 con riferimento ai procedimenti incidentali secondo cui, poiché il riesame ha natura di mezzo di impugnazione, deve trovare applicazione, anche con riguardo ad esso, il principio AVV_NOTAIO fissato dall’art. 592, comma 1, cod. proc. pen.; pertanto, atteso che l’ordinanza di rigetto o di inammissibilità del gravame, pronunziata dal tribunale, esaurisce in via definitiva il procedimento incidentale e determina la soccombenza dell’istante, legittimamente viene disposta, con tale provvedimento, la condanna al pagamento delle spese processuali. Si afferma che, del tutto analogamente, anche nel caso di declaratoria di inammissibilità o rigetto
pronunciata nel giudizio di rimessione, ricorrono entrambi i presupposti che, secondo Sez. U, COGNOME fondano la condanna alle spese processuali: da un lato l’essere la statuizione contenuta in un provvedimento definitivo (nel senso che conclude il procedimento dinanzi al giudice che ne è stato investito) e, dall’altro, la soccombenza, non rilevando che essa riguardi il giudizio principale sulla responsabilità, o un procedimento incidentale.
Va ricordato che il principio stabilito da Sez. U, COGNOME, risulta confermato da altro successivo intervento dello stesso organo che ha ribadito, in tema di riesame di misura cautelare reale, che poiché il riesame ha natura di mezzo di impugnazione, nel relativo procedimento si applica il principio AVV_NOTAIO delle impugnazioni, in virtù del quale al rigetto o alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza consegue di diritto la condanna alle spese (Sez. U, n. 22 del 20/11/1996, dep. 1997, COGNOME, Rv. 206485 – 01).
Secondo l’orientamento favorevole alla condanna al pagamento delle spese processuali in caso di rigetto o di inammissibilità della richiesta ex art. 45 cod. proc. pen., il provvedimento pronunciato dalla Corte di cassazione in esito al giudizio di rimessione presenta il carattere della definitività e della soccombenza.
8.1. A tale indirizzo se ne contrappone altro secondo cui, in tema di rimessione del processo, la declaratoria di inammissibilità della richiesta non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, in quanto nulla prevede al riguardo l’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. e tale disposizione è insuscettibile di integrazione mediante l’art. 616 cod. proc. pen., tenuto conto della peculiare natura dell’istituto e dell’atto introduttivo del relativo procedimento (Sez. 3, n. 42478 del 14/10/2024, C., Rv. 287141 – 01; Sez. 7, n. 47089 del 08/11/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 6, Ordinanza n. 43548 del 03/10/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 43540 del 19/09/2023, COGNOME, Rv. 285359 – 01; Sez. 2, n. 15480 del 21/02/2017, COGNOME, Rv. 269969 -01). In tali pronunce viene sottolineato che l’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. non prevede la condanna alle spese processuali e, che (vedi Sez. 2, n. 15480 del 21/02/2017, cit.) la richiesta di rimessione non è equiparabile ad un mezzo di impugnazione, trattandosi, piuttosto, di un mezzo a disposizione dell’imputato caratterizzato, nella sua funzione tipica di scongiurare il pericolo di condizionamento della funzione giudiziaria per effetto di gravi situazioni locali, dal concorso di un evidente interesse pubblico istituzionale, che trova specifico presidio costituzionale nel principio della terzietà e imparzialità del giudice fissato dall’art. 111 Cost..
Le Sezioni Unite ritengono di aderire al secondo degli orientamenti esposti, dovendosi affermare che alla dichiarazione di rigetto o di inammissibilità della
richiesta di rimessione del processo ex art. 45 cod. proc. pen. non consegua la condanna al pagamento delle spese processuali.
Occorre in primo luogo evidenziare come gli artt. da 45 a 49 del codice di rito, contenuti nel Libro I, Titolo I, Capo VIII, contengono una disciplina particolareggiata dei presupposti e delle forme della richiesta di rimessione, oltre che della relativa decisione. Tale articolato e specifico assetto normativo fa ritenere esaustiva la regolamentazione dell’istituto che non contiene alcun richiamo né alla disciplina AVV_NOTAIO delle impugnazioni né della trattazione e decisione dei ricorsi dinanzi la corte di legittimità.
In particolare, l’art. 46 cod. proc. pen. regola la forma della richiesta ed i provvedimenti del giudice di merito conseguenti alla sua presentazione stabilendo, al terzo comma, la competenza inderogabile ed in unico grado a decidere della Corte di cassazione. L’art. 47 cod. proc. pen., a sua volta, disciplina gli effetti della richiesta con particolare riferimento alla sospensione del giudizio di merito in attesa della decisione sulla stessa. L’art. 48 cod. proc. pen., poi, disciplina compiutamente il procedimento dinanzi la Corte di cassazione stabilendo lo svolgimento dello stesso con le forme dell’art. 127 cod. proc. pen., la decisione con ordinanza, la condanna, facoltativa, al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende. Infine, l’art. 49 cod. proc. pen. prevede la reiterabilità della rimessione in presenza di nuovi e differenti presupposti.
Si tratta di un sottosistema compiuto che dedica una disciplina specifica al procedimento di rimessione (artt. 45 e ss. cod. proc. pen.) e all’interno del quale assume pregnante rilievo il tenore letterale dell’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. il quale esclude che alla dichiarazione di inammissibilità o di rigetto della richiesta di rimessione del processo segua la condanna al pagamento delle spese processuali prevedendo solamente la possibilità di irrogazione di una somma in favore della cassa delle ammende.
9.1. Le Sezioni Unite hanno, in plurime occasioni, sottolineato come il criterio fondamentale cui occorre attenersi nell’interpretazione delle disposizioni di legge è quello del rispetto del dato letterale dei testi normativi (Sez. U, n. 42125 del 27/06/2024, Cirelli, Rv. 287096 – 01, non mass. sul punto). L’interpretazione letterale «costituisce un limite insuperabile anche quando si proceda ad una interpretazione estensiva» (Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, dep. 2024, L., non mass. sul punto). Essa costituisce il canone ermeneutico prioritario per l’interprete, pur ricavandosi dall’art. 12 preleggi che l’ulteriore canone dato dall’interpretazione logica e sistematica soccorre e integra il significato proprio delle parole, arricchendole della ratio della norma e del suo coordinamento nel sistema nel quale va ad inserirsi. Tale criterio, però, non può servire a travalicare il dato letterale, quando la disposizione idonea a decidere la controversia è chiara
e precisa. Viceversa, solo se si riscontri un ingiustificato vuoto di disciplina capace di menomare la precisione della disposizione, l’interprete ha agio di ricorrere all’interpretazione estensiva o analogica (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru, Rv. 267884 – 01 non mass. sul punto).
9.2. Una conclusione del genere è avvalorata dai principi enunciati da Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010 – 01 che, nell’esaminare gli effetti innovativi derivanti dalla modifica dell’art. 613 cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017 n. 103 quanto alla eliminazione dell’imputato tra i soggetti legittimati alla proposizione personale del ricorso per cassazione anche in materia di provvedimenti cautelari personali, hanno testualmente precisato che «estranei all’ambito di applicazione della nuova disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. devono ritenersi, di contro, quei casi (ad es., il procedimento incidentale originato da una richiesta di rimessione avanzata dall’imputato ai sensi dell’art. 45 cod. proc. pen.) in cui la Corte di cassazione sia investita di una particolare competenza non demandatale per effetto di un ricorso». Il mantenimento della legittimazione personale dell’imputato alla proposizione della istanza di rimessione affermato dalla suddetta pronuncia trova, quindi, fondamento in una lettura dell’istituto della rimessione del processo che ne esclude la natura di mezzo di impugnazione, non proponendosi la rivalutazione di un precedente provvedimento. Inoltre, la stessa pronuncia esclude l’assimilabilità al ricorso per cassazione della richiesta avanzata ex art. 45 cod. proc. pen., finalizzata ad ottenere lo spostamento di competenza per effetto di una grave situazione locale.
Affermata espressamente, da Sez. U, Aiello, la non applicabilità alla rimessione del processo della disciplina dettata dagli artt. 571 e 613 cod. proc. pen., deve parallelamente escludersi la possibilità di richiamare le previsioni dettate dall’art. 616 cod. proc. pen. e ciò perché non si verte né in casi di ricorso per cassazione né in tema di impugnazione di precedente provvedimento.
9.3. Anche la collocazione sistematica dell’istituto deve fare propendere per la non applicabilità allo stesso delle regole dettate in tema di giudizi di impugnazione e di ricorso per cassazione in particolare. Gli artt. da 45 a 49 del codice di rito sono contenuti nel Libro I (dedicato ai soggetti del processo), Titolo I (dedicato alla figura del Giudice), Capo VIII (destinato proprio alla disciplina della rimessione causata dalla insorgenza di una grave situazione locale). Le norme seguono i principi dettati in tema di determinazione della competenza per materia, per territorio e per connessione, nonché la disciplina contenuta nel Capo VII riguardante l’incompatibilità del giudice determinata dal compimento di atti del procedimento (art. 34 cod. proc. pen.) ovvero da rapporti di parentela, affinità o coniugio con una delle parti (art. 35 cod. proc. pen.) ed i rimedi della astensione
e della ricusazione (artt. 36 e 37 cod. proc. pen.) apprestati dall’ordinamento per risolvere le condizioni di difetto di imparzialità che possono eventualmente affliggere il singolo giudice chiamato a pronunciarsi nelle diverse fasi processuali. A fronte di tali previsioni, riguardanti il possibile difetto di imparzialità del singolo giudice, le norme sulla rimessione trovano fondamento nella esistenza di una grave situazione locale che, in quanto tale, impone, una volta che ne sia stata accertata l’esistenza, la deroga alle norme sulla competenza territoriale e ciò perché il pericolo concreto dell’assenza d’imparzialità riguarda l’organo nel suo complesso e non il giudice o i giudici del processo (Sez. 3, n. 24050 del 18/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273116 – 01; Sez. 3, n. 23962 del 12/05/2015, Rv. 263952 – 01; Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003, COGNOME, Rv. 223635 – 01). Invero «solo se è interessato gravemente il territorio, che è ciò che sta intorno al processo, può dirsi, a ragione, che anche ogni altro giudice del luogo – diversamente da quanto accade nella ricusazione – si sarebbe comportato, con alto grado di probabilità, come si sono comportati, con i loro provvedimenti, effetto della grave situazione e sintomatici della non imparzialità, i giudici del processo» (Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003, cit.).
Appare pertanto evidente che il presupposto oggettivo che impone l’intervento della Corte di cassazione è l’insorgenza di quella «grave situazione locale» che giustifica la deroga alle ordinarie norme in tema di competenza e non il vaglio di legittimità di un precedente provvedimento.
9.4. Quanto alla individuazione del giudice competente a decidere nella Corte di cassazione deve escludersi che la ratio di tale previsione vada collegata alla disciplina dettata dall’art. 111, comma 7, Cost. secondo cui ogni cittadino può ricorrere alla Corte di Cassazione per violazione di legge contro i provvedimenti dell’autorità giudiziaria sulla libertà personale e contro le sentenze; viceversa l’attribuzione alla Corte si spiega nel senso della capacità di detto organo di vertice della giurisdizione nazionale di valutare obiettivamente la gravità della situazione locale; essa è cioè quell’osservatore esterno che può osservare e giudicare la sussistenza di condizioni talmente pregnanti ed eccezionali da pregiudicare l’imparzialità dell’intero organo giudicante dinanzi al quale è in corso il processo.
In questo senso, quindi, deve escludersi che la richiesta di rimessione sia in qualche modo assimilabile al ricorso per cassazione e si giustificano quelle affermazioni, anche dottrinali, secondo le quali nei casi disciplinati dall’art. 45 cod. proc. pen. la cassazione è giudice anche del fatto, potendo assumere opportune informazioni ex art. 48, comma 1, cod. proc. pen. e ciò a dimostrazione della peculiarità dell’istituto e della sua eterogeneità rispetto ai casi di ricorso ex art. 606 cod. proc. pen..
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Al proposito risulta efficacemente sottolineato, da parte di una delle pronunce favorevoli all’orientamento che si accoglie, come l’espresso riferimento normativo alla natura dell’atto introduttivo del procedimento quale richiesta e non ricorso comporta una differenza sostanziale e non meramente lessicale ed «esprime la differente funzione dell’atto introduttivo che, nel caso del ricorso per cassazione, rappresenta lo strumento attraverso il quale l’interessato deduce dinanzi al giudice di legittimità uno o più dei vizi indicati dall’art. 606 cod. proc. pen. da cui assume essere affetto il provvedimento impugnato. La “richiesta” di rimessione, invece, ha un contenuto rappresentativo degli elementi fattuali correlati ad una situazione esterna al processo» (Sez. 6, n. 43540 del 19/09/2023 cit.).
9.5. La peculiarità del procedimento dinanzi la Corte di cassazione quale giudice anche del fatto è tema affrontato dalla giurisprudenza di legittimità in alcune pronunce che hanno sottolineato gli aspetti distintivi della richiesta di rimessione rispetto alla trattazione ordinaria dei ricorsi ex artt. 606 e segg. cod. proc. pen.. Due sono gli aspetti maggiormente rilevanti sotto tale profilo sicuramente individuabili nella facoltà del giudice procedente di trasmettere eventuali osservazioni unitamente alla richiesta, prevista espressamente dall’art. 46, comma 3, cod. proc. pen., e nel potere della Corte di cassazione di disporre l’acquisizione di «opportune informazioni» prima della decisione, stabilita dal comma 1 dell’art. 48 cod. proc. pen..
Sotto il primo profilo, si prospetta la partecipazione diretta del giudice della cui imparzialità si dubita allo stesso procedimento di rimessione attraverso la presentazione di osservazioni che devono avere ad oggetto la sussistenza e permanenza di quelle «gravi situazioni locali» tali da pregiudicare l’imparzialità dell’intero ufficio giudicante che procede ovvero determinare «motivi di legittimo sospetto». Al proposito va ricordato come le Sezioni Unite abbiano affermato che è legittima l’acquisizione agli atti del procedimento di rimessione di osservazioni del giudice del processo principale non trasmesse alla Corte di cassazione contestualmente alla richiesta e ai documenti allegati, come prescritto dal comma 3 dell’art. 46 cod. proc. pen., ma in un momento successivo, in quanto il comma 4 del medesimo articolo prevede come causa di inammissibilità della richiesta l’inosservanza delle forme e dei termini previsti dai commi 1 e 2, ma non ricollega alcuna sanzione processuale al mancato rispetto delle forme e dei termini stabiliti nel comma 3 (Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003, cit.). In detta pronuncia, preso atto della trasmissione di osservazioni da parte del giudice del tribunale procedente aventi ad oggetto proprio la questione del «legittimo sospetto» circa il difetto di imparzialità, le Sezioni Unite hanno anche affermato la legittimità della trasmissione di memorie aventi ad oggetto sempre il presupposto della richiesta da parte del pubblico ministero quando richiedente sia l’imputato osservando come
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«se il pubblico ministero è parte non può non avvalersi della facoltà attribuita alle parti dall’art. 121 c.p.p., il quale, nel comma 1, dispone, che, “in ogni stato e grado del procedimento, le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito in cancelleria”. Del resto, non ci sarebbe ragione di notificare la richiesta al pubblico ministero se questo non avesse la possibilità di svolgere alcuna attività in difesa della propria posizione processuale».
Così come ricostruito dalle Sezioni Unite, pertanto, il contraddittorio processuale della richiesta di rimessione dinanzi la Corte di cassazione assume certamente carattere peculiare poiché, a fronte della rappresentazione della grave situazione di fatto da parte dell’istante, si prospetta la facoltà di presentare memorie delle altre parti processuali e di «osservazioni» da parte del giudice che procede che sarà quindi libero di contestare la rappresentazione dei fatti contenuta nella istanza. Osservazioni del giudice che procede che paiono del tutto estranee al sistema delle impugnazioni penali in cui il giudice a quo non è destinatario di alcuna facoltà rispetto alla fondatezza del gravame, riservata per definizione alla valutazione del giudice ad quem.
Anche la facoltà di assumere informazioni espressamente disciplinata dal già citato comma 1 dell’art. 48 cod. proc. pen. evidenzia la peculiarità dell’istituto ed il differente ruolo svolto dalla Corte di cassazione. Al riguardo è stato affermato che in materia di rimessione del processo, ai sensi degli artt. 45 e segg. cod. proc. pen., la Corte di cassazione, come si desume dall’art. 48, comma 1, stesso codice (nel quale è previsto il potere, per la Corte medesima, di assumere, se necessario, le opportune informazioni), è giudice anche del fatto; il che implica, fra l’altro, che essa ha poteri d’ufficio di ricerca della prova della effettiva esistenza dei presupposti legittimanti la rimessione, relativamente ai quali le parti sono invece tenute ad un mero onere di allegazione (Sez. 1, n. 1290 del 16/03/1994, COGNOME, Rv. 197416 – 01). Ed il riferimento espresso alla possibilità di ricerca di ufficio da parte della Corte di cassazione della prova delle «gravi situazioni locali», tali da causare il pregiudizio dell’indipendenza ed imparzialità dell’ufficio che procede od il legittimo sospetto dello stesso, costituisce un’ulteriore caratteristica che palesa la diversità strutturale tra la richiesta di rimessione ed il ricorso per cassazione.
10. Deve poi essere escluso che all’istituto della rimessione del processo possano applicarsi i principi dettati da Sez. U, n. 26 del 05/07/1995, COGNOME, cit. e successivamente da Sez. U, n. 22 del 20/11/1996, dep. 1997, cit., frequentemente richiamate dalla tesi favorevole alla condanna al pagamento delle spese processuali in caso di inammissibilità o rigetto della richiesta di rimessione. Sez. U, COGNOME, in tema di riesame personale, hanno infatti precisato che la condanna alle spese processuali poggia su due presupposti, rispettivamente
integrati dal dover essere tale statuizione contenuta in un provvedimento definitivo, per tale intendendosi quello che concluda il procedimento dinanzi al giudice che ne è stato investito, e dalla soccombenza, costituito dal mancato accoglimento dell’impugnazione proposta, attenga quest’ultima al giudizio principale sulla responsabilità, ovvero ad un procedimento incidentale. In motivazione la pronuncia sottolinea che «il diverso (e poi accolto) orientamento poggia invece sulla natura di mezzo di impugnazione attribuita dal nuovo codice al rimedio del riesame e sulla conseguente applicabilità a quest’ultimo del citato art. 592, nonché su un più ampio concetto di soccombenza inteso come mancato accoglimento dell’istanza proposta».
Il principio risulta esattamente ribadito successivamente da Sez. U, n. 22 del 20/11/1996, dep. 1997, COGNOME, cit., in tema di riesame cautelare reale, secondo le quali, poiché il riesame ha natura di mezzo di impugnazione, nel relativo procedimento si applica il principio AVV_NOTAIO delle impugnazioni, in virtù del quale al rigetto o alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza consegue di diritto la condanna alle spese; in motivazione si è affermato che «la prima constatazione concerne la collocazione dell’istituto del riesame delle misure cautelari reali nel Libro IV Titolo II capo III intitolato “Impugnazioni”, così come quello (Titolo I capo VI) concernente le misure cautelari personali. La voluntas legis risulta, pertanto, evidenziata nella stessa dizione letterale… Ne deriva, però, che, per tutto quanto non stabilito in modo espresso, valgono le regole generali in materia di gravame. A conferma di questa interpretazione va osservato che l’art. 592 – a differenza dell’abrogato art. 213 – riferisce la condanna alle spese non ad una “sentenza” ma ad un “provvedimento”, nella cui nozione rientra la pronunzia de qua».
I casi presi in considerazione da dette sentenze, quindi, hanno sempre ad oggetto procedure in cui il ricorso è proposto contro un precedente provvedimento ed in cui la soccombenza è correlata al rigetto o alla inammissibilità dei rilievi proposti avverso di esso
In entrambe le pronunce, pertanto, è inequivocabile il richiamo alla soccombenza dell’impugnazione quale presupposto imprescindibile per la statuizione accessoria di condanna al pagamento delle spese processuali, avendo sia il riesame personale che quello reale proprio tale natura. Anche le successive Sez. U, n. 41476 del 25/10/2005, Misiano, Rv. 232165 – 01 hanno ribadito il principio del necessario ed imprescindibile collegamento tra condanna al pagamento delle spese processuali e soccombenza nell’impugnazione; si è difatti affermato che in tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l’obbligo di condannare la parte civile al pagamento delle spese del processo, nel caso in cui l’impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione
dell’imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del P.M.; in motivazione le Sezioni Unite osservavano in tale occasione «che nel codice di procedura penale vige al contrario un principio AVV_NOTAIO di responsabilità che pone le spese del processo a carico di tutte le parti private soccombenti. Così, lo stesso art. 592, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce la responsabilità solidale per le spese processuali anche a carico dei coimputati che hanno partecipato attivamente al giudizio in conseguenza dell’effetto estensivo della impugnazione, quando questa sia stata rigettata o dichiarata inammissibile. Ciò significa che il legislatore pone a carico solidale dell’imputato le spese del giudizio di impugnazione, anche quando questi non promuove il giudizio, ma si limita a partecipare ad esso in virtù dell’effetto estensivo dell’impugnazione».
Il principio del collegamento tra soccombenza nell’impugnazione e condanna al pagamento delle spese processuali risulta ribadito, infine, dalle successive Sez. U, n. 36541 del 26/06/2008, COGNOME, Rv. 240508 – 01 secondo cui il mancato accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’estradando contro la sentenza della corte di appello favorevole all’estradizione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; in tale occasione si affermava «la pacifica natura giurisdizionale del procedimento, nel quale l’estradando è parte, e quella di mezzo di impugnazione del ricorso per cassazione “anche per il merito” di cui all’art. 706 cod. proc. pen.; ne segue che la sentenza di rigetto o di inammissibilità del gravame, esaurendo in via definitiva la fase incidentale di competenza dell’Autorità giudiziaria, determina la soccombenza del ricorrente, onde legittimamente ne viene disposta la condanna al pagamento delle spese della procedura».
Può, pertanto, affermarsi che nell’elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite sussiste uno stretto collegamento tra soccombenza nel giudizio di impugnazione e condanna al pagamento delle spese processuali non applicabile all’istituto della rimessione del processo ex artt. 45 ss. cod. proc. pen. privo della natura di mezzo di gravame ed attivato attraverso un atto, ovvero la richiesta di cui all’art. 46 cod. proc.pen., strutturalmente differente dal ricorso per cassazione in materia di procedimenti principali o incidentali.
11. L’esclusione della condanna al pagamento delle spese processuali della parte privata che l’abbia proposta viene affermata dalla prevalente giurisprudenza di legittimità anche in analoghi casi nei quali alla Corte di cassazione è assegnata una competenza funzionale a decidere al di fuori di un procedimento di impugnazione; si ricorda in proposito come sia stato affermato che alla declaratoria di inammissibilità della richiesta di restituzione nel termine non consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento, non avendo
tale richiesta natura di mezzo di impugnazione (Sez. 5, n. 15776 del 16/01/2023, Metreveli, Rv. 284388 – 01; Sez. 4, n. 6442 del 24/01/2012, COGNOME, non mass.).
Alla luce delle predette considerazioni, deve formularsi il seguente principio di diritto:
“Alla declaratoria di inammissibilità o di rigetto della richiesta di rimessione del processo non segue la condanna della parte istante al pagamento delle spese processuali”.
In conclusione, la richiesta deve ritenersi inammissibile perché proposta in assenza dei presupposti indicati dall’art. 45 cod. proc. pen.; alla declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 48 comma 6, cod. proc. pen., la condanna dell’istante al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dalla istanza, si determina equitativamente in euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile la richiesta e condanna l’istante al versamento della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 10/07/2025.