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Spese di lite ingiusta detenzione: chi paga?

La Cassazione ha stabilito che nel procedimento per la riparazione per ingiusta detenzione, il Ministero dell’Economia e delle Finanze non deve pagare le spese di lite se non si oppone alla domanda del cittadino. Anche se la procedura giudiziale è necessaria, l’amministrazione non è considerata ‘parte soccombente’ se non contesta la pretesa, e quindi le spese legali restano a carico di chi le ha anticipate.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spese di Lite per Ingiusta Detenzione: la Cassazione Chiarisce Chi Paga

Quando un cittadino ottiene un indennizzo per ingiusta detenzione, sorge una domanda cruciale: chi paga le spese legali del procedimento? Con la sentenza n. 20777/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di spese di lite ingiusta detenzione, stabilendo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze non è tenuto al rimborso se non si oppone attivamente alla richiesta del cittadino. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Domanda di Riparazione

Un cittadino, dopo aver subito un periodo di arresti domiciliari, vedeva annullata l’ordinanza cautelare per difetto di gravità indiziaria, con successiva archiviazione del procedimento a suo carico. Di conseguenza, presentava domanda alla Corte d’Appello per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, come previsto dalla legge.

La Corte d’Appello di Salerno accoglieva la domanda, riconoscendo al ricorrente un indennizzo di 4.500,00 euro per i diciotto giorni di detenzione e per il pregiudizio non patrimoniale subito (disturbo d’ansia). Oltre all’indennizzo, la Corte condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze a rimborsare al cittadino le spese legali sostenute, liquidate in 2.300,00 euro oltre accessori.

Il Ricorso per Cassazione e le Spese di Lite Ingiusta Detenzione

Contro questa decisione, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per Cassazione, ma non per contestare il diritto all’indennizzo, bensì unicamente per la parte relativa alla condanna al pagamento delle spese di lite.

Il Ministero ha sostenuto che la condanna alle spese è legittima solo quando l’amministrazione si costituisce in giudizio e svolge un’attività difensiva volta a contrastare la pretesa del cittadino. Nel caso di specie, il Ministero non si era opposto alla domanda, limitandosi a subire il procedimento come parte necessaria. Pertanto, secondo il ricorrente, non poteva essere considerato ‘parte soccombente’ e, di conseguenza, non doveva essere condannato al pagamento delle spese.

Il Principio della Soccombenza Virtuale

La questione ruota attorno al principio della soccombenza, disciplinato dall’art. 91 del codice di procedura civile, secondo cui ‘chi perde paga’. La Corte doveva stabilire se, in un procedimento come quello per ingiusta detenzione, lo Stato possa essere considerato ‘perdente’ anche quando non si difende attivamente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso del Ministero. Gli Ermellini hanno chiarito che il procedimento per la riparazione per ingiusta detenzione è a contraddittorio necessario, il che significa che il Ministero deve essere obbligatoriamente citato in giudizio. Tuttavia, non è un procedimento a carattere contenzioso necessario.

Questo significa che l’amministrazione può scegliere di non costituirsi o di aderire alla richiesta del privato. In questi casi, non essendoci un reale contrasto di interessi, non si configura una soccombenza. Lo Stato, pur essendo il soggetto tenuto a pagare l’indennizzo, non può essere considerato ‘sconfitto’ nel processo se non ha resistito alla domanda. La necessità di un procedimento giudiziale per ottenere l’indennizzo non trasforma automaticamente lo Stato in una parte soccombente.

La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato, anche successivo alle modifiche dell’art. 92 del codice di procedura civile, affermando che la Pubblica Amministrazione non può essere condannata al rimborso delle spese processuali se non si oppone in alcun modo alla richiesta del privato. La condanna alle spese, quindi, presuppone un comportamento processuale di resistenza che, in questo caso, è mancato.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello, limitatamente alla parte in cui condannava il Ministero al pagamento delle spese di lite. Ha quindi eliminato tale statuizione, stabilendo che le spese del giudizio dovevano rimanere a carico delle parti che le avevano anticipate. Questa sentenza consolida un importante principio: nel contesto delle spese di lite ingiusta detenzione, l’atteggiamento processuale dello Stato è determinante. Solo una opposizione attiva e una conseguente sconfitta in giudizio possono giustificare la condanna al rimborso delle spese legali del cittadino.

In un procedimento per ingiusta detenzione, il Ministero dell’Economia deve sempre pagare le spese legali del cittadino?
No. Secondo la sentenza, il Ministero è tenuto al pagamento delle spese legali solo se si costituisce in giudizio e si oppone attivamente alla domanda di indennizzo del cittadino, risultando poi ‘soccombente’ (perdente).

Cosa significa che il Ministero non è ‘parte soccombente’ se non si oppone alla domanda?
Significa che, pur essendo la parte tenuta per legge a pagare l’indennizzo, la sua mancata opposizione alla richiesta del cittadino evita che si crei un vero e proprio conflitto processuale. Non essendoci una ‘lotta’ giudiziaria, non c’è un vincitore e un perdente in senso stretto, e quindi non si applica il principio ‘chi perde paga’ per le spese legali.

Perché il cittadino deve avviare una causa se lo Stato non si oppone al pagamento dell’indennizzo?
La procedura giudiziale è assolutamente necessaria perché la legge prevede che sia un giudice a determinare se sussiste il diritto all’indennizzo (‘an’) e a quantificarne l’importo (‘quantum’). Lo Stato non può procedere a una liquidazione extragiudiziale in autonomia; pertanto, l’avvio della causa da parte del cittadino è un passaggio obbligato per ottenere la riparazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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