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Spendita banconote false: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per spendita di banconote false (art. 455 c.p.) a carico di un individuo. La difesa sosteneva la buona fede iniziale, ma la Corte ha ritenuto che elementi come il possesso di più banconote false, di cui due con lo stesso numero seriale, e l’assenza di una giustificazione plausibile, fossero sufficienti a provare la consapevolezza della falsità fin dal momento della ricezione, escludendo così l’ipotesi meno grave prevista dall’art. 457 c.p.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Spendita di Banconote False: Quando la Buona Fede non Basta

La circolazione di denaro contraffatto rappresenta un serio pericolo per l’economia e la fiducia pubblica. La legge punisce severamente chiunque partecipi a questa attività illecita. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale: la differenza tra chi riceve denaro falso in buona fede e solo dopo se ne accorge, e chi invece è consapevole della falsità fin dall’inizio. Questo caso di spendita di banconote false offre spunti fondamentali per comprendere come i giudici valutano la consapevolezza del reato.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo condannato per aver detenuto e speso due banconote false da 100 euro. Le banconote, aventi lo stesso identico numero di serie, erano state utilizzate per un acquisto in un negozio di articoli da regalo e per ottenere del resto presso un bar nella stessa città. Durante una successiva perquisizione presso la sua abitazione, veniva rinvenuta un’altra banconota falsa, questa volta con un numero di serie diverso.

L’imputato si è difeso sostenendo di aver ricevuto le banconote in buona fede e di non essere a conoscenza della loro falsità, chiedendo che il reato venisse riqualificato in quello, meno grave, previsto dall’art. 457 del codice penale (spendita di monete falsificate ricevute in buona fede).

La Differenza tra le Ipotesi di Reato

Il nodo centrale della questione giuridica risiede nella distinzione tra due fattispecie di reato:

* Art. 455 c.p. (Spendita e introduzione nello Stato di monete falsificate): Punisce chi, di concerto con chi ha falsificato le monete o anche senza concerto, le acquista o le riceve al fine di metterle in circolazione. La pena è prevista anche per chi semplicemente le spende. L’elemento chiave è che la consapevolezza della falsità deve esistere già al momento in cui si riceve il denaro.

* Art. 457 c.p. (Spendita di monete falsificate, ricevute in buona fede): Punisce chi, avendo ricevuto in buona fede monete contraffatte, le spende o le mette in circolazione dopo averne conosciuto la falsità. La pena è significativamente inferiore.

La differenza, quindi, sta tutta nel momento in cui il soggetto acquisisce la consapevolezza della falsità del denaro.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Spendita di Banconote False

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato, confermando la condanna per il reato più grave di cui all’art. 455 c.p. I giudici hanno ritenuto che le argomentazioni della Corte d’Appello fossero logiche e congrue.

La consapevolezza della falsità fin dal momento della ricezione, secondo la Corte, può essere desunta da una serie di elementi convergenti (prove indiziarie). Nel caso di specie, i fattori decisivi sono stati:

1. L’identico numero di serie: Il fatto che le due banconote spese avessero lo stesso numero seriale è un forte indicatore del fatto che non provenissero da una normale transazione commerciale.
2. Il rinvenimento di un’ulteriore banconota falsa: La presenza di una terza banconota contraffatta nell’abitazione dell’imputato rafforzava l’ipotesi di un possesso consapevole e non accidentale.
3. L’assenza di giustificazione: L’imputato non ha fornito alcuna spiegazione plausibile sull’origine delle banconote false o sul motivo del loro possesso.

La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: la pluralità di banconote contraffatte detenute e il difetto di qualsiasi indicazione sulla loro provenienza sono elementi sufficienti per dedurre la consapevolezza della falsità al momento della ricezione. Inoltre, è stato chiarito che, per la condotta di spendita, non è richiesto il ‘dolo specifico’ (cioè il fine di metterle in circolazione), che è invece necessario per le condotte di importazione, acquisto o detenzione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un importante principio in materia di reati connessi alla spendita di banconote false. Dimostra come la ‘buona fede’ non possa essere semplicemente presunta, ma debba resistere all’analisi di elementi oggettivi e concreti. La presenza di più banconote false, specialmente se con anomalie evidenti come lo stesso numero seriale, sposta l’onere sull’imputato di fornire una spiegazione credibile sulla loro provenienza. In assenza di tale giustificazione, i giudici sono legittimati a concludere che la consapevolezza della falsità era presente fin dall’inizio, integrando così la fattispecie più grave prevista dall’articolo 455 del codice penale.

Qual è la differenza chiave tra il reato dell’art. 455 c.p. e quello dell’art. 457 c.p. riguardo le banconote false?
La differenza fondamentale risiede nel momento in cui si acquisisce la consapevolezza della falsità del denaro. Per il reato più grave (art. 455 c.p.), la consapevolezza deve sussistere già all’atto della ricezione delle banconote. Per il reato meno grave (art. 457 c.p.), le banconote vengono ricevute in buona fede e solo in un momento successivo se ne scopre la falsità prima di spenderle.

Come può essere provata in un processo la consapevolezza di possedere denaro falso?
La consapevolezza può essere provata attraverso elementi indiziari convergenti. La sentenza indica come decisivi: la detenzione di una pluralità di banconote false, la presenza di anomalie come numeri di serie identici su più banconote, e l’incapacità dell’imputato di fornire una giustificazione plausibile sulla provenienza del denaro.

Per essere condannati per spendita di banconote false ai sensi dell’art. 455 c.p. è necessario il ‘dolo specifico’?
No. La Corte chiarisce che il dolo specifico, ovvero il fine di mettere in circolazione il denaro, è richiesto solo per le condotte di importazione, acquisto o detenzione di monete contraffatte. Per la semplice condotta di spendita o messa in circolazione, non è necessario provare questa specifica intenzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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