Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 295 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 295 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/07/2024 della Corte d’appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25/07/2024, la Corte d’appello di Bologna dichiarava inammissibile l’appello che era stato proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 987/94 del 29/05/2024 del G.i.p. del Tribunale di Bologna, emessa in esito a giudizio abbreviato, con la quale l’COGNOME era stato condannato per il reato di tentata rapina aggravata.
L’appello dell’imputato veniva dichiarato inammissibile, in particolare, per il ritenuto difetto di specificità dei suoi due motivi.
Avverso la menzionata ordinanza del 25/07/2024 della Corte d’appello di Bologna, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale
deduce l’erronea applicazione della legge penale e l’«inidoneità» della motivazione, con riferimento all’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 581 dello stesso codice, con riguardo alla declaratoria di inammissibilità del proprio appello per difetto di specificità dei relativi motivi.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Bologna non avrebbe effettuato «un filtro sull’atto di appello», valutando la specificità e, quindi, la non generic dei suoi motivi, ma sarebbe «entra[ta] nel merito» di essi, valutando e contestando le argomentazioni difensive, la cui eventuale mancanza di fondatezza avrebbe dovuto condurre a un rigetto e non a una declaratoria di inammissibilità dell’appello.
Così facendo, l’ordinanza impugnata, in quanto adottata de plano, senza contraddittorio, violerebbe conseguentemente il diritto di difesa.
Il ricorrente deduce che, con il proprio atto di appello, nel richiamare i relativi capi e punti della sentenza impugnata, aveva specificamente contestato la qualificazione giuridica del fatto (primo motivo) e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (secondo motivo).
In particolare, con il primo motivo di appello, aveva contestato la tesi che era stata fatta propria dal G.i.p. del Tribunale di Bologna secondo cui l’imputato avrebbe posto in essere una condotta violenta (che sarebbe consistita in una spinta ai danni della persona offesa che l’avrebbe fatta rovinare a terra), lamentando che tale dinamica del fatto era «sostenuta dalla persona offesa COGNOME NOME senza alcun tipo di riscontro esterno ed oggettivo» e che lo stesso COGNOME, sulle cui dichiarazioni si basava l’intero impianto accusatorio, era stato ritenuto credibile con la «scarna e non riscontrabile oggettivamente» motivazione che «non vi è motivo alcuno per dubitare della veridicità di quanto affermato», mentre «un semplice controllo delle immagini di videosorveglianza presenti sul posto avrebbe potuto fugare ogni dubbio». Nell’affermare che «[I]’organo giudicante ha giustificato il mancato controllo dichiarando l’assenza delle telecamere in loco», il ricorrente contesta che «si tratta di un dato non riscontrabile perché negli atti di indagine non si accenna nemmeno alle telecamere che verosimilmente erano presenti trattandosi di un centro commerciale con parcheggi custoditi».
Con il secondo motivo di appello, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte d’appello di Bologna, egli aveva elencato in modo preciso e puntuale gli elementi che, a suo avviso, avrebbero dovuto essere ritenuti «prevalenti rispetto alla gravità del fatto contestato» ai fini del riconoscimento delle richiest circostanze attenuanti generiche, i quali erano costituiti dalla considerazione «delle condizioni di vita personali e sociali dell’imputato, del comportamento tenuto dallo stesso immediatamente dopo i fatti ed il corretto comportamento processuale».
Il ricorrente ribadisce pertanto che l’ordinanza impugnata «si confronta con i motivi e le ragioni del gravame travalicando il concetto di inammissibilità e andando, invece, a svolgere argomentazioni di merito per convalidare la valutazione effettuata dal Tribunale», così «supera[ndo] il potere di filtro sulla non genericità delle doglianze oggetto dei motivi di gravame», in violazione dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 581 dello stesso codice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo non è fondato.
2. L’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cosiddetta “Riforma Cartabia”), ha inserito nell’art. 581 cod. proc. pen., il quale disciplina “Forma dell’impugnazione”, un nuovo comma 1 -bis, che riguarda, in realtà, unicamente l’appello, a norma del quale tale impugnazione «è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatt diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione».
Con tale norma, il legislatore di fatto recepito all’interno del codice d procedura penale il principio che era stato affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza Galtelli (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822-01), secondo cui «N’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragi di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata».
Come risulta dalla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, Serie generale, n. 245 del 19/10/2022, Supplemento straordinario n. 5), il fine del legislatore della “Riforma Cartabia” era quello di «innalzare il livello qualitativo dell’atto di impugnazione e del relati giudizio in chiave di efficienza» (pag. 324), intento che veniva dunque perseguito codificando il requisito della specificità cosiddetta “estrinseca” dei motivi di appell e, di conseguenza, rafforzando i poteri del giudice di appello nella fase della delibazione dell’ammissibilità dell’impugnazione.
Ciò brevemente esposto, si deve dire che il principio al quale fa riferimento il ricorrente è, in diritto, corretto.
Il vaglio di ammissibilità dell’appello si deve infatti arrestare, per quanto qu rileva, alla verifica della sussistenza dei requisiti formali di tale impugnazione, tr cui quello, che qui interessa, della specificità dei suoi motivi, e non si può tradurre in una valutazione della non fondatezza o anche della manifesta infondatezza degli stessi motivi, atteso che, in questo caso, l’esito dovrà essere quello non
dell’inammissibilità dell’appello ma del suo rigetto nel merito e della conferma della sentenza impugnata (Sez. 1, n. 40681 del 04/07/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 36533 del 15/09/2021, COGNOME, Rv. 281978-01).
Tale conclusione, cui le due sentenze appena citate sono pervenute facendo applicazione, ratione temporis, del testo dell’art. 581 cod. proc. pen. successivo alla sostituzione di tale articolo a opera dell’art. 1, comma 55, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (cosiddetta “Riforma Orlando”), ma anteriore all’inserimento, nello stesso art. 581, del nuovo comma 1-bis, deve restare ferma anche ora, atteso che neppure tale nuovo comma 1-bis attribuisce al giudice dell’appello che può dichiararne l’inammissibilità la valutazione dell’eventuale infondatezza, foss’anche manifesta, dei motivi.
È del resto appena il caso di rammentare come la manifesta infondatezza dei motivi costituisca, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., causa speciale di inammissibilità del solo ricorso per cassazione.
Ciò posto, il Collegio ritiene però che, nel caso in esame, la Corte d’appello di Bologna, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, non abbia operato un sindacato, per così dire, “anticipato”, sulla (non) fondatezza dei due motivi di appello che erano stati enunciati dall’COGNOME in ordine ai due punti della sentenza di primo grado ai quali essi rispettivamente si riferivano, ma si sia correttamente limitata a riscontrare l’effettiva inammissibilità degli stessi motivi.
4.1. Quanto al primo di essi, si deve anzitutto precisare che, con lo stesso, l’appellante non si era limitato a prospettare un diverso inquadramento giuridico del fatto come ricostruito dal giudice di primo grado, ma aveva prospettato una diversa ricostruzione dello stesso fatto, sostenendo che esso non fosse stato commesso mediante violenza, e, in particolare, contestando il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, sulle quali era stata basata la ricostruzione del G.i.p. del Tribunale di Bologna, secondo cui l’imputato aveva posto in essere una condotta violenta (consistita nel darle una spinta che l’aveva fatta rovinare a terra) .
Ciò precisato, si deve osservare come la Corte d’appello di Bologna abbia in proposito puntualmente rilevato come, a fronte della motivazione del G.i.p. del Tribunale di Bologna secondo cui non era emerso alcun motivo che potesse indurre a dubitare che la persona offesa NOME COGNOME non avesse detto il vero, l’appellante, nel prospettare la tesi opposta: da un lato, non aveva indicato alcun elemento dal quale, a suo avviso, si sarebbe dovuto desumere che la descrizione della condotta dell’imputato che era stata fatta dalla persona offesa fosse, invece, non credibile; dall’altro lato, nell’invocare la visione delle «immagini d videosorveglianza del centro commerciale», non aveva contestato l’affermazione
del G.i.p. del Tribunale di Bologna circa l’assenza di telecamere nel luogo dove si era svolto il fatto.
Il Collegio reputa, pertanto, che la Corte d’appello di Bologna abbia correttamente ritenuto che il primo motivo di appello dell’imputato fosse privo della necessaria specifica confutazione del fondamento logico e fattuale degli argomenti sui quali si fondava la sentenza di primo grado – sicché esso era di fatto inidoneo anche solo a orientare la stessa Corte d’appello verso una decisione di riforma di tale sentenza – con la conseguente inammissibilità dello stesso motivo.
4.2. Quanto al secondo motivo di appello dell’COGNOME, si deve osservare come la Corte d’appello di Bologna abbia puntualmente rilevato come l’appellante avesse sì indicato degli elementi che riteneva deporre in senso favorevole alla concessione delle circostanze attenuanti generiche che aveva richiesto, ma, nel fare ciò, non si era confrontato con le ragioni che erano state poste dal G.i.p. del Tribunale di Bologna a fondamento del diniego della concessione delle stesse circostanze attenuanti – segnatamente, l’apprezzabile gravità del fatto e i precedenti penali dell’imputato -, omettendo di chiarire il perché gli invocati elementi a sé favorevoli si sarebbero dovuti ritenere preponderanti rispetto a quelli, sfavorevoli, che erano stati ritenuti decisivi dal giudice di primo grado.
Il Collegio reputa, pertanto, che la Corte d’appello di Bologna abbia correttamente ritenuto che anche il secondo motivo di appello dell’imputato fosse privo della necessaria specifica confutazione del fondamento logico e fattuale degli argomenti sui quali si fondava la sentenza di primo grado e fosse, perciò, inammissibile.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/12/2024.