Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14040 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14040 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Melito di Porto Salvo il 07/01/1977
avverso l’ordinanza del 11/11/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza del 11/11/2024, la Corte d’appello di Reggio Calabria dichiarava inammissibile l’appello che era stato proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del 28/10/2021 del Tribunale di Reggio Calabria.
L’appello dell’imputato veniva dichiarato inammissibile, in particolare, per il ritenuto difetto del requisito della specificità dei motivi, secondo quanto è previsto dal comma 1-bis dell’art. 581 cod. proc. pen.
Avverso tale ordinanza del 11/11/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato ai seguenti motivi.
Il Denaro deduce anzitutto, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge processuale e il vizio della motivazione «con riferimento alla violazione del diritto di difesa e de diritto al contraddittorio dell’imputato», «consumatasi con il diniego del giudice di valutazione delle prove in dibattimento».
Il ricorrente rappresenta in proposito che aveva sollevato «eccezione di nullità per la violazione del diritto di difesa» ai sensi e nei termini di cui all’art. comma 1, cod. proc. pen., che il rigetto di tale eccezione, da parte del Tribunale di Reggio Calabria, era «stato impugnato con apposito motivo» e che la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva «risposto al motivo di appello in modo generico e assolutamente indeterminato».
Il Denaro deduce poi che la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe «mescolato incongruamente due cose diverse», atteso che «’una è la violazione del diritto di difesa ex artt. 24 e 111 Costituzione, altra e diversa cosa è l violazione del diritto di difesa a un approfondimento probatorio conforme per tali tipi di reati».
Il ricorrente chiede, «pertanto, che la Corte di cassazione annulli la sentenza impugnata per violazione della legge processuale e per la mancanza e l’illogicità della motivazione, basata su un falso presupposto circa il rito in cui è stato celebrato il processo».
Il COGNOME lamenta poi la «iolazione dell’art. 116 c.p.c. nel procedimento».
A tale proposito, formula alcune considerazioni di carattere generale in ordine alla possibilità di censurare la violazione della regola (che è dettata nel primo comma del suddetto art. 116 cod. proc. civ.) secondo cui il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, mediante l’invocazione, a seconda dei casi, del n. 4) o del n. 5) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.
Il ricorrente lamenta ancora il «izio di motivazione nella sentenza impugnata».
A tale proposito, formula alcune considerazioni di carattere generale in ordine alla portata del sindacato della Corte di cassazione ai sensi del n. 5) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. successivamente alla sostituzione di detto n. 5) a opera «della L. n. 134/2012» (rectius: del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134).
Il COGNOME lamenta infine l’«messo esame di elementi istruttori nel procedimento».
A tale proposito, dopo avere premesso che «ussiste l’ipotesi di omessa motivazione quando il giudice del merito ometta di considerare risultanze o richieste istruttorie aventi carattere decisivo», il ricorrente afferma che «non sono stati infatti ammessi i testi della difesa nel procedimento di primo grado».
Il COGNOME chiede quindi che la Corte di cassazione «riconosca, anche per questo aspetto, la nullità della sentenza per vizio di mancanza e illogicità manifesta della motivazione».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché è proposto per motivi non consentiti.
L’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cosiddetta “Riforma Cartabia”), ha inserito nell’art. 581 cod. proc. pen., il quale disciplina l “Forma dell’impugnazione”, un nuovo comma 1-bis, che riguarda, in realtà, unicamente l’appello, a norma del quale tale impugnazione «è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione».
Con tale norma, il legislatore ha di fatto recepito all’interno del codice d procedura penale il principio che era stato affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza COGNOME (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822-01), secondo cui «’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragio di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata».
Come risulta dalla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, Serie generale, n. 245 del 19/10/2022, Supplemento straordinario n. 5), il fine del legislatore della “Riforma Cartabia” era quello di «innalzare il livello qualitativo dell’atto di impugnazione e del relati giudizio in chiave di efficienza» (pag. 324), intento che veniva dunque perseguito codificando il requisito della specificità cosiddetta “estrinseca” dei motivi di appell e, di conseguenza, rafforzando i poteri del giudice di appello nella fase della delibazione dell’ammissibilità dell’impugnazione.
Ciò brevemente rammentato, come si è detto nella parte in fatto, la Corte d’appello di Reggio Calabria, con l’ordinanza impugnata, ha dichiarato inammissibile l’appello del Denaro per difetto dell’indicato requisito della specificità dei motivi.
La Corte d’appello ha in particolare in proposito rilevato: «che le censure di merito contengono affermazioni apodittiche del tutto svincolate dalle ragioni prospettate in primo grado»; «che, infatti, con riferimento alla presunta assenza del dolo del reato il gravame non si confronta con le articolate motivazioni della sentenza impugnata, la quale ha ben precisato che l’imputato aveva utilizzato per fini diversi da quelli per cui aveva ottenuto il consenso della p.o.»; «che le prove
documentali sulle quali si fonda la decisione del giudice non sono suscettibili di valutazione alternativa o ulteriore rispetto a quanto già avvenuto in primo grado»; «che è dimostrato ed argomentato dal giudice di primo grado la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato e le argomentazioni a contrario sono insussistenti».
A fronte di ciò, premesso in generale che il ricorso per cassazione non può evidentemente fuoriuscire dai canoni di una critica ragionata al percorso motivazionale del provvedimento che è con esso impugnato, nel caso di specie tale critica avrebbe dovuto consistere nella contestazione delle argomentazioni che sono state spese dalla Corte d’appello di Reggio Calabria a sostegno della propria decisione di ritenere il difetto di specificità dei motivi di appello e n prospettazione delle ragioni per le quali gli stessi motivi si sarebbero dovuti ritenere, invece, specifici.
Orbene, tale critica ragionata al percorso motivazionale che ha condotto la Corte d’appello di Reggio Calabria ad affermare il difetto di specificità dei motivi di appello è del tutto assente nel ricorso.
Non si può, anzitutto, considerare tale la doglianza con la quale il ricorrente ha lamentato che la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe «risposto in modo generico e assolutamente indeterminato» al motivo di appello con il quale egli aveva contestato il rigetto dell’«eccezione di nullità per la violazione del diritto difesa» «consumatasi con il diniego del giudice di valutazione delle prove in dibattimento», atteso che la Corte d’appello di Reggio Calabria, in realtà, non ha «risposto» al suddetto motivo, né agli altri, ma ha ritenuto che tutti i motivi d appello fossero non specifici e, di conseguenza, non meritevoli di risposta nel merito, sicché la doglianza appare del tutto avulsa rispetto all’effettivo contenuto dell’ordinanza impugnata.
Lo stesso si deve affermare con riguardo alla doglianza con la quale il Denaro ha lamentato la violazione della legge processuale e la mancanza e l’illogicità della motivazione per essere la «sentenza» (in realtà, ordinanza) impugnata «basata su un falso presupposto circa il rito in cui è stato celebrato il processo». Tale doglianza non risulta infatti avere alcuna relazione né con la questione, che era quella pertinente, della specificità o no dei motivi di appello, né, più in generale con il contenuto dell’ordinanza impugnata.
Sono, parimenti, del tutto avulse rispetto al contenuto dell’ordinanza impugnata e alle ragioni della decisione di inammissibilità dell’appello che è stata con essa adottata le due doglianze con le quali il ricorrente ha lamentato, rispettivamente, la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e il vizio del motivazione con riferimento, come appare, all’art. 360, primo comma, n. 5), dello stesso Codice di procedura civile. Tali doglianze, in vero, nell’invocare delle norme
che disciplinano il rito civile, risultano assolutamente non perspicue, fino ad apparire financo prive di un effettivo significato nel presente contesto.
Esula, infine, da qualsivoglia critica argomentata rispetto a una decisione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei suoi motivi, quale è quell
qui impugnata, anche la doglianza con la quale il ricorrente ha lamentato l’«messo esame di elementi istruttori» in quanto non sarebbero «stati
ammessi i testi della difesa nel procedimento di primo grado».
5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento.
L’entità particolarmente rilevante dei profili di colpa del ricorrente nell determinazione della causa di inammissibilità del ricorso, quale risulta
dall’evidenziata avventatezza e superficialità che ne connotano i motivi, inducono il Collegio a ritenere equo determinare in aumento l’importo della sanzione in
favore della cassa delle ammende, nella misura di C 5.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro cinquemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 20/02/2025.