Spaccio fatto lieve: quando la detenzione domiciliare esclude l’attenuante
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sui criteri per il riconoscimento della fattispecie di spaccio fatto lieve, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti. La decisione chiarisce che la commissione del reato mentre ci si trova agli arresti domiciliari costituisce un elemento di particolare gravità, tale da escludere, in concorso con altri fattori, la possibilità di qualificare il fatto come di lieve entità. Analizziamo insieme la vicenda processuale e i principi affermati dalla Suprema Corte.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato per detenzione di sostanze stupefacenti. L’imputato si era rivolto alla Corte di Cassazione dopo che la Corte d’Appello aveva respinto la sua richiesta di riqualificare il reato nell’ipotesi del fatto di lieve entità. La difesa sosteneva che la Corte territoriale non avesse valutato correttamente le circostanze del caso per applicare la fattispecie attenuata.
Tuttavia, la posizione dell’imputato era aggravata da due elementi cruciali, che la Corte d’Appello aveva posto a fondamento della sua decisione.
La Valutazione dei Giudici di Merito: Quantità e Status del Ricorrente
La Corte d’Appello aveva negato il riconoscimento dello spaccio fatto lieve basandosi su una valutazione complessiva che teneva conto di due fattori determinanti:
1. Il dato ponderale: La quantità di sostanza stupefacente sequestrata era stata giudicata significativa, essendo idonea al confezionamento di ben 351 dosi.
2. Lo stato di restrizione: L’imputato aveva commesso il reato mentre si trovava già sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
Secondo i giudici di secondo grado, la combinazione di questi due elementi delineava un quadro di particolare gravità, incompatibile con la nozione di “lieve entità”.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una mera riproposizione di censure già adeguatamente respinte dalla Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno pienamente condiviso e rafforzato il ragionamento dei giudici di merito.
La Cassazione ha sottolineato come la Corte d’Appello abbia correttamente valorizzato, in modo cumulativo, non solo il dato quantitativo della droga, di per sé già indicativo di una certa offensività, ma soprattutto la circostanza che il reato fosse stato commesso durante gli arresti domiciliari. Questo specifico elemento, secondo la Corte, assume un peso decisivo: dimostra un “mai interrotto collegamento con i canali criminali” e “l’esclusione dell’occasionalità della condotta”. In altre parole, chi delinque mentre è già ristretto in casa manifesta una particolare inclinazione a delinquere e una noncuranza per le prescrizioni dell’autorità giudiziaria, caratteristiche che mal si conciliano con la lieve entità del fatto.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale nella valutazione dello spaccio fatto lieve: non è sufficiente guardare solo alla quantità di droga, ma è necessario un esame complessivo di tutte le circostanze del caso. La commissione di un reato durante una misura cautelare come gli arresti domiciliari è un indice sintomatico di una maggiore pericolosità sociale e di una condotta non occasionale. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Può essere concesso lo ‘spaccio fatto lieve’ a chi commette il reato mentre è agli arresti domiciliari?
No, secondo l’ordinanza, commettere il reato durante gli arresti domiciliari è un elemento che depone contro la qualificazione del fatto come lieve, in quanto indica un collegamento non interrotto con i canali criminali e l’assenza di occasionalità della condotta.
Quali elementi ha considerato la Corte per escludere l’ipotesi lieve nel caso di specie?
La Corte ha considerato due elementi cumulativi: il dato ponderale dello stupefacente, ritenuto significativo (idoneo a predisporre 351 dosi), e il fatto che il reato fosse stato commesso mentre il ricorrente si trovava già agli arresti domiciliari.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte non esamini il merito del ricorso. In questo caso, ha anche comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33123 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33123 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN SEVERO il 27/11/1998
avverso la sentenza del 29/05/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; visto il ricorso di COGNOME NOME
OSSERVA
Ritenuto che il ricorso con cui si censura la mancata riqualificazione del fatto nella ipotesi lieve di cui all’art. ’73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 è riproduttivo di identica censu adeguatamente confutata dalla Corte di appello che ha valorizzato, cumulativamente, non solo il dato ponderale dello stupefacente comunque significativo (idoneo alla predisposizione di 351 dosi), ma anche il fatto che il ricorrente avesse commesso il fatto mentre si trovava agli arrest domiciliari, dato che deponeva per un mai interrotto collegamento con i canali criminali e la esclusione dell’occasionalità della condotta;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 15/09/2025.