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Spaccio di lieve entità: quando è escluso?

La Corte di Cassazione ha escluso l’ipotesi di spaccio di lieve entità per un imputato che aveva allestito un vero e proprio laboratorio per la coltivazione di cannabis. La decisione si basa sulla natura organizzata dell’attività e sull’ingente quantitativo di sostanza stupefacente ricavabile, elementi che denotano una ridotta offensività del fatto non trascurabile. L’ordinanza conferma la condanna inflitta in appello, ritenendo manifestamente infondati i motivi di ricorso relativi alla riqualificazione del reato, al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche e all’applicazione della recidiva.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Spaccio di Lieve Entità: Quando l’Organizzazione Esclude l’Ipotesi Meno Grave

L’ipotesi di spaccio di lieve entità, prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, rappresenta una valvola di sicurezza del sistema penale, pensata per distinguere le piccole attività di spaccio da quelle più strutturate e pericolose. Ma quali sono i limiti per la sua applicazione? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri per escludere questa fattispecie meno grave, soffermandosi in particolare sulla professionalità dell’attività e sulle quantità di droga. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio i confini tra le diverse figure di reato.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di produzione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. La Corte di Appello di Firenze aveva confermato la sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Livorno, che lo aveva condannato a una pena di un anno e dieci mesi di reclusione e 5.000 euro di multa. L’imputato era stato ritenuto colpevole per aver allestito un vero e proprio laboratorio per la produzione e il commercio di droga. Durante una perquisizione, le forze dell’ordine avevano rinvenuto una serra dotata di sei lampade per la coltivazione di cannabis, insieme a tutti gli strumenti necessari. Le sostanze sequestrate, tra marijuana e hashish, avrebbero permesso di ricavare quasi 2.500 dosi medie singole. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, contestando la mancata riqualificazione del fatto in spaccio di lieve entità, il bilanciamento delle attenuanti generiche con la recidiva e l’applicazione stessa della recidiva.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo tutte le censure mosse dalla difesa. I giudici di legittimità hanno confermato in toto l’impianto logico-giuridico della sentenza impugnata, ritenendo che la Corte di Appello avesse correttamente valutato tutti gli elementi a disposizione. La decisione si fonda sulla considerazione che la condotta dell’imputato non poteva in alcun modo essere ricondotta all’ipotesi di lieve entità, data la sua evidente offensività e pericolosità sociale.

Le Motivazioni: l’Organizzazione come Criterio per Escludere lo Spaccio di Lieve Entità

Il cuore della motivazione risiede nella valutazione complessiva della condotta. La Cassazione ha sottolineato come la Corte di Appello abbia correttamente escluso l’ipotesi di spaccio di lieve entità basandosi su argomenti solidi e coerenti con i principi giurisprudenziali consolidati, incluse le pronunce delle Sezioni Unite.

I fattori determinanti sono stati:
1. L’organizzazione dell’attività: l’imputato non si limitava a una coltivazione estemporanea o domestica, ma aveva creato un “vero e proprio laboratorio di produzione e smercio”. La presenza di una serra attrezzata con sei lampade e altri strumenti funzionali dimostra un livello di professionalità e programmazione incompatibile con la lieve entità del fatto.
2. I dati quantitativi: le sostanze sequestrate avrebbero consentito di ricavare 1240 dosi medie di marijuana e 1231 di hashish. Un quantitativo così significativo è stato ritenuto un indice inequivocabile di una notevole offensività della condotta, destinata a un mercato ampio e non a un piccolo spaccio.

La Corte ha inoltre ritenuto infondati gli altri motivi di ricorso. Per quanto riguarda le attenuanti generiche, i giudici hanno osservato che non vi erano elementi di positivo apprezzamento, poiché la collaborazione dell’imputato era avvenuta solo quando la perquisizione era già in atto e avrebbe comunque portato al ritrovamento della droga. Infine, l’applicazione della recidiva è stata giustificata dalla maggiore pericolosità dell’imputato, che già dal 2013 risultava dedito ad attività legate alla produzione e detenzione di cannabis per lo spaccio.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la valutazione per il riconoscimento dello spaccio di lieve entità non può basarsi solo su un singolo elemento, come la quantità di principio attivo, ma deve scaturire da un’analisi globale della condotta. L’organizzazione, i mezzi impiegati, le modalità dell’azione e la quantità di droga sono tutti indicatori che, se letti congiuntamente, possono delineare un quadro di ridotta o, al contrario, di accentuata offensività. Nel caso di specie, la creazione di un laboratorio attrezzato ha rappresentato l’elemento decisivo per escludere qualsiasi attenuazione della gravità del reato, confermando che la professionalità nell’attività illecita è un fattore che il sistema giudiziario considera con particolare severità.

Quando la coltivazione di cannabis non può essere considerata spaccio di lieve entità?
Secondo la Corte, non si può parlare di spaccio di lieve entità quando l’attività è particolarmente organizzata, come nel caso della creazione di un vero e proprio laboratorio con serre e lampade, e quando il quantitativo di sostanza ricavabile è significativo (nel caso specifico, quasi 2.500 dosi), poiché questi elementi indicano una ridotta offensività del fatto non trascurabile.

La collaborazione con la polizia durante una perquisizione garantisce l’ottenimento delle attenuanti?
No, non necessariamente. La Corte ha chiarito che se la collaborazione avviene quando le forze dell’ordine sono già sul punto di scoprire il reato autonomamente (ad esempio, durante una perquisizione mirata), questa non costituisce un elemento di positivo apprezzamento sufficiente a giustificare la prevalenza delle attenuanti generiche.

Cosa valuta la Cassazione per confermare l’applicazione della recidiva?
La Cassazione valuta se la motivazione del giudice di merito sia logica e non irragionevole. Nel caso specifico, ha ritenuto corretta l’applicazione della recidiva perché la condotta dell’imputato era sintomatica di una maggiore pericolosità, dimostrata dal fatto che era dedito alla produzione e detenzione di cannabis finalizzata allo spaccio da diversi anni (dal 2013).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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