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Spaccio di lieve entità: no se l’attività è organizzata

La Cassazione ha esaminato un caso di spaccio di droga a conduzione familiare. Ha rigettato la richiesta di qualificare il reato come spaccio di lieve entità, data l’organizzazione sistematica, il numero di episodi e il coinvolgimento di più persone. La Corte ha stabilito che la valutazione deve essere complessiva, considerando non solo le singole cessioni ma l’intera attività criminale.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Spaccio di Lieve Entità: Non Applicabile in Caso di Attività Organizzata e Continuativa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 45835 del 2024, offre importanti chiarimenti sui criteri per l’applicazione dell’ipotesi di spaccio di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti. La Corte ha stabilito che un’attività di spaccio, sebbene caratterizzata da singole cessioni di modeste quantità, non può essere qualificata come lieve se inserita in un contesto organizzato, sistematico e con il contributo di più persone. Questa decisione sottolinea la necessità di una valutazione globale della condotta criminale.

Il Caso: Un’Attività di Spaccio a Conduzione Familiare

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un gruppo di persone, legate da vincoli familiari, condannate per aver gestito una fiorente attività di spaccio di eroina e cocaina. L’organizzazione era strutturata con una precisa divisione dei ruoli: una persona custodiva lo stupefacente e teneva la contabilità, altri si occupavano del confezionamento delle dosi in un’altra abitazione, e un altro ancora gestiva la vendita al dettaglio nei pressi della propria residenza. Dei corrieri, infine, assicuravano il trasporto della droga tra le varie abitazioni.

L’attività era sistematica e costituiva la principale fonte di sostentamento per l’intera famiglia, dimostrando una notevole capacità di approvvigionamento e una vasta rete di clienti.

La Questione Legale: Quando si Configura lo Spaccio di Lieve Entità?

Il fulcro del ricorso in Cassazione era la richiesta degli imputati di veder riconosciuta l’ipotesi attenuata dello spaccio di lieve entità. Questa fattispecie prevede una pena notevolmente inferiore rispetto allo spaccio ordinario e si applica quando, per i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione e la qualità e quantità delle sostanze, il fatto appare, appunto, di minore gravità.

La Tesi Difensiva

I difensori sostenevano che, nonostante la continuità nel tempo, le singole cessioni riguardavano quantità minime (una o due dosi, fino a un massimo di sette) e che non erano emersi contatti con la criminalità organizzata o il possesso di ingenti risorse economiche. Secondo questa tesi, la mera reiterazione delle condotte non sarebbe stata sufficiente a escludere la qualificazione del fatto come lieve.

La Decisione della Cassazione sul tema dello spaccio di lieve entità

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, confermando le condanne della Corte d’Appello. I giudici hanno ritenuto infondata la richiesta di applicare l’attenuante dello spaccio di lieve entità, argomentando che la valutazione non può limitarsi alle singole cessioni, ma deve abbracciare l’intera offensività della condotta.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha evidenziato come i giudici di merito abbiano correttamente proceduto a una valutazione d’insieme di tutti gli elementi sintomatici. È emerso un progetto criminale ben definito, attuato attraverso modalità operative consolidate e una chiara diversificazione dei ruoli. L’attività non era occasionale, ma frenetica e sistematica, con oltre trecento episodi di spaccio in poco più di un mese.

Secondo la Corte, elementi come la costante capacità di approvvigionamento (dimostrata anche da un episodio specifico del valore di seimila euro), la gestione organizzata dei profitti e la struttura a base familiare, impediscono di considerare il fatto come lieve. Il progetto criminale andava ben oltre la mera somma di singole condotte di modesta entità. Anche il contributo dei singoli partecipanti, sebbene con ruoli diversi (custode, confezionatore, venditore), è stato ritenuto essenziale e consapevole all’interno di un unico disegno condiviso, escludendo così la possibilità di una valutazione differenziata per i concorrenti.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio consolidato: l’ipotesi di spaccio di lieve entità richiede un’analisi complessiva che tenga conto di tutti gli indici normativi. La sistematicità, l’organizzazione, il numero di persone coinvolte e la capacità di rifornimento del mercato sono fattori decisivi che possono escludere l’applicazione dell’attenuante, anche a fronte di cessioni singolarmente modeste. Questa pronuncia conferma che il disvalore del fatto non dipende solo dalla quantità di droga spacciata in una singola occasione, ma dal contesto criminale complessivo in cui la condotta si inserisce.

Quando un’attività di spaccio può essere considerata di lieve entità?
Secondo la sentenza, la valutazione non può basarsi solo sulla modesta quantità delle singole cessioni. È necessaria un’analisi globale che consideri i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione e la qualità delle sostanze. Se l’attività è organizzata, continuativa e coinvolge più persone, è difficile che venga qualificata come lieve.

La ripetizione di molteplici episodi di spaccio esclude automaticamente l’ipotesi della lieve entità?
Non automaticamente, ma è un elemento di forte peso contrario. La Corte chiarisce che una continuativa attività di spaccio è compatibile con la lieve entità solo se il contesto generale rimane modesto. Nel caso di specie, la frenetica attuazione di un progetto criminale organizzato, con centinaia di cessioni in un mese, è stata ritenuta incompatibile con tale ipotesi.

In un’attività di spaccio con più persone, è possibile che per alcuni il reato sia di lieve entità e per altri no?
In teoria sì. La giurisprudenza ammette che lo stesso fatto storico possa essere valutato diversamente per i singoli concorrenti. Tuttavia, in questo caso specifico, la Corte lo ha escluso perché tutti i partecipanti condividevano pienamente il progetto criminale e fornivano un contributo consapevole e indispensabile alla sua realizzazione, rendendo impossibile differenziare le loro posizioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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