Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24139 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24139 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a COGNOME il 03/09/1990 COGNOME NOME nato a COGNOME il 05/06/1991 COGNOME nato a CISTERNINO il 16/02/1989 COGNOME NOME nato a COGNOME il 10/01/2000
avverso la sentenza del 01/10/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Cgi – sigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta con cui aveva chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi. Udito l’avv. NOME COGNOME del foro di TARANTO in difesa di NOME COGNOME
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza emessa dal GIP del Tribunale locale, appellata da NOME COGNOME (per il quale la sentenza è divenuta irrevocabile), NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ha rideterminato, per quello che qui rileva, le pene inflitte in misura pari ad anni quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 30.000 di multa per COGNOME, anni tre di reclusione ed euro 16.000 di multa per COGNOME anni uno e mesi due di reclusione ed euro 1.600 euro di multa per COGNOME e anni uno, mesi cinque e giorni dieci di reclusione oltre 2.100 euro di multa per COGNOME.
La Corte territoriale ha, altresì, revocato la pena accessoria di cui all’art. 29 cod. pen. inflitta nei confronti di NOME COGNOME confermando nel resto la sentenza appellata.
Tutti gli imputati erano chiamati a rispondere di reati di cui all’art. 7 d.P.R. n. 309/1990.
La Corte territoriale, preliminarmente ha dato atto della rinuncia da parte degli imputati ai motivi dedotti in punto di responsabilità dichiarando di insistere quanto al trattamento sanzionatorio latamente inteso, nonché (espressamente) alla richiesta di riqualificazione del reato in quello di cui all’art. 73 co. 5 d.P.R. n. 309/1990 per coloro per i quali tale fattispeci non era già stata riconosciuta dal giudice di prime cure.
La Corte territoriale ha rigettato il motivo relativo al riconoscimento della fattispecie di lieve entità nei confronti del COGNOME avuto riguardo a nunnerosissinni contatti telefonici intercettati dalla p.g. tra gennaio e giugno 2020 che avrebbero dato atto di una frenetica attività di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina; quanto a Tramonte in virtù del ruolo assunto, precisando che egli era solito accompagnare COGNOME fuori città per l’acquisto dello stupefacente e al contempo rispondeva al suo telefono e lo sostituiva nelle singole cessioni. I giudici di secondo grado hanno, inoltre, respinto gli argomenti relativi al mancato sequestro di sostanza stupefacente ritenendo detta circostanza non decisiva.
Hanno affermato i giudici di secondo grado che la superiore ricostruzione non restava scalfita dal riconoscimento quanto al capo 3) della fattispecie di lieve entità già operata dal primo giudice nei confronti dell’imputato COGNOME richiamando all’uopo la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, rv. 286581).
La Corte territoriale, ancora, pur riconoscendo agli imputati COGNOME e COGNOME un ruolo secondario, per quanto non marginale, ha rigettato le richieste volte ad ottenere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Avverso la sentenza sono stati GLYPH proposti separati GLYPH ricorsi nell’interesse di NOME COGNOME da parte dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME
2.1 II ricorso proposto dall’avv. COGNOME è affidato a due motivi
2.1.1 Con il primo si deduce la nullità della sentenza per mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione oltre che violazione di legge quanto alla mancata qualificazione giuridica nella fattispecie di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. 309/1990. La mancanza di qualsivoglia riferimento a quantitativi di sostanza stupefacente, in uno al mancato sequestro e, dunque, di analisi chimiche volte a stabilire la quantità di principio attivo avrebbero dovuto indurre i giudici di merito a riconoscere la fattispecie di lieve entità.
2.1.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche oltre che alla corretta applicazione del trattamento sanzionatorio. Era stata rimarcata dalla difesa non solo l’incensuratezza del ricorrente ma anche la sua giovane età al momento dei fatti oltre che il percorso di crescita intrapreso e l’allontanamento dai circuiti contigui al mercato della droga. Di ciò la Corte territoriale non ha tenuto conto.
2.2.11 ricorso a cura dell’avv. NOME COGNOME articola anch’esso due motivi trattati unitariamente con i quali si lamentano violazioni di legge e vizi di motivazione.
Evidenzia la difesa che n P.G. aveva chiesto la riqualificazione del reato nella fattispecie di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990 l’irrogazione di una pena meno severa. La Corte territoriale, invece, ha escluso che le condotte del COGNOME e del COGNOME potessero qualificarsi come “di lieve entità” avuto riguardo alla valutazione complessiva dell’azione. Ad avviso della difesa, dalla sentenza si ricava la esiguità degli episodi certi attribuibili a COGNOME rilevando, tra l’altro, che si trat “droga parlata”. Da ciò discende che non è stato possibile accertare né la qualità né il tipo di sostanza stupefacente. La difesa richiama poi giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’ipotesi attenuata non è
incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativa.
L’avv. NOME COGNOME del foro di Taranto ha proposto ricorso nell’interesse di NOME COGNOME affidandolo a due motivi sia pure a trattazione unitaria. Si contesta la violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla mancata esclusione della riqualificazione invocata ai sensi del co. 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990. Rileva la difesa che erroneamente la Corte ha accomunato le condotte del COGNOME a quelle del COGNOME determinando così una indebita generalizzazione, pur trattandosi di diverse e distinte ipotesi come distinti e diversi sono gli episodi contestati.
Si affianca al COGNOME la figura del COGNOME benché si dica in sentenza che costui si accompagna “sovente” ma “non spesso a costui”, che avrebbe effettuato cessioni “in sua vece” quando si tratterebbe di una sola cessione di droga e lo si indica quale soggetto al quale rivolgersi per effettuare í pagamenti della droga acquistata quando, anche in questo caso, si fa riferimento ad un solo episodio. Rileva infine la difesa la contraddizione degli argomenti spesi dalla Corte che mancano, peraltro, di elementi individualizzanti.
Il ricorso proposto nell’interesse di Aquaro Piero consta di un unico motivo con GLYPH il quale si deduce cumulativamente GLYPH la GLYPH mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Aquaro è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73 co. 5 d.P.R. n. 309/1990 in relazione al capo 10) dell’imputazione. La pena è stata determinata muovendo, rispetto all’episodio del 6 luglio 2020, ritenuto più grave, da anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 2.550 di multa. Detta pena è stata aumentata, per effetto della continuazione, senza alcun riferimento ai criteri adottati benché la forbice edittale del reato in parola sia compresa tra i sei mesi e i cinque anni. COGNOME è stato condannato per due singoli episodi nell’arco di quasi un anno di intercettazioni ed è stato segnalato quale consumatore di stupefacente in quanto trovato in possesso di una modica quantità di droga.
L’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso nell’interesse di NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale omesso di indicare i criteri presi in esame a fini di determinazione della pena, quantificata in anni uno e
mesi nove di reclusione per la fattispecie di cui al quinto comma a fronte della cornice edittale fissata tra i sei mesi e i cinque anni. L’unico elemento che giustifica il distanziamento del minimo edittale sarebbe la “modalità di organizzazione di cessione dello stupefacente” benché si tratti di episodi di cessione “presunti” e comunque esigui e per di più in un contesto caratterizzato dalla rudimentalità.
All’udienza, le parti hanno concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti sono inammissibili.
Possono essere trattati congiuntamente i motivi di ricorso proposti nell’interesse di COGNOME e COGNOME e in proposito va rilevato che non si versa, come prospettato dal P.G., in ipotesi di rinuncia a tutti i motivi d appello. GLYPH GLYPH
E5 La Corte territoriale, infatti,’Srecisando che con gli appelli proposti i deducenti avevano rinunciato ai motivi di merito del gravameVavevano espressamente dichiarato di insistere quanto al trattamento sanzionatorio nonché alla richiesta di riqualificazione del reato in quello di cui all’art. co, 5 d.P.R. n. 309/1990. La Corte territoriale ha, dunque, innanzitutto esaminato la questione relativa alla offensività delle condotte contestate rilevando la impossibilità di riqualificare il fatto nell’ipotesi autono citata, alla luce dei parametri posti in via alternativa dalla legge.
La valutazione, sorretta da congrue e logiche argomentazioni, è conforme ai principi espressi da questa Corte in subiecta materia, avendo la Corte correttamente valutato complessivamente gli elementi caratterizzanti il fatto contestato. Va ricordato che, ai fini della configurabilità dell’ipot delittuosa di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione – mezzi, modalità e circostanze della stessa-, sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato – quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa. Si tratta dell’orientamento interpretativo fatto proprio da questa Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sez. U, n.51063 del 27/09/2018, COGNOME, in motivazione) con cui si è precisato che nella verifica occorre abbandonare l’idea che gli indici attinenti al valore ponderale, alle modalità del fatto,
(4,
mezzi dell’azione ed alla pericolosità sociale della condotta possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, «riconoscendo od escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma allo stesso tempo anche che tali indici non debbano tutti indistintamente avere segno positivo o negativo». Essendovi «la possibilità che tra gli stessi indici si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso».
In proposito va rilevato che anche il dato della. non occasionalità del fatto, concernente le modalità o circostanze dell’azione, ha concorso alla complessiva valutazione, negativa, ai fini del giudizio di “lieve entità”, quale elemento inserito nella ricostruzione fattuale nella sua interezza. Va ricordato che la reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dall’art. 73, co. 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Sez.6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, Rv.271959 – 01, in motivazione; Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016,dep. 2017, Bandera, Rv. 269145).
La Corte territoriale, dunque, nel solco dei principi sanciti da questa Corte, affermata la necessità di una interpretazione dell’art. 73, co. 5, che consenta di rapportare in modo razionale la pena al fatto, in base a un criterio di ragionevolezza che dia attuazione al principio di cui all’art. della Costituzione, ha precisato che, nel caso all’esame, le condotte illecite erano avvenute in maniera sistematica e reiterata, con una particolare pervicacia e ostinazione. Un’attività, quella posta in essere, seppur rudimentale, ma già da tempo ampiamente avviata.
Quanto a COGNOME i giudici di secondo grado hanno precisato che le condotte illecite avevano avuto avvio prima della emergenza pandemica allorquando il ricorrente si approvvigionava di sostanza stupefacente soprattutto del tipo cocaina nel quartiere INDIRIZZO di Taranto mentre lo smercio al dettaglio avveniva sul territorio del comune di Martinafranca e che le cessioni proseguivano presso la sua abitazione anche durante il lockdown a qualunque ora del giorno e della notte, avvalendosi di mezzi di comunicazione quali Messanger e Telegram. La Corte territoriale ha richiamato, in proposito, anche i numerosi video rinvenuti nel cellulare in
uso al COGNOME che riprendevano l’imputato “spesso unitamente al COGNOME” mentre ostentava denaro contante frutto dell’attività delittuosa, a conferma non solo della non occasionalità delle condotte ma anche della portata offensiva delle stesse, avuto riguardo anche all’età dei clienti, spesso minorenni (si veda capo 3) aggravato solo per COGNOME dall’art. 80 lett. a) del d.P.R. n. 309/1990.
La Corte territoriale, pertanto, ha fatto buon governo dei principi che richiedono che ai fini della qualificazione dei singoli reati scopo come ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73 co. 5 d.P.R. n. 309/90, si deb tenere conto della dimensione complessiva delle condotte in rapporto alla loro offensività, con doglianze che la difesa, incentrando la richiesta sull’incertezza del dato quantitativo, offre in termini generici, a fronte d colloqui in cui l’ammontare dello stupefacente (in funzione dei prezzi, dei quantitativi, dei debiti contratti dai clienti) non appaiono affatto nninimali.
A pag. 7 della motivazione, peraltro, la Corte territoriale, rispondendo a specifica doglianza, ha precisato che la scelta operata dal giudice di prime cure di riqualificare, per il solo coimputato COGNOME, correo nella commissione dei delitti di cui al capo 3) l’ipotesi di cui a comma 5 del d.P.R., non scalfisce la ricostruzione operata, richiamando in proposito la sentenza di questa Corte di legittimità che nel suo massimo consesso ha statuito che «il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 1 ovvero comma 4 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e nei confronti di un altro concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R.».
La Corte territoriale, quanto al Tramonte, ha poi posto l’accento sulla circostanza che costui accompagnava COGNOME fuori città per l’acquisto dello stupefacente e rispondeva alle telefonate dall’utenza telefonica e veniva indicato dagli stessi acquirenti, come soggetto al quale rivolgersi per effettuare i pagamenti per lo stupefacente acquistato.
Con motivazione affatto illogica né contraddittoria la Corte territoriale ha argomentato che il mancato sequestro di ingenti quantità di sostanza stupefacenti, sia in capo ai singoli imputati che agli acquirenti, avuto riguardo alle modalità delle condotta che hanno evidenziato una ben avviata attività, gestita alacremente sul territorio che è stata solo rallentata dall’emergenza pandemica che ha limitato la possibilità per COGNOME e COGNOME di muoversi sul territorio ionico come gli stessi
affermavano nel corso di alcune conversazioni telefoniche, non per questo meno pervicace.
E’ manifestamente infondato il motivo proposto nell’interesse del COGNOME con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
E’ costante l’insegnamento della Suprema Corte in virtù del quale “al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen. quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente” (Cass. Sez. 3 n. 1913 del 20.12.2018 Rv. 275509; Cass. Sez. 2 n. 23903 del 15.7.2020 Rv. 279549).
La Corte territoriale, con motivazione esente da censure, ha rideternninato la pena tenendo fermo il giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza, operato dal primo giudice, tra le circostanze di cui all’art. 62 bis cod. pen. e le aggravanti contestate in ragione degli argomenti che la difesa, nel ricorso oblitera, consistenti nella particolare gravità del condotte (ivi compresa la cessione di stupefacenti a minori) e al ruolo rivestito dal COGNOME nella complessiva attività di spaccio “e in particolare di acquirente della sostanza da smerciare al dettaglio sul territorio” (v. pag. 8 della sentenza impugnata).
E’ manifestamente infondato il ricorso proposto nell’interesse di Aquaro con cui si lamenta la carenza di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale, che pure ha rinnodulato la pena, ha preso le mosse dalla pena base di anni uno e mesi sei di reclusione aumentandola di mesi tre per la continuazione interna.
In proposito occorre ricordare che una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice si richiede nel caso in cu la sanzione sia determinata in misura prossima al massimo edittale o, comunque, superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’art. 133, cod. pen., di irrogare una pena in misura media o prossima al minimo edittale (sez. 4, n. 27959 del 18/6/2013, COGNOME, Rv. 258356; sez.2, n. 28852 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256464; sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, COGNOME, Rv. 256197).
Nel caso in cui il giudice di merito abbia applicato la pena in misura prossima al minimo edittale, trova applicazione il principio secondo il quale la motivazione in ordine alla determinazione della pena base, ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti, è necessaria solo quando la pena inflitta sia superiore alla misura media edittale.
Fuori da questo caso, anche l’uso di espressioni quali «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, è sufficiente a far ritener che il giudice abbia tenuto presenti, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133, cod. pen., per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al quantum della pena, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243-01; sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196-01; sez. 5, n. 9141 del 29/8/1991, COGNOME, Rv. 188590), per calcolare la quale, peraltro, non va dimezzato il massimo edittale previsto per il reato, ma diviso per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale, aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, Del Papa, Rv. 276288-01).
Le considerazioni sopra svolte con riferimento alla posizione di COGNOME valgono anche per gli argomenti difensivi spesi con il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME A fronte di una cornice edittale compresa tra sei mesi e cinque anni, la pena nei confronti del ricorrente è stata determinata in misura pari a un anno e mesi nove di reclusione, non mancando di evidenziare che il ricorrente ha rappresentato “NOME ego del COGNOME sul territorio martinese per la vendita di sostanza stupefacente del tipo hashish e marijuana”.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna degli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME Pietro e NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali e ciascuno anche alla somma di C. 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P. Q. M .
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della
cassa delle ammende.
Deciso il 10 aprile 2025