Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29943 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29943 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Carmagnola il 18/10/1972
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino il 16/12/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima città con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena di mesi otto di reclusione, perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per avere compiuto atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione delle imposte mediante la cessione al figlio convivente delle proprie quote della RAGIONE_SOCIALE società semplice, in data 28/05/2019. Con la medesima sentenza era stata ordinata la confisca per equivalente di denaro o beni nella disponibilità dell’imputato sino alla concorrenza dell’importo complessivo di C 41.963,29.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen., in relazione all’erronea applicazione della legge penale di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per aver ritenuto la corte territoriale che la cessione da parte dell’imputato al figlio del 29% della propria quota di partecipazione nella società RAGIONE_SOCIALE avesse natura fraudolenta per essere stata posta in essere dal prevenuto per occultare i propri beni in pregiudizio dell’attività di recupero dell’amministrazione finanziaria.
La Corte d’appello con motivazione illogica, a fronte della sequenza cronologica degli atti dispositivi compiuti e descritti nella sentenza impugnata, avrebbe disatteso il dictum delle Sezioni Unite n. 12213 del 2018 che hanno affermato che non è sufficiente la semplice idoneità dell’atto ad ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’erario, essendo necessario il compimento di atti che, nell’essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulator o fraudolenta. La corte territoriale avrebbe ritenuto connaturata alla natura degli atti di alienazione la dimostrazione della fraudolenza.
La Corte territoriale avrebbe desunto la natura fraudolenta dell’atto compiuto dalla mera idoneità di ledere la possibilità di recuperare il credito da part dell’erario
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in relazione all’art. 131 bis cod.pen.
La corte territoriale avrebbe erroneamente escluso l’applicazione della speciale causa di non punibilità sul rilievo della gravità dei fatti, in relazi all’importo complessivo significativamente elevato costituente il profitto di reato. Tale decisione sarebbe erronea in quanto l’imputato, con la moglie e il figlio, aveva costituito la società RAGIONE_SOCIALE società semplice con oggetto sociale la gestione dell’immobile; il capitale sociale versato ammontava a C 5.000 e le quote sociali al momento della costituzione erano distribuite nella misura del 30% in capo alla moglie, del 30% in capo all’imputato e del 40% in capo al figlio; al momento della costituzione l’imputato conferiva nella società l’immobile ipotecato dell’importo di C 144.607,93. La corte territoriale avrebbe erroneamente determinato la gravità del fatto rapportandola al valore del conferimento e non al valore nominale della quota sociale da cui l’erronea esclusione della particolare tenuità dell’offesa.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione dell’ammontare del profitto erroneamente determinato in C 41.963,29, pari al 29% del valore dell’immobile conferito,
dovendo essere calcolato sul valore delle quote sociali cedute e, quindi, pari al 29% del capitale sociale di C 5.000,00.
Il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Come è noto, l’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 29, comma 4, d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, sanziona, alternativamente, la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte (sui redditi o sul valore aggiunte o di interessi o sanzioni relativi a tali imposte), aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte ineffica la procedura di riscossione coattiva. Attraverso l’incriminazione della condotta prevista, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al su dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’erario (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 36290 del 18/05/201 Cualbu, Rv. 251077, secondo cui l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori). Parimenti la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere la natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in esame (cfr. da ultimo, Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648, che ha affermato che il delitto in questione è reato di pericolo, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui b idonei a pregiudicare – secondo un giudizio “ex ante” – l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Passi, Rv. 266771, con richiami ai numerosi precedenti conformi). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto alla condotta del reato, accanto all’alienazione simulata, il legislatore ha individuato l’ulteriore condotta del compimento di «altri att fraudolenti», diversi dalla alienazione simulata, la cui idoneità a sottrarre i beni pagamento del debito tributario è stata valutata dal legislatore in via generale e astratta, la cui natura fraudolenta diretta a sottrarre il bene al pagamento delle imposte deve caratterizzare l’atto. Non v’è dubbio che nel novero degli «altri atti fraudolenti» debbano essere ricompresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni (sparizione materiale di un bene senza alienazione), ma anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a sottrarre beni al pagamento delle imposte.
Sulla nozione di atto fraudolento sono intervenute le S.U. n. 12213/2018 che hanno testualmente affermato che «Con riguardo alla nozione di “atto
fraudolento” contenuta nella disposizione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, laddove, con terminologia mutuata dall’ art. 388 cod. pen., si sanziona la condotta di chi, «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunt aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui b idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva», questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale «ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798)».
Con particolare riferimento all’alienazione di beni, questa Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che, in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, Auci, Rv. 273493 01). Sempre in tema, si è chiarito che la nozione di “atti fraudolenti”, rilevante a fini del presente giudizio, secondo un ormai consolidato indirizzo ermeneutico (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Rv. 252996), comprende tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione, rilevando, tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell’eventua compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha descritto l’intera operazione a partire dalla costituzione della società, nel 2017, nella quale è stato conferito l’unico cespite dell’imputato il quale, l’anno successivo, il 6 agosto 2018 aveva ricevuto gli avvisi di pagamento per mancato pagamento di imposte relative agli anni 2013- 2014 e successivamente, nel maggio 2019 aveva ceduto il 29% delle quote al figlio, rimanendo amministratore della società e socio al 1%.
Sulla scorta del dato di fatto accertato e non messo in discussione nella sua dimensione storica, i giudici territoriali con logica motivazione hanno argomentato che la cessione da parte dell’imputato al figlio, quasi per intero, della propria quota di partecipazione nella società immobiliare della famiglia, nella quale due anni prima lo stesso imputato aveva conferito l’immobile di sua proprietà, unitamente
al mantenimento dell’amministrazione della stessa e di una quota pari allsr/0 costituiva atto fraudolento idoneo a rendere difficoltosa impedire la procedura di riscossione coattiva del debito ormai prevedibile a seguito dell’accertamento dell’erario notificatogli nel 2018. Contrariamente all’assunto difensivo, risult adeguatamente illustrato il requisito della natura fraudolenta dell’operazione di cessione delle quote secondo i principi espressi dalla giurisprudenza anche nella sua massima espressione.
Il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato, così come manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso da cui occorre muovere.
La difesa, nel terzo motivo di ricorso, censura la decisione impugnata nella parte relativa alla determinazione del profitto del reato di sottrazione fraudolenta.
Costituisce orientamento consolidato quello secondo cui in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma (Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015 Chiarolanza Rv. 262754 – 01 e successive conformi).
Quanto al caso in esame, i giudici territoriali hanno correttamente determinato l’ammontare del profitto nel 29% del valore del cespite conferito nella società.
La quota sociale esprime la misura della partecipazione del socio nella società di persone, a cui appartiene la società semplice, e il valore di questa è determinato dai conferimenti, sicchè correttamente i giudici territoriali hanno quantificato il profitto del reato, che si identifica nel valore del bene che funge garanzia patrimoniale, nel 29% del valore del bene conferito dall’imputato nella società. In presenza di alienazione fraudolenta della quota pari al 29% del capitale sociale, il profitto del reato si identifica nel 29% del valore dell’immobile conferi nella società.
La prospettazione difensiva secondo cui il profitto dovrebbe essere determinato nel 29% del capitale sociale non trova fondamento nella disciplina civilistica e non tiene conto del disposto di cui all’art. 2289 comma 2 cod. civ. che esclude la possibilità di determinare il valore della quota con riferimento al valore nominale.
Da cui anche la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.
La corte territoriale ha escluso la tenuità dell’offesa in ragione dell’ammontare, non certamente esiguo, del profitto del reato come sopra quantificato.
La valutazione della corte territoriale sulla non minima offensività della condotta in ragione dell’ammontare dell’imposta evasa non di minima offensività,
non può dirsi manifestamente illogica, atteso che la non particolare tenuità
dell’offesa deriva da una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza, e, pertanto, non è censurabile in questa
sede.
10. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. Alla dichiarazione di
inammissibilità del ricorso consegue l’obbligo del pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del
procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 09/07/2025