Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28355 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28355 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Portogruaro il 14-03-1968, avverso la sentenza del 09-05-2024 della Corte di appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria di replica trasmessa dall’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di Trebbi, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 dicembre 2022, il Tribunale di Pordenone, all’esito di rito abbreviato, ritenuta la continuazione e riconosciute le attenuanti generiche equivalenti rispetto alla contestata aggravante, condannava NOME COGNOME con i doppi benefici di legge, alla pena di 1 anno e 8 mesi di reclusione, in quanto ritenuto colpevole di due episodi del delitto di cui a ll’ art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capi A e B), nonché del delitto ex art. 11, comma 1, del d. lgs. n. 74 del 2000 (capo C); fatti commessi in Concordia Sagittaria (capi A e B) il 31 luglio 2015 (capo A) e il 28 settembre 2016, e in Azzano Decimo tra il 20 giugno e il 12 dicembre 2017 (capo C). Con il medesimo provvedimento, veniva inoltre ordinata la confisca, anche per equivalente, del profitto dei reati contestati.
Con sentenza del 9 maggio 2024, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della decisione di primo grado, rideterminava la pena a carico dell’imputato in 1 anno e 4 mesi di reclusione, confermando nel resto la pronuncia del Tribunale.
Avverso la sentenza della Corte di appello triestina, COGNOME tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, riferito al reato di cui al capo A, sono stati eccepiti il vizio di motivazione e l’erronea applicazione de gli art. 2 cod. pen. e 4, comma 1 bis , del d. lgs. n. 74 del 2000, nella misura in cui la Corte di appello non ha tenuto conto delle deduzioni difensive con cui era stata invocata la causa di non punibilità di cui al predetto art. 4, comma 1 bis , dovendosi escludere la natura decettiva delle dichiarazioni fiscali della Ikon. A ciò si aggiunge che, per verificare la sussistenza delle soglie Iva rilevanti per l’applicabilità del regime di cassa, i giudici di merito hanno ritenuto irrilevante la cessione del debito operata dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, sulla base di quanto stabilito da una Circolare e da una Risoluzione ministeriale contenenti norme contabili (non previste dalla legge statale) al fine di rendere rilevanti, dal punto di vista fiscale, le cessioni di debiti. Si ribadisce in tal senso che la giurisprudenza di questa Corte (citata nel ricorso) ha più volte rimarcato l’assenza di valore normativo di circolari e risoluzioni rispetto alla sussistenza del reato. In ogni caso, si precisa , l’errore commesso (riferibile solo agli ultimi due mesi dell’anno) rientrerebbe pienamente in quelle violazioni prive di rilievo penale, per le quali operano già le sanzioni amministrative e gli strumenti di recupero del credito da parte dell’Erario. La Corte di appello non avrebbe inoltre fatto buongoverno delle regole relative alle presunzioni tributarie, ricorrendo ampiamente alla comunicazione di reato dell’Agenzia delle Entrate, senza alcuna integrazione investigativa propria dell’indagine penale .
Con il secondo motivo, riguardante il capo B, la difesa, nel dedurre il vizio di motivazione e l’inosservanza degli art. 2 cod. pen. e 4, comma 1 bis , del d. lgs. n.
74 del 2000, contesta la decisione della Corte di appello di avere avallato la scelta del Tribunale di considerare piena prova quella che, essendo una presunzione tributaria, può costituire al più un semplice indizio, imponendo peraltro all’imputato un’inversione dell’onere della prova, non potendo essere ritenuto prova dell’evasione il fatto che il ricorrente abbia incassato assegni emessi dalla RAGIONE_SOCIALE senza fornire giustificazione all’Agenzia delle Entrate .
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza, rispetto al capo C, è l’errata applicazione dell’art. 11 del d. lgs. n. 74 del 2000, norma che, pur integrando una fattispecie di pericolo astratto, costituente quindi un’anticipazione della soglia di tutela penale, non può essere interpretata come volta a introdurre una preventiva sanzionabilità di qualsiasi condotta volta a determinare una diminuzione o una modificazione del patrimonio del contribuente potenzialmente esposto alla pretesa erariale. Nel caso di specie, sarebbe mancata la consapevolezza, in capo al ricorrente, della pretesa impositiva erariale, essendo state portate a conoscenza di quest’ultimo soltanto le comunicazioni relative all’accertamento tributario.
Con il quarto motivo, concernente ancora il reato di cui al capo C, si eccepisce la violazione dell’art. 43 cod. pen., in quanto mancherebbe nella sentenza impugnata un ‘adeguata esposizione circa la sussistenza del l’elemento soggettivo del reato, osservandosi in proposito che l’oggettiva idoneità di un negozio giuridico a contrastare le ragioni creditorie del Fisco non permette di desumere il dolo dell’autore del reato, occorrendo un accertamento specifico al riguar do.
2.1. Con memoria trasmessa il 20 febbraio 2025, l’avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputato, nel replicare alle considerazioni del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento del ricorso , ribadendone le argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Ritiene il Collegio che le censure difensive siano suscettibili di essere trattate in maniera unitaria, sia perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, sia perché accomunate dalla loro tendenza a sollecitare, al cospetto di un impianto argomentativo non manifestamente illogico, differenti apprezzamenti di merito che tuttavia esulano dal perimetro del giudizio di legittimità, dovendosi in proposito richiamare la costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Non sono infatti deducibili innanzi a questa Corte censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua contraddittorietà e dalla sua illogicità ove non manifesta su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che ‘attaccano’ la persuasività, l’ inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell ‘ attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747).
2. Alla luce di tale premessa, devono ritenersi dunque inammissibili le doglianze riferite al capo A, non confrontandosi il ricorso con le pertinenti considerazioni della sentenza impugnata (pag. 7-12), nella quale , all’esito di una compiuta disamina degli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate confluiti nel rito abbreviato, è stata rimarcat a l’inapplicabilità nel caso di specie dell’art. 4, comma 1 bis , del d. lgs. n. 74 del 2000, secondo cui, ai fini della configurabilità della fattispecie de qua , non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell ‘ esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
La Corte di appello ha infatti sottolineato che la dichiarazione infedele ascrivibile a COGNOME, con cui è stato indicato un regime di iva differito non applicabile, non costituisce affatto un’erronea valutazione di elementi passivi oggettivamente esistenti, essendo la dichiarazione de qua basata su indubitabili indici di fraudolenza, insiti nel fatto che la società RAGIONE_SOCIALE di cui all’epoca COGNOME era legale rappresentante, ha trasmesso una dichiarazione ai fini Iva per l’anno 201 4 compilando un rigo dedicato a un regime speciale, quello dell’iva a esigibilità differita, diverso da quello richiamato nelle fatture emesse verso il cliente RAGIONE_SOCIALE n el 2014, senza mai provvedere alla liquidazione dell’iva esposta nelle fatture medesime, a ciò aggiungendosi che il regime di cash accounting non poteva essere applicato dalla Ikon, in quanto il volume d’affari indicato nella dichiarazione Iva era superiore al limite di 2 milioni di euro stabilito dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 44/E del 26 novembre 2012. Ora, come correttamente rilevato dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, il richiamo della sentenza impugnata alla circolare interpretativa dell’Agenzia delle Entrate non vale certo a sovvertire il principio della riserva di legge in materia penale, posto che non è una
mera circolare, ma è la legge ( ossia l’ art. 32 bis del decreto legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012) a sancire la possibilità di optare per il regime dell’Iva per cassa per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate da soggetti passivi con volume d’affari non superiore a due milioni di euro. Quanto poi alla Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 183 del 13 luglio 1985, la stessa è stata richiamata dalla Corte di appello solo al fine di ribadire l’assunto , non seriamente smentito dalla difesa, della non trasferibilità della posta passiva che comprendeva parte dell’Iva non pagata a una società di nuova costituzione formata mediante scissione parziale della società debitrice, vicenda questa che rappresenta un post-factum del delitto contestato e che, al pari di altre condotte successive al reato, è stata evocata dalla Corte di appello quale elemento rivelatore della natura fraudolenta e non meramente erronea della dichiarazione resa da COGNOME e ciò anche in considerazione d el fatto che l’Iva non venne mai pagata da alcuno dei soggetti coinvolti nelle operazioni compiute dalla RAGIONE_SOCIALE Non può sottacersi, da ultimo, che, come osservato dal giudice di primo grado (cfr. pag. 1 della sentenza del Tribunale), l’imputato, con memoriale del 12 luglio 2021 da lui sottoscritto e prodotto all’udienza preliminare, ha reso piena e incondizionata confessione per tutti i reati a lui contestati in questo procedimento.
Parimenti inammissibili sono le doglianze concernenti il capo B, avente ad oggetto nuovamente il reato di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000, in tal caso contestato a COGNOME per avere indicato, quale libero professionista, nella dichiarazione ai fini Iva presentata il 28 settembre 2016 e riferita al 2015, un ammontare di elementi attivi inferiore a quello effettivo, per un importo di euro 284.743 rispetto all’imposta sui redditi e di euro 200.790 in relazione all’Iva.
Orbene, la difesa lamenta al riguardo il ricorso acritico da parte dei giudici di merito
alle cd. presunzioni tributarie, ma al riguardo alcuna criticità pare ravvisabile, avendo i giudici di appello valorizzato non meri indici presuntivi, comunque liberamente valutabili in sede di merito (cfr. in termini Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Rv. 254853), ma dati fattuali ben precisi, tratti dall’annotazione della Direzione Provin ciale di Venezia dell’Agenzia delle Entrate del 4 dicembre 2020, da cui è emerso che Trebbi, nel corso del 2015, ha ricevuto dalla società RAGIONE_SOCIALE somma complessiva di 668.408 euro tramite 22 versamenti di assegni circolari e bancari sul proprio conto corren te e un’operazione di negoziazione di valori per cassa assegni circolari extra-conto presso la Banca Popolare dell’Alto Adige, risultando almeno due disposizioni di pagamento eseguite con la causale ‘COGNOME Luca acconto fatture’, il che vale a corroborare la tesi che i versamenti di denaro furono eseguiti per prestazioni professionali (non dovendosi in ogni caso dimenticare la confessione dell’imputato per tutti i reati ascrittigli) .
Di qui la manifesta infondatezza delle censure difensive sul punto.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al terzo e al quarto motivo , entrambi riferiti al capo C, riguardante il delitto di cui all’art. 11 del d. lgs. n. 74 del 2000, commesso da Trebbi tra il 20 giugno e il 12 dicembre 2017.
Occorre evidenziare in proposito che le due conformi sentenze di merito (pag. 34 della sentenza di primo grado e pag. 12-14 della decisione impugnata) hanno compiuto un’adeguata disamina delle prove raccolte, valorizzando in particolare gli esiti della verifica fiscale svolta dall’Agenzia delle Entrate di Venezia, da cui è emerso che, dopo la notifica degli avvisi di accertamento per imposte inevase, relative agli anni 2012 e 2013 (per complessivi 117.973,36 euro) nei confronti della RAGIONE_SOCIALE l., di cui l’imputato e la moglie erano contitolari al 50% ciascuno e dopo la notifica degli avvisi di accertamenti riferiti alla sua posizione professionale (con debiti erariali per complessivi 273.344,58 euro), COGNOME, nel corso del 2017, ha posto in essere, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, una serie di operazioni, peraltro tra loro temporalmente ravvicinate e chiaramente finalizzate a spogliarsi di tutti i beni posseduti, mobili e immobili, attraverso la costituzione di nuove società e la suddivisione del patrimonio della società (nel frattempo dismessa) in favore delle entità societarie create appositamente per cercare di rendere inefficaci le procedure di riscossione dei crediti erariali nei confronti suoi e della società di cui egli era contitolare.
Ora, la natura simulata delle operazioni negoziali compiute dal ricorrente non è stata contestata dalla difesa, per cui , stante l’evidente ispirazione finalistica sottesa al compimento delle operazioni compiute da COGNOME all’indomani della notifica degli avvisi di accertamento, ragionevolmente è stato ritenuto integrato in ogni sua componente il delitto di cui all’art. 11 del d. lgs. n. 74 del 2000 , tanto più che l’imputato e la RAGIONE_SOCIALE non hanno dimostrato di possedere altri beni in grado di soddisfare la pretesa erariale, nonostante gli atti simulati.
4.1. Orbene, anche in tal caso, a fronte di un apparato argomentativo non illogico e anzi saldamente ancorato alle acquisizioni probatorie disponibili, le censure difensive (ri)propongono una diversa interpretazione dei dati probatori valorizzati dai giudici di merito, operazione questa che, tuttavia, come si è già evidenziato, risulta estranea al sindacato che connota il giudizio di legittimità.
5. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammiss ibilità’, si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 26.02.2025