Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12717 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12717 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VIBO VALENTIA il 06/11/1975
avverso l’ordinanza del 14/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
NOME GiuseppeCOGNOME a mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui la Corte d’appello di Roma in data 14.11.2024 ha dichiarato inammissibile l’atto di appello dal medesimo proposto avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 22.5.2024.
In particolare, il giudice del gravame ha rilevato che, poiché la sentenza impugnata era stata depositata nel termine di novanta giorni ai sensi dell’art. 544 cod. proc. pen. e il termine per proporre appello scadeva il 15.10.2024, l’atto depositato in data 16.10.2024 era da ritenersi tardivo.
Con un unico motivo il ricorrente deduce l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità e di inammissibilità o di decadenza e la violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. in relazione alla violazione degli artt. 591, comma 1, lett. c) e comma 2, cod. proc. pen. in relazione all’art. 585 comma 2, lett. c), cod. proc. pen. con riguardo alla individuazione del termine per proporre impugnazione in relazione all’art. 172, comma 4, cod. proc. pen. avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto di computare anche il dies a quo in contrasto con la regola generale di cui all’art. 172 cod. proc. pen. comma 4, all’art.1 della legge 7 ottobre 1969 n. 742 in relazione ai principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.
Si assume che, contrariamente a quanto ritenuto dall’ordinanza impugnata, il termine per impugnare inizia a decorrere dal giorno successivo alla scadenza del periodo feriale, quindi dal 10 settembre, se non è giorno festivo.
Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente propone impugnazione avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Roma datata 14.11.2024 assumendo che in essa si affermi illegittimamente la tardività dell’appello interposto dal difensore dell’imputato, ritenendo erroneamente che il termine per impugnare, cui si applica la sospensione feriale, venga a scadere non già il 16 ottobre 2024, bensì il giorno antecedente.
Va premesso che la sentenza di primo grado è stata pronunciata in data 22.5.2024. e il termine per il deposito della motivazione è stato indicato in giorni novanta ai sensi dell’art. 544, comma 3, cod. proc. pen. Pertanto, il termine per l’impugnazione era di quarantacinque giorni ex art. 585, comma 1 lett. c) cod. proc. pen. Non aveva spazio operativo, infatti, la disposizione prevista
dall’art.585, comma 1 bis, cod. proc. pen. perché l’ordinanza con la quale si era disposto di procedere in assenza dell’imputato era stata revocata all’udienza del 14.5.2024.
Poiché il termine per il deposito della motivazione scadeva il 20.8.2024 (durante la sospensione dei termini processuali prevista dall’art. 1 della legge n.742/1969), ci si deve chiedere se, nel caso di specie, nel termine per impugnare debba essere computato il giorno 1° settembre 2024.
Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che nel caso concreto questo giorno non dovrebbe essere calcolato perché il 10 settembre 2024 cadeva di domenica e si trattava dunque di un giorno festivo, ma questa tesi non ha pregio.
Ed invero, in materia di termini processuali stabiliti a giorni, la proroga prevista dall’art. 172, comma 3, cod. proc. pen. con riferimento ai giorni festivi riguarda esclusivamente la scadenza dei termini stessi e non anche l’inizio della loro decorrenza, che dunque non è prorogata di diritto nell’ipotesi in cui il primo giorno sia festivo. (Fattispecie, in tema di appello, in cui il primo giorno di decorrenza del termine per proporre impugnazione era festivo (Sez.2, n. 24277 del 14/05/2014 Rv. 259718).
Se è vero, inoltre, che, quando il termine assegnato per il compimento di un’attività processuale decorre dalla scadenza del termine assegnato per altra attività processuale (come avviene nell’ipotesi di cui all’art. 585, comma 2, lett. c), cod. proc. pen.), la proroga di diritto del giorno festivo, in cui il precedente termine venga a cadere, al primo giorno successivo non festivo, determina lo spostamento della decorrenza del termine successivo con esso coincidente; è altrettanto vero che ciò non si verifica quando ricorrono cause di sospensione che (come quella prevista per il periodo feriale) operano diversamente per i due termini e comportano una discontinuità tra il giorno in cui il primo termine scade e il giorno da cui deve calcolarsi l’inizio del secondo (Vedi Sez. U, n. 155 del 29/09/2011,dep. 2012, Rossi, Rv. 251495).
3.Come si è detto, nel caso oggetto del presente ricorso, il termine per il deposito della sentenza scadeva nel mese di agosto, durante il periodo di sospensione dei termini processuali previsto dalla legge n. 742/1969. Trova pertanto applicazione il principio secondo il quale, in tema di computo dei termini processuali, ai fini della tempestività della impugnazione nel caso di riserva di deposito della motivazione, il termine per la proposizione del gravame, ex art. 585, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., comincia a decorrere dal primo giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza, in virtù del principio generale di cui all’art. 172, comma 4, cod proc. pen., cui non deroga il predetto art. 585 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 23608 del 27/04/2022, COGNOME, Rv. 283273).
Occorre poi chiarire che la sospensione dei termini nel periodo feriale, prevista nell’ordinamento per consentire ai difensori di godere di un periodo di riposo, non è sostanzialmente mutata a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 16, commi 1 e 2 , d.l. 12.09.2014 n. 132 conv. in I. 10.11.14 n. 162, che hanno solo ridotto i giorni di ferie dei magistrati (30 e non più di 45) e la durata del periodo di sospensione feriale (dal 10 al 31 agosto e non più dal 10 agosto al 15 settembre).
Con riguardo alla decorrenza del termine per impugnare, in un quadro normativo nel quale il periodo di sospensione feriale andava dal 1° agosto al 15 settembre, Sez. 5, n. 34223 del 24/04/2009 ha stabilito che, nel computo del termine di impugnazione, ove il “dies a quo” cada nel periodo di sospensione feriale, non deve tenersi conto, operato il differimento alla fine del periodo di sospensione, del giorno 15 settembre, ma di quello immediatamente successivo.
In motivazione, la sentenza dà conto dei due opposti orientamenti che si sono fronteggiati sul tema del computo dei termini e aderisce all’opzione ermeneutica seguita dalle Sezioni unite civili con la sentenza 28 marzo 1995 n.3668 (Rv. 491465 – 01) secondo la quale «In tema di sospensione dei termini durante il periodo feriale dall’i agosto al 15 settembre, l’art. 1 della legge 7 ottobre 1969 n. 742, il quale stabilisce che, se il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo, va inteso nel senso che il giorno 16 settembre deve essere compreso nel novero dei giorni concessi dal termine, atteso che tale giorno segna non l’inizio del termine, ma l’inizio del suo decorso, il quale non include il “dies a quo” del termine stesso». Nella motivazione di questa pronuncia le Sezioni Unite civili hanno sottolineato che il principio della non computabilità del termine iniziale «attiene all’esigenza di dare rilievo (quando il termine è a giorni), a giorni interi, trascurando le frazioni di giorno relative al momento in cui si sia verificato l’atto che costituisce il punto di riferimento del termine, nonché l’effetto giuridico di quell’atto»; sicché, se l’atto che produce un determinato effetto giuridico si realizza nel periodo feriale, «non vi è preclusione a che il dies a quo, da non computare nel termine, sia individuabile nello stesso giorno in cui l’atto abbia manifestato i suoi effetti». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La citata sentenza n. 34223/2009 ha adottato in sede penale la medesima opzione ermeneutica e il Collegio condivide questa scelta. Ha osservato infatti che «stante la unitarietà della nozione di “termine” e la sostanziale uniformità normativa», i principi affermati dalle Sezioni unite civili riguardano i termini processuali in genere e sarebbe «illogico considerare come dies a quo un giorno intero, il 16 settembre, quando in questo nessun atto si è realizzato e nessun effetto giuridico si è verificato». Ha chiarito, inoltre, che «nel caso di notific
della sentenza o di scadenza del termine del deposito durante il periodo di sospensione, l’atto e l’effetto giuridico si sono già realizzati ed è all’interno d quel periodo che deve essere situato il dies a quo» e sarebbe illogico considerare come dies a quo un giorno intero, il 16 settembre, quando in questo nessun atto si è realizzato e nessun effetto giuridico si è verificato (Sez. 5, n. 34223 del 24/04/2009, COGNOME, Rv. 245086, pag. 5 della motivazione).
A questo orientamento, del resto, la successiva giurisprudenza penale si è costantemente uniformata affermando che «Ai fini del computo dei termini durante il periodo di sospensione feriale il “dies a quo” va fissato nel 15 settembre (e “non computaturn, con la conseguenza che il successivo giorno 16 va utilmente calcolato» (Sez. 5, n. 5624 del 05/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262229; Sez. 1, n. 11 del 27/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254209; Sez. 4, n. 43404 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248941).
Com’è evidente, i principi illustrati devono essere applicati oggi tenendo conto del mutato periodo di sospensione feriale dei termini: l’inizio del termine di impugnazione è “differito alla fine” del periodo feriale, ovvero al 31 agosto, di talché – nel caso oggetto del presente ricorso – il termine per impugnare non scadeva il 16 ottobre come il ricorrente sostiene, bensì il 15 ottobre, come correttamente ritenuto nell’ordinanza impugnata.
In conclusione il ricorso, manifestamente infondato, va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7.2.2025