Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21556 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21556 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
R.G.N. 5941/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato in SERBIA il 19/05/1982 avverso l’ordinanza del 22/01/2025 del GIP TRIBUNALE di Genova udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che chiedeva l’annullamento senza rinvio dell’impugnato provvedimento
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Genova, in funzione di giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 22 gennaio 2025 dichiarava insussistenti le condizioni per la sospensione dell’ordine di esecuzione nei confronti di COGNOME
Il COGNOME lamenta la mancata sospensione dell’ordine di esecuzione in quanto egli non sarebbe mai stato dichiarato latitante ovvero evaso, ma semplicemente irreperibile, tanto Ł vero che l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti non aveva mai avuto esecuzione.
L’ordinanza non era mai stata revocata e il condannato era stato tratto in arresto all’estero e trasferito in Italia il 3 gennaio 2025.
Secondo il Tribunale, la irrevocabilità della sentenza non incide sulla validità del titolo cautelare, in quanto le misure custodiali conservano la loro efficacia anche dopo il passaggio in giudicato della pena detentiva non sospesa; ciò che, sia secondo il PM richiedente, sia secondo il Tribunale, impedisce la sospensione dell’ordine di esecuzione Ł l’esistenza di un vincolo custodiale carcerario destinato a trasformarsi fisiologicamente in ordine di carcerazione, indipendentemente dalla formale declaratoria di latitanza.
Il Tribunale, poi, riteneva la esistenza di un profilo sostanziale di latitanza, indipendente dalla sua formale dichiarazione e connesso alla consapevole sottrazione del soggetto alla misura disposta nei suoi confronti.
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso il condannato a mezzo del difensore di fiducia esponendo quale unico motivo di doglianza la violazione dell’art. 656 comma 5 cod. proc.
pen.
Secondo il ricorrente il provvedimento impugnato si baserebbe su un equivoco di fondo, cioŁ sulla sostituzione del concetto di latitanza con quello di irreperibilità.
Il ricorrente sarebbe irreperibile Ł non già latitante e ciò striderebbe con la asserita volontarietà della sua sottrazione alla misura disposta nei suoi confronti e impedirebbe l’operatività dell’art. 656 comma 9 lett. b) cod. proc. pen.
3. Il sostituto procuratore generale NOME COGNOME depositava requisitoria scritta chiedendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł fondato nei termini che seguono.
L’art. 656 comma 9 cod. proc. pen. stabilisce che la sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta, come stabilito al punto b), per quanto qui rileva, nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva.
La sospensione dell’ordine di esecuzione prevista dall’art. 656, comma quinto, cod. proc. pen. trova applicazione solo quando il condannato, al momento della formazione del giudicato, si trovi in stato di libertà: condizione che non può dirsi realizzata nei confronti del latitante e dell’evaso, i quali vanno assimilati al detenuto. (Sez. 1, n. 16800 del 20/04/2010, COGNOME, Rv. 246949, conforme sez. I, 23 aprile 2010 n. 16816, Kulla, non massimata.)
La decisione impugnata fonda il rigetto della sospensione dell’ordine di esecuzione in ragione dello stato di sostanziale latitanza del condannato.
Il ricorrente, però, come sottolineato nel ricorso, non Ł mi stato dichiarato latitante, ma Ł semplicemente stato dichiarato irreperibile.
Lo status di latitante e quello di irreperibile partono da premesse normative e concettuali del tutto differenti, che questa Corte, con la S.U n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258792, ha ritenuto di fissare in motivazione come segue.
«Lo stato di latitanza, infatti, come puntualizza l’art. 296 del codice di rito, presuppone la volontaria sottrazione del soggetto alla cattura e, una volta accertato tale status, lo stesso permarrà per tutto il tempo in cui il soggetto continuerà a sottrarsi volontariamente alla cattura (Sez. 4, n. 2024 del 02/09/1996, COGNOME, Rv. 206262); mentre, infatti, la dichiarazione, solo formale, di irreperibilità necessita di essere controllata secondo cadenze individuate dal legislatore, potendo tale condizione processuale risolversi con l’individuazione di un domicilio dell’interessato, lo stato di latitanza non può non permanere per tutto il tempo in cui il soggetto si sottrae volontariamente alla cattura e si astiene dal costituirsi.
La distinzione concettuale che separa lo status dell’irreperibile da quello del latitante si riflette anche sui presupposti sui quali si fonda il relativo accertamento e la declaratoria della relativa condizione: nel caso della latitanza, infatti, la base normativa di riferimento Ł costituita dal verbale di vane ricerche, che la polizia giudiziaria redige a seguito della mancata esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, indicando in modo specifico le indagini svolte nei luoghi nei quali si presume che l’imputato possa trovarsi, senza essere vincolata, quanto ai luoghi di ricerca, dai criteri indicati in tema di irreperibilità.
Il verbale redatto dalla polizia giudiziaria, peraltro, pur costituendo il presupposto procedimentale, non determina, ex se, automaticamente, la dichiarazione di latitanza, dal momento che il relativo provvedimento Ł subordinato alla positiva valutazione del giudice, il quale Ł chiamato ad effettuare un apprezzamento rebus sic stantibus circa la adeguatezza e completezza delle
ricerche, senza che possano incidere sulla validità del provvedimento le eventuali informazioni pervenute successivamente».
Per contro, come visto, il decreto di irreperibilità ha una connotazione piø formale.
«Mentre, dunque, la latitanza produce automaticamente effetti processuali, in quanto frutto di una scelta volontaria del soggetto di sottrarsi ad un provvedimento custodiale e conseguentemente di non presenziare al procedimento, la irreperibilità Ł una condizione di fatto, la quale può derivare da cause estranee ad una “scelta” dell’imputato; può quindi consistere in uno status non soltanto involontario, ma anche incolpevole: con la conseguenza di assumere connotazioni processualmente rilevanti, tanto agli effetti della conoscenza della accusa e del procedimento a proprio carico, quanto ai fini del diritto di partecipare al giudizio.
Latitanza e irreperibilità, pertanto, rappresentano il convergere di condizioni soggettive profondamente diverse e fra loro non assimilabili, vuoi sul piano delle garanzie e delle correlative strutture normative di riferimento, vuoi su quello delle reciproche “compatibilità” sul versante degli sviluppi ermeneutici.
Le ricerche, infatti – come si Ł già osservato – anche dopo l’emissione del decreto che dichiari lo stato di latitanza, non si arrestano, ma continuano, proprio perchØ la finalità dell’istituto Ł quella di assicurare l’esecuzione del provvedimento e porre fine, con la cattura dell’imputato, allo stato di latitanza.» (Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258792 – 01).
La dichiarazione di latitanza reca in sØ, oltre al vano tentativo di rintraccio dell’interessato al fine di notificargli un titolo custodiale, la valutazione circa la volontaria sottrazione all’esecuzione del titolo; proprio la differente finalità delle ricerche rispetto a quello prodromiche alla declaratoria di irreperibilità, fa sì che le stesse possano essere svolte ovunque e presso chiunque possa avere un senso ricercare l’interessato.
Per contro, la finalità notificatoria delle ricerche prodromiche alla emissione del decreto di irreperibilità impone che venga seguito lo schema dell’art. 159 cod. proc pen., tanto Ł vero che la citata sentenza ha affermato che ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 cod. proc. pen. – pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma quarto, dello stesso codice.
¨ dunque evidente che si tratta di situazioni profondamente differenti che nascono da presupposti differenti e conducono a effetti giuridici differenti.
Il provvedimento impugnato, nel sostenere la sostanziale latitanza del condannato fa riferimento all’ordinanza n. 283 di questa Corte, emessa il 19 gennaio 2000, che afferma che il provvedimento dichiarativo della latitanza ha carattere strumentale, in funzione del perseguimento di ben precise finalità; ne consegue che non avrebbe senso una dichiarazione di latitanza fine a sØ stessa, avulsa dalle esigenze di rispetto delle garanzie di legge, in relazione sia alla sussidiaria procedura notificatoria che al conferimento al difensore della rappresentanza del condannato. Dall’interpretazione dell’art. 296 cod. proc. pen. si ricavano due distinti profili della disciplina della latitanza: uno sostanziale, afferente alla qualità del latitante, connessa alla consapevole sottrazione ad una delle misure previste nel primo comma (compreso l’ordine di carcerazione), ed un profilo formale, inerente alla mera declaratoria di quella condizione, i cui effetti processuali sono previsti per il solo latitante rispetto ad una misura custodiale e non già per il latitante rispetto ad una sentenza
definitiva, per il quale il legislatore non ha previsto, neppure nell’art. 656 cod. proc. pen., relativo all’esecuzione delle pene detentive, alcun riferimento alla disciplina del decreto di latitanza, posto che in questo secondo caso Ł da ritenere sufficiente che lo stato di latitanza risulti dal verbale di vane ricerche. (Sez. 5, n. 283 del 19/01/2000, P.m. in proc. COGNOME, Rv. 215831 – 01)
Il distinguo veniva esplicitato in un caso in cui si era chiesto di dichiarare la latitanza di un condannato definitivo, senza che ve ne fosse alcuna necessità, poichØ la latitanza emergeva comunque dal verbale di vane ricerche e si giustificava, rispetto alla situazione di chi si sottrae ad una misura cautelare, per il solo fatto che, in sede di esecuzione di una pena detentiva, le esigenze di garanzia che sono sottese alla predetta dichiarazione non sussistono o sono già state altrimenti soddisfatte (cfr. Cass., sez. 1, 1.6.1998, n. 3210).
Nel caso in esame, per contro, non Ł stata accertata la volontaria sottrazione del condannato alla esecuzione della misura, nØ tantomeno all’ordine di carcerazione: pertanto non si versa nella situazione in cui, in base all’insegnamento sopra richiamato, non sarebbe necessaria la dichiarazione formale di latitanza del condannato attraverso l’emissione del decreto di latitanza, ma sarebbe sufficiente il verbale di vane ricerche.
L’assunto del giudice dell’esecuzione, poi, secondo il quale l’irrevocabilità della sentenza non inciderebbe sulla validità del titolo cautelare pendente per il medesimo fatto oggetto di giudizio e che, conseguentemente, le misure cautelari conservano i propri effetti anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena non sospesa si pone in contrasto con l’orientamento di questa Corte cui si intende dare continuità, secondo cui in tema di misure cautelari, l’irrevocabilità della sentenza di condanna a pena detentiva determina il venir meno della funzione della misura custodiale ed impedisce la rimessione in libertà del condannato garantendo l’esigenza di non creare, anche in caso di sospensione dell’esecuzione disposta ai sensi dell’art. 656, comma 10, cod. proc. pen., una soluzione di continuità tra l’applicazione della misura e l’esecuzione della condanna; ne consegue che Ł inammissibile l’impugnazione cautelare (nella specie l’appello avverso il rigetto della richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere) in quanto la definitività del titolo esecutivo apre una fase ontologicamente incompatibile con la verifica demandata al tribunale ordinario a fini cautelari. (Sez. 6, n. 10786 del 09/02/2018, Privitera, Rv. 272764 – 01).
2.Il ricorso Ł fondato e deve essere accolto e l’impugnato provvedimento annullato con rinvio degli atti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Genova.
Così deciso il 10/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME