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Sospensione custodia cautelare: serve la traduzione?

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi di alcuni indagati stranieri, stabilendo che l’ordinanza di sospensione custodia cautelare, avendo natura meramente processuale e non incidendo sul merito delle accuse, non richiede la traduzione obbligatoria. La Corte ha inoltre confermato che il rinvio dell’udienza per ‘mera cortesia’ difensiva giustifica la sospensione dei termini.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sospensione Custodia Cautelare: L’Obbligo di Traduzione Non è Assoluto

La sospensione custodia cautelare è un meccanismo delicato che incide direttamente sulla libertà personale dell’indagato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato due questioni cruciali: la necessità di tradurre l’ordinanza di sospensione per gli indagati stranieri e le condizioni che giustificano tale sospensione. La Corte ha stabilito che non tutti gli atti processuali, anche se importanti, richiedono una traduzione obbligatoria, e che un rinvio concesso per ‘cortesia’ alla difesa può legittimamente fondare la sospensione dei termini.

I Fatti del Caso

Quattro cittadini stranieri, indagati per reati gravi tra cui associazione per delinquere e rapina, si trovavano in regime di custodia cautelare in carcere. Durante l’udienza preliminare, il Giudice disponeva la sospensione dei termini di fase della custodia cautelare per circa tre settimane, a seguito di un rinvio dell’udienza stessa. I termini, senza tale sospensione, sarebbero scaduti a breve.

I difensori degli indagati hanno impugnato l’ordinanza del Tribunale del Riesame, che aveva confermato la decisione del GUP, sollevando due principali motivi di ricorso:
1. La mancata traduzione dell’ordinanza di sospensione nella lingua degli indagati, ritenuta una violazione del diritto di difesa.
2. L’illegittimità della sospensione stessa, poiché il rinvio dell’udienza era stato concesso per permettere alla difesa di elaborare le proprie strategie, e non per le ragioni tassativamente previste dalla legge.

La questione della mancata traduzione dell’ordinanza

Il primo motivo di ricorso si basava sulla presunta violazione dell’art. 143 del codice di procedura penale, che garantisce all’imputato alloglotta il diritto alla traduzione degli atti fondamentali. I ricorrenti sostenevano che un provvedimento di sospensione custodia cautelare, incidendo sulla durata della detenzione, fosse un atto così rilevante da necessitare la traduzione per garantire un’effettiva comprensione e partecipazione al processo.

La legittimità della sospensione custodia cautelare per rinvio

Il secondo punto controverso riguardava la natura del rinvio dell’udienza. Secondo la difesa, il rinvio era stato concesso per consentire una più ponderata scelta processuale (ad esempio, la richiesta di riti alternativi) dopo la chiusura di un incidente probatorio. Tale esigenza difensiva, a loro avviso, non rientrava tra le cause che legittimano la sospensione dei termini, la quale dovrebbe essere legata a specifiche necessità probatorie o a termini richiesti per la difesa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, fornendo importanti chiarimenti.

Sul tema della traduzione, i giudici hanno affermato che l’obbligo previsto dall’art. 143 c.p.p., sebbene di ampia applicazione, non si estende a ogni singolo atto del procedimento. L’ordinanza di sospensione custodia cautelare è stata qualificata come un atto di natura ‘meramente processuale’. Non introduceva una nuova misura, non aggravava quella esistente sulla base di nuovi fatti e non conteneva riferimenti al merito delle accuse. Pertanto, la sua mancata traduzione non ha compromesso concretamente le prerogative difensive. La Corte ha sottolineato, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite, che per lamentare la nullità derivante dalla mancata traduzione, l’indagato deve dimostrare un ‘interesse concreto, attuale e verificabile’, e non un mero pregiudizio astratto.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Cassazione ha confermato la valutazione del Tribunale. Il rinvio non era stato disposto per l’acquisizione di nuove prove, ma era stato concesso ‘per mera cortesia’ al fine di consentire alla difesa di confrontarsi con i propri assistiti e ponderare le scelte processuali. Questa circostanza, secondo la Corte, rientra nella discrezionalità del giudice e può giustificare la sospensione dei termini, in quanto finalizzata a garantire un più efficace esercizio del diritto di difesa, anche se non esplicitamente richiesta come ‘termine a difesa’ nel senso stretto della norma.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio di pragmatismo processuale. L’obbligo di traduzione, pur essendo un presidio fondamentale del giusto processo, va bilanciato con la natura e la funzione dell’atto specifico. Non ogni provvedimento richiede la traduzione, ma solo quelli che incidono sostanzialmente sulla comprensione delle accuse e sull’esercizio del diritto di difesa. Allo stesso modo, la sospensione custodia cautelare può essere legittimamente disposta anche in caso di rinvii concessi per favorire le strategie difensive, rientrando nella gestione discrezionale dell’udienza da parte del giudice, purché non si violino i diritti fondamentali dell’imputato.

È sempre obbligatoria la traduzione dell’ordinanza di sospensione della custodia cautelare per un indagato straniero?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se l’ordinanza ha natura meramente processuale, non dispone una nuova misura né la aggrava, e non contiene riferimenti alle accuse, non deve essere obbligatoriamente tradotta, in quanto non compromette in concreto le prerogative difensive.

Un rinvio dell’udienza concesso ‘per cortesia’ alla difesa può giustificare la sospensione dei termini di custodia cautelare?
Sì. La Corte ha ritenuto che un rinvio concesso dal giudice, anche se non formalmente richiesto come ‘termine a difesa’, per consentire alla difesa di elaborare le proprie strategie processuali, può legittimamente giustificare la sospensione dei termini di fase della custodia cautelare.

Per contestare la mancata traduzione di un atto, è sufficiente lamentare una violazione astratta del diritto di difesa?
No. La giurisprudenza richiede che il soggetto alloglotta indichi l’esistenza di un interesse a ricorrere concreto, attuale e verificabile. Deve allegare di aver subito, in conseguenza dell’ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo, non essendo sufficiente la mera allegazione di un danno potenziale o astratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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