Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27202 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27202 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOMECOGNOME nato in Pakistan il 05/09/1997 NOMECOGNOME nato in Pakistan il 01/02/2000 NOMECOGNOME nato in Pakistan il 01/12/1998 NOMECOGNOME nato in Pakistan il 02/02/1992
avverso l’ordinanza del 18/04/2025 del TRIB. LIBERTA di FIRENZE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; sentiti i difensori:
Avv. NOME Giacomo COGNOME per NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME Awais,
Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Firenze, in sede di appello cautelare, ha confermato l’ordinanza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Firenze, emessa il 28 febbraio 2025, che aveva sospeso, ai sensi dell’art. 304, comma 4, cod. proc. pen., i termini di fase della custodia cautelare in carcere applicata ai ricorrenti in relazione ai reati di associazione per delinquere, rapina, lesione personale ed altro.
La sospensione era intervenuta dall’udienza del 28 febbraio 2025 all’udienza del 21 marzo 2025; i termini di custodia cautelare sarebbero scaduti, senza la sospensione, 11 marzo 2025.
Il Tribunale ha ritenuto, in primo luogo, che l’ordinanza di sospensione dei termini di fase non dovesse essere tradotta agli indagati alloglotti, non rientrando tra gli atti meritevoli dell’adempimento di tale obbligo ai sensi dell’art. 143 cod proc. pen., dal momento che nel provvedimento non era contenuto alcun riferimento al merito delle accuse mosse a carico dei ricorrenti.
In secondo luogo, il Tribunale non ha ritenuto che il differimento dell’udienza preliminare fosse dovuto ad esigenze di acquisizione della prova o a concessione di termini a difesa, ma che si trattasse solo di un rinvio di “mera cortesia”, per questo non idoneo ad impedire la disposta sospensione dei termini di fase.
Ricorrono per cassazione gli indagati, a mezzo dei loro rispettivi difensori.
4. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME Awais, con unico atto, deducono:
violazione di legge per non essere stata disposta la traduzione agli imputati alloglotti dell’ordinanza di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare, provvedimento che sarebbe da annoverare tra quelli che necessitavano di tale adempimento, alla luce della interpretazione dell’art. 143 cod. proc. pen. fornita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte costituzionale, che il ricorso richiama, in quanto volta alla tutela più estesa possibile del diritto di difesa, d intendersi radicata rispetto ad ogni singolo atto e ad ogni momento di svolgimento del procedimento, avendo, per di più, il provvedimento di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare diretta efficacia sulla libertà personale degli indagati, così da non potersi considerare un’ordinanza meramente procedimentale come ritenuto dal Tribunale e come si desumerebbe dalla circostanza che avverso di essa è prevista autonoma impugnazione distinta da quella contro la sentenza.
I ricorrenti precisano che la mancata traduzione nella loro lingua aveva compromesso le prerogative difensive e le conseguenti strategie, stante il fatto che con l’ordinanza di sospensione dei termini di fase, emessa all’udienza del 28
febbraio 2025, era stata dichiarata la chiusura dell’incidente probatorio, non prevista per quella udienza;
2) violazione di legge e vizio di motivazione per non avere il Tribunale ritenuto che il rinvio dell’udienza preliminare concesso dal GUP e che aveva giustificato la sospensione dei termini di fase non fosse dovuto alla richiesta di termini a difesa. Al contrario, all’udienza del 28 febbraio 2025, il GUP aveva modificato il calendario delle udienze prima fissato dichiarando chiuso l’incidente probatorio, dal che sarebbe sorta l’esigenza difensiva di interloquire con gli indagati, valutare il materiale probatorio acquisito, “ponderare eventuali rimedi processuali avverso l’ordinanza di revoca dell’incidente probatorio, formulare eventualmente richieste di rito alla presenza dell’interprete, come previsto dall’art. 143, comma 2, cod. proc. pen. o addirittura discutere l’udienza preliminare” (fg. 10 del ricorso).
Proprio per tali ragioni, il GUP aveva concesso il rinvio dell’udienza, all’evidente fine di concedere alle difese un termine per garantire il corretto esercizio delle loro prerogative, senza motivare alcunché in ordine alle ragioni che l’avevano indotto a sospendere i termini di fase.
Infine, i ricorrenti segnalano che all’udienza di rinvio avrebbe dovuto essere escusso un testimone, circostanza che vieppiù confermerebbe il fatto che il rinvio era stato concesso per esigenze probatorie e che l’incidente probatorio non si era chiuso, dovendosi accertare se l’ultimo teste da escutere fosse o meno irreperibile. Si dà atto che nell’interesse dei ricorrenti sono stati depositati motivi nuovi con i quali si approfondisce la censura di cui al primo motivo e si insiste in generale sull’accoglimento del ricorso principale.
NOME COGNOME deduce argomenti sovrapponibili a quelli degli altri ricorrenti, sottolineando che all’udienza di rinvio, il ricorrente aveva personalmente chiesto che si procedesse nei suoi confronti con il rito abbreviato condizionato alla escussione del soggetto ancora da esaminare, scelta difensiva che non avrebbe potuto essere adottata all’udienza del 28 febbraio 2025 mancando un interprete e non essendo stata mai conferita dall’indagato alcuna procura speciale all’allora suo difensore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, proposti con motivi complessivamente infondati, devono essere rigettati. 1. In ordine al primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, i ricorrenti, pacificamente alloglotti, si dolgono del fatto che non sia stata tradotta nella loro lingua l’ordinanza con la quale il Giudice dell’udienza preliminare ha sospeso i termini di fase della custodia cautelare.
Deve premettersi che si era avuta l’assistenza dell’interprete in ogni altro momento inerente allo svolgimento dell’udienza preliminare e dell’incidente probatorio in quella sede disposto.
Nonostante debba riconoscersi, seguendo la linea interpretativa tracciata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 1993, che l’art. 143 cod. proc. pen. debba essere interpretato, secondo quanto testualmente si legge nella sentenza citata, “come una clausola generale, di ampia applicazione, destinata ad espandersi e a specificarsi, nell’ambito dei fini normativamente riconosciuti, di fronte al verificarsi delle varie esigenze concrete che lo richiedano, quali il tipo d atto cui la persona sottoposta al procedimento deve partecipare ovvero il genere di ausilio di cui la stessa abbisogna”, il Collegio non ritiene che l’ordinanza di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare in carcere di cui si discute, dovesse essere tradotta.
La stessa sentenza citata, pur animata dal fine di dilatare l’ambito di applicabilità dell’art. 143 cod. proc. pen. e la traduzione degli atti processuali agli imputati alloglotti, non ha inteso rendere obbligatorio tale incombente in relazione ad ogni atto della sequenza procedimentale.
Il provvedimento impugnato ha natura meramente processuale, non dispone ex novo alcuna misura cautelare né la aggrava in base a circostanze di fatto sopravvenute, non contiene alcuna menzione delle accuse a carico dei ricorrenti né riferimenti alla imputazione provvisoria loro contestata e nemmeno è idoneo a chiudere o ad aprire una nuova fase del procedimento.
Al momento della sua emissione, non è prevista alcuna diretta interlocuzione degli indagati.
Costoro avevano avuto modo, per un verso, di veicolare le loro corrette prerogative difensive attraverso l’impugnazione del provvedimento da parte dei loro difensori, regolarmente avvenuta ai sensi dell’art. 304 cod. proc. pen.; per altro verso, essendo stato concesso dal giudice un rinvio dopo la sospensione dei termini di fase, di adottare le loro scelte processuali ed eventualmente intervenire direttamente nella fase di discussione dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 421 cod. proc. pen., senza che fosse stato modificato, per effetto del provvedimento qui avversato, il perimetro del processo e della decisione.
In fin dei conti ed alla luce di quanto appena osservato, i ricorrenti non sono portatori di alcun interesse attuale e concreto a coltivare l’eccezione, non essendo state in alcun modo compromesse le loro prerogative difensive.
La necessità che, nella materia all’esame, l’imputato che non conosca la lingua italiana abbia un concreto interesse a censurare la mancata traduzione di un provvedimento, è stata avvertita da Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286356.
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Nella motivazione di tale pronuncia – che si stava occupando di stabilire la natura della patologia processuale discendente dalla mancata traduzione all’indagato della ordinanza applicativa della misura cautelare, dunque di un provvedimento di portata ben più consistente sotto il profilo che qui interessa rispetto a quello oggi impugnato – si è ritenuto, testualmente, che “il soggetto alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell’omissione, ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l’onere di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale (tra le altre, Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 285186 – 01; Sez. 4, n. 4789 del 19/02/1992, Sità, Rv. 189947 – 01). L’interesse a dedurre una tale patologia processuale, infatti, sussiste soltanto se ed in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito, in conseguenza dell’ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo. Sul punto, è opportuno richiamare Sez. 1, n. 13291 del 19/11/1998, Senneca, Rv. 211870 – 01, secondo cui non si può prefigurare alcuna nullità dell’atto, laddove «sia solo l’imputato a dolersene, senza indicare un suo concreto e attuale interesse al riguardo, non avendo alcun valore la semplice allegazione di un pregiudizio del tutto astratto». Si tratta, a ben vedere, di una conclusione imposta dalla giurisprudenza consolidata in tema di interesse a impugnare, risalente a Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251693 – 01, secondo cui tale nozione deve essere ricostruita «in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggett legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo» (par. 7, Sez. U, COGNOME, citata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel che, l’infondatezza del motivo, con assorbimento di ogni altra argomentazione difensiva contenuta in entrambi i ricorsi, anche con riferimento a quanto precisato nella memoria depositata.
2. In ordine al secondo motivo, anch’esso comune ai ricorsi e del pari infondato, deve essere rilevato, secondo quanto emerge dagli atti – che la Corte ha potuto visionare stante la natura processuale della questione – che i ricorrenti indagati ed i loro difensori erano presenti all’udienza del 28 febbraio 2025 nella quale è stata disposta dal GUP la sospensione dei termini di fase.
I difensori avevano chiesto ed ottenuto un rinvio motivato dalla necessità di adottare le proprie scelte processuali a seguito della chiusura dell’incidente
probatorio, la quale, sebbene non prevista per quella udienza, era stata disposta a seguito della documentata impossibilità di escussione dell’ultimo testimone da sentire, non rintracciato a seguito di ricerche rivelatesi vane, come risulta da comunicazioni contenute negli atti.
2.1. Sotto un primo profilo, è a dirsi che l’ordinanza di chiusura dell’incidente probatorio non era provvedimento impugnabile dalle parti ed era rimesso alla discrezionalità del giudice.
In tal senso, si richiama il principio di diritto secondo il quale, è inammissibile ricorso per cassazione contro le ordinanze istruttorie emesse dal giudice in sede di incidente probatorio, avendo le stesse natura di provvedimenti non autonomamente impugnabili, di contenuto non definitorio, suscettibili di essere revocati o modificati fino alla pronuncia della sentenza (Sez. 1, n. 3317 del 25/10/2023, dep. 2024, I., Rv. 285712-01).
2.2. Sotto un secondo profilo, il rinvio dell’udienza non rientrava nei casi di cui all’art. 108 cod. proc. pen., ma, come è stato correttamente rilevato dal Tribunale, era stato concesso dal GUP per mera cortesia, al fine di consentire alla difesa la scelta del rito attraverso un adeguato confronto con i propri assistiti, pur presenti allo svolgimento dell’udienza preliminare e dell’incidente probatorio (svoltosi alla presenza dell’interprete) tanto quanto i loro difensori.
Per questo, non si trattava neanche di esaminare nuove prove o atti sopravvenuti; nel che, l’improprio richiamo contenuto nei ricorsi ad una decisione di legittimità nella quale si era manifestata esattamente tale esigenza difensiva in relazione ad un ampliamento del materiale cognitivo oggetto del giudizio (atti prodotti dal Pubblico ministero), invece, nella specie all’odierno esame, mancante.
Il riferimento dei ricorrenti – che tuttavia rafforza l’assunto qui sostenuto – è al sentenza emessa da Sez. 5, n. 30757 del 29/09/2020, Nicosia, Rv. 279747-01, secondo la quale, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’accoglimento della richiesta difensiva di rinvio del procedimento per la necessità di esaminare gli atti prodotti dal pubblico ministero non determina la sospensione dei termini di efficacia della confisca, versandosi in un’ipotesi di rinvio disposto a seguito della concessione di termini per la difesa, contemplata come causa di esclusione della sospensione dei termini dall’art. 304, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., il cui contenuto è richiamato dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. (In motivazione la Corte ha chiarito che la nozione di “termini per la difesa” di cui all’art. 304 cod. proc. pen. non si riferisce solo a quelli tassativamente contemplati dalle specifiche disposizioni codicistiche che ne prevedono l’obbligatoria concessione qualora richiesti, ma anche a quelli discrezionalmente concessi dal giudice, ove ravvisi l’effettiva necessità di assegnare del tempo alla parte per l’esercizio del diritto di difesa).
Ne consegue che, non trattandosi di rinvio concesso per esigenze di acquisizione della prova o a seguito di concessione di termini per la difesa – secondo quanto
previsto dall’art. 304, comma 1, lett. a), secondo periodo, cod. proc. pen. – esso rinvio aveva determinato legittimamente la sospensione dei termini di fase della
custodia cautelare.
2.3. Sotto un terzo e conclusivo profilo, l’ordinanza qui impugnata era stata emessa rispetto alla situazione procedimentale in quel momento esistente e
sottoposta all’attenzione del giudice; la sua legittimità, pertanto, deve essere rebus sic stantibus.
valutata in questa sede solamente rispetto a quel momento,
In tale prospettiva, per le ragioni fin qui esplicitate, l’ordinanza è da ritenersi priv di vizi giuridici.
Tanto si precisa quale premessa alla considerazione che le circostanze procedimentali sopravvenute rispetto alla data di emissione del provvedimento
impugnato (28 febbraio 2025) – quali il reperimento del teste prima vanamente ricercato, la revoca fuori udienza dell’ordinanza di chiusura dell’incidente
probatorio finalizzata alla escussione del teste, la revoca di tale ultimo provvedimento in udienza – non possono essere prese in considerazione.
Esse avrebbero potuto eventualmente essere fatte oggetto di separata istanza di revoca della misura.
Pertanto e con superamento di ogni altra obiezione, i ricorsi devono essere rigettati, statuizione alla quale consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp, att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 25/06/2025.