Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20014 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20014 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME NOME, nata a San Severo (Fg) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 9/1/2023 del Tribunale di Pescara;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9/1/2023, il Tribunale di Pescara dichiarava NOME COGNOME colpevole della contravvenzione di cui all’art. 38-bis, d. Igs. 15 giugno 2015, n. 81, e la condannava alla pena di 11.230,00 euro di ammenda.
Propone ricorso per cassazione l’imputata, deducendo i seguenti motivi:
violazione e falsa applicazione della norma contestata. Il Tribunale avrebbe affermato la responsabilità della ricorrente con motivazione apodittica, con la quale non avrebbe verificato la liceità del presunto contratto dissimulato; avrebbe affermato un’indebita riduzione delle retribuzioni, senza che l’istruttoria abbia accertato quale fosse il contratto collettivo di lavoro applicabile, né, dunque, l’eventuale misura dell’omissione contributiva; avrebbe erroneamente ritenuto illecita l’eterointegrazione orale del negozio. Con riguardo, poi, alla certificazione del contratto di appalto, in atti, la sentenza si esprimerebbe per congetture, ipotizzandone un’invalidità non provata; così come, del resto, non avrebbe trovato riscontro la tesi di una somministrazione di manodopera compiuta da una società priva dei requisiti. Difetterebbe, pertanto, l’elemento oggettivo del reato;
la stessa censura, poi, è mossa quanto al profilo psicologico. La ricorrente si sarebbe affidata ad un commercialista e a una società terza, così mostrando di voler agire secondo le regole e, dunque, senza alcun dolo specifico. La stessa, inoltre, avrebbe sottoscritto in buona fede il contratto di appalto, non avendo competenze per saggiarne giuridicamente le previsioni. La sentenza, infine, non avrebbe considerato la querela sporta nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE” quanto ai fatti contestati, a riprova assoluta della buona fede dell’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta fondato.
L’imputata è stata ritenuta colpevole della contravvenzione di somministrazione di lavoro fraudolenta, prevista ratione temporis dall’art. 38-bis, d. Igs. n. 81 del 2015: la condotta – oggi punita dall’art. 18, comma 5-ter, d. Igs. 10 settembre 2003, n. 276, così novellato dal d.l. 2 marzo 2024, n. 19 – punisce la somministrazione di lavoro posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, e di ciò punisce sia il somministratore che l’utilizzatore.
Tanto premesso, la sentenza impugnata si è concentrata sul contratto di appalto stipulato tra la ditta della ricorrente e la “RAGIONE_SOCIALE individuandone profili di fittizietà tali da riscontrare un’ipotesi di somministrazio fraudolenta di manodopera; in particolare, e con dati non contestati nel ricorso, si è sottolineato che il potere direttivo e di organizzazione del personale fornito dall’appaltatrice, così come la fornitura dei mezzi, erano risultati interamente in capo alla ditta appaltante, che, ad esempio, sosteneva i colloqui con le persone che rispondevano agli annunci, fissava gli orari di lavoro ed i termini di pagamento. Quanto in particolare a questi ultimi, il Tribunale ha precisato che il compenso indicato nel contratto di appalto, pari a 572 euro mensili, “non coincide con quello
riportato nelle fatture mensili della RAGIONE_SOCIALE, fatture che indicano un corrispettivo del tutto svincolato da quello contrattuale”.
5.1. Ebbene, queste affermazioni risultano prive dei necessari riferimenti, non indicando quali sarebbero le norme inderogabili di legge e di contratto collettivo che sarebbero state violate nel caso di specie; il richiamo a compensi che “non coincidono” con quelli riportati nelle fatture (di cui sono precisate le date, ma non gli importi) risulta pertanto generico, in assenza di una qualunque specificazione ulteriore con riguardo alle somme che le lavoratrici avrebbero dovuto ricevere ai sensi della legge o della contrattazione collettiva (anch’essa citata senza alcun riferimento). L’assenza di specificazione, peraltro, risulta particolarmente significativa anche con riguardo all’indicazione degli orari di lavoro (non indicati), evidentemente necessaria per accertare la congruità del trattamento economico e, dunque, il rispetto delle prescrizioni di cui alla norma, tutte poste a tutela d lavoratore.
5.2. La stessa sentenza, inoltre, evidenzia che le retribuzioni imponibili dovute per le prestazioni rese non erano state denunciate all’RAGIONE_SOCIALE, e che non era stata esibita documentazione relativa alla liquidazione delle dipendenti ed al pagamento del trattamento di fine rapporto: queste condotte omissive, tuttavia, sono riferite alla sola “M&G”, senza cenno ad un eventuale concorso della ricorrente.
La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, affinché il Tribunale specifichi quali siano le norme inderogabili di legge o di contrattazione collettiva eventualmente violate dall’imputata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Pescara, in diversa persona fisica.
Così deciso in Roma, l’8 marzo 2024