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Sicurezza sul lavoro: quando il datore è responsabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 13514/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un datore di lavoro condannato per omicidio colposo a seguito di un infortunio mortale. L’analisi della Corte si concentra sulla sicurezza sul lavoro, confermando la responsabilità datoriale e rigettando la tesi della condotta ‘abnorme’ del lavoratore.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Sicurezza sul Lavoro: La Responsabilità del Datore di Lavoro non si Esclude Facilmente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i fermi principi in materia di sicurezza sul lavoro, sottolineando le precise responsabilità che gravano sul datore di lavoro in caso di infortuni mortali. Con la decisione in commento, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per omicidio colposo, fornendo chiarimenti cruciali sulla nozione di ‘comportamento abnorme’ del lavoratore e sul concorso di colpa.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un tragico infortunio sul lavoro avvenuto nel 2018, a seguito del quale un lavoratore perdeva la vita. Il datore di lavoro veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di omicidio colposo, ai sensi dell’art. 589 c.p., per violazione delle norme sulla sicurezza.

L’imprenditore decideva di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali:
1. La violazione di legge in merito al nesso causale tra la sua condotta e l’evento, sostenendo che l’infortunio fosse stato causato da un comportamento del tutto anomalo e imprevedibile del lavoratore.
2. Un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello per non aver riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa, che avrebbe contribuito a cagionare l’incidente.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Di conseguenza, la condanna è diventata definitiva e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende. La decisione si fonda su una valutazione rigorosa dei motivi di ricorso, ritenuti infondati e reiterativi di censure già esaminate e respinte correttamente nei gradi di merito.

Le Motivazioni: la Sicurezza sul Lavoro e il Ruolo del Datore

Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni con cui la Suprema Corte smonta le tesi difensive. La Corte ha ribadito che l’obbligo di garantire un ambiente di lavoro sicuro è un dovere primario del datore di lavoro, che non può essere facilmente eluso.

Il Nesso Causale e il Comportamento del Lavoratore

Sul primo punto, la Cassazione ha qualificato il motivo come inammissibile perché riproponeva una questione già adeguatamente valutata dalla Corte di Appello. I giudici di merito avevano infatti spiegato in modo chiaro perché il comportamento del lavoratore non potesse essere considerato ‘abnorme’. L’infortunio si era verificato mentre il dipendente stava espletando le proprie mansioni. In un contesto simile, la condotta del lavoratore, anche se imprudente, non interrompe il nesso causale se l’incidente è riconducibile a una condotta colposa del datore di lavoro, come una carenza nelle misure di sicurezza. L’eccezionalità e l’imprevedibilità richieste per qualificare un comportamento come ‘abnorme’ devono essere assolute, tali da rendere l’evento un’evenienza fuori da ogni possibile controllo da parte di chi doveva vigilare.

Il Rigetto della Tesi del Concorso di Colpa

Anche il secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento del concorso di colpa della vittima, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha sottolineato che la tesi difensiva si poneva in contrasto sia con la normativa di settore sia con la consolidata giurisprudenza. In materia di sicurezza sul lavoro, la responsabilità del datore di lavoro è talmente pregnante che la condotta del lavoratore assume un ruolo secondario, a meno che non sia, appunto, abnorme. Il sistema di prevenzione degli infortuni è costruito sul presupposto che il datore di lavoro debba prevedere e prevenire anche le possibili negligenze e imprudenze del lavoratore, adottando tutte le misure necessarie a neutralizzare i rischi.

Le Conclusioni: Implicazioni per i Datori di Lavoro

Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso: la responsabilità per la sicurezza sul lavoro è un caposaldo del nostro ordinamento. I datori di lavoro non possono sottrarsi ai loro obblighi di vigilanza e prevenzione sperando di poter addossare la colpa di un infortunio al comportamento del lavoratore. La nozione di ‘condotta abnorme’ è interpretata in modo estremamente restrittivo e non comprende le imprudenze o negligenze commesse dal dipendente nello svolgimento delle sue normali attività. Per le imprese, questo si traduce nella necessità di un impegno costante e scrupoloso nell’adozione, implementazione e verifica di tutte le misure di sicurezza, senza alcuna scorciatoia.

Quando il comportamento di un lavoratore può essere considerato ‘abnorme’ al punto da escludere la responsabilità del datore di lavoro?
Secondo l’ordinanza, il comportamento del lavoratore non può essere considerato ‘abnorme’ se l’infortunio si è verificato nel momento in cui stava espletando le sue mansioni. La responsabilità del datore di lavoro sussiste se l’evento è riconducibile a una sua condotta colposa in materia di sicurezza.

È possibile per un datore di lavoro invocare il concorso di colpa del lavoratore infortunato per ridurre la propria responsabilità?
La Corte ha ritenuto tale motivo inammissibile in quanto in contrasto con la normativa e la giurisprudenza consolidata. Ciò implica che, in materia di sicurezza sul lavoro, l’obbligo di protezione del datore è così centrale da rendere difficile, se non impossibile, invocare un concorso di colpa del lavoratore, a meno che la sua condotta non sia stata l’unica, imprevedibile ed eccezionale causa dell’evento.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito. La sentenza impugnata diventa quindi definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle Ammende, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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