Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29059 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29059 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 15/03/1964
avverso la sentenza del 13/11/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in par riforma della sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Pavia il 16 magg 2023, ha rideterminato la pena di specie pecuniaria in euro 18.000,00 n confronti di NOME COGNOME per i reati di cui all’imputazione.
L’imputata ricorre avverso la sentenza della Corte di appello lamentando, c un unico motivo di ricorso, che la Corte territoriale, qualificando i moi appello come inammissibili, avrebbe omesso di pronunciarsi sulle doglianze formulate.
Il ricorso è manifestamente infondato. Non si rinviene infatti alcun vizi carenza o apparente motivazione della pronuncia impugnata.
Va innanzi tutto ricordato che si verte in un caso di doppia conforme, ricorre quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativ salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’u sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (cfr. Sez. 2, n. 37295 d 12/06/2019, Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595). Ciò premesso, la Corte di appello non si limita a qualificare come inammissibi motivi di gravame definendo il giudizio con una pronuncia in rito, ma scend ampiamente nel merito e risponde dettagliatamente alle doglianze difensive rilevando la piena attendibilità delle prove acquisite iftfliWofieT4~125 circa la sussistenza del reato di intermediazione illecita e sfruttament lavoro e degli altri reati contestati alla ricorrente (pag. 31-36). I gi merito chiariscono che il fondamento della colpevolezza dell’imputata rinviene nel suo ruolo di intermediaria addetta al reclutamento de manodopera destinata al lavoro presso terzi (nella fattispecie presso azie agricole italiane) (pag. 33). Confermando l’affermazione di responsabilità Corte territoriale richiama una serie di elementi probatori, tra c dichiarazioni assunte a s.i.t. dei parenti, dei colleghi e degli amici dell’ agricolo NOME COGNOME deceduto; le risultanze dei vari servizi di o.c.p. posti essere dalla polizia giudiziaria; le perquisizioni domiciliari (presso il commerciale della Huang e del coimputato Hu e presso il dormitorio abusivo di Robbio) g.«. La Corte territoriale motiva quindi ampiamente sul riscont degli indici di sfruttamento di cui al comma 3 dell’art. 603 bis cod.pen. e aggravanti contestate nella fattispecie in esame, posto che i lavora venivano impegnati nell’attività della monda del riso per più di 12 or
giorno, sette giorni su sette, e venivano accompagnati sul luogo di lavoro direttamente dalla Huang che poi si occupava di riportarli nella cascina di Robbio adibita a dormitorio nonostante le pessime condizioni igienico sanitarie in cui versava. Rileva inoltre la sentenza impugnata che, dalle numerose risultanze probatorie era emerso che i lavoratori venivano pagati direttamente dalla Huang, la quale tratteneva una parte della paga oraria per sé (corrispondendo pertanto agli operai un ammontare di C 6, 50 all’ora), e che nessuna apparecchiatura specifica adatta all’attività lavorativa svolta era loro fornita per fare fronte alle condizioni difficili di lavoro. Per quanto riguard capi di imputazione di cui alle lettere da B) a I) la Corte di appello, richiama la motivazione del primo giudice e precisa correttamente che, essendosi la Huang comportata nei confronti degli operai cinesi alla stregua del datore di lavoro, e quindi avendone in concreto esercitato i poteri direttivi, era a lei riconducibile una posizione di garanzia alla luce della quale era tenuta a rispettare gli obblighi inerenti la sicurezza sui luoghi di lavoro, secondo i principio di effettività ed il disposto di cui all’art. 299 D.Lvo n. 81/2008. Huang, era riconosciuta quale datore di lavoro di fatto dagli operai, e, in tale qualità, ha mancato di adempiere gli obblighi in tema di sicurezza e di regolarità nello svolgimento dell’attività lavorativa ( nella specie, ha sottopagato i lavoratori, ha costretto loro a sottostare ad estenuanti giornate di lavoro, non ha garantito riposo né ferie, ha omesso di assicurarsi, mediante visita medica, della loro idoneità psico fisica per le mansioni svolte e ha altresì omesso di fornire loro adeguati dispositivi di protezione individuale).La pronuncia è pienamente conforme ai principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini della configurabilità del reat di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro, l’indice di sfruttamento del lavoratore costituito, ex art. 603-bis, comma terzo, n. 1), ultima parte, cod. pen., dalla retribuzione “sproporzionata rispetto alla quantità e alla qualità di lavoro prestato”, deve tener conto delle effettive mansioni svolte, delle condizioni di lavoro, dell’orario lavorativo, dell’assenza di pause, di riposi, di ferie, tale che la retribuzione corrisposta si riveli n commisurata alla prestazione resa dal lavoratore che versi in stato di bisogno (Sez. 4, n. 2573 del 05/12/2023, Rv. 285681). È opportuno infine rammentare che in tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il reato di cui all’art. 603 bis, cod. pen., punisce tutte quelle condott distorsive del mercato del lavoro, che, in quanto caratterizzate dallo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, non si risolvono nella mera violazione delle regole relative all’avviamento al lavoro sanzionate dall’art. 18 Corte di Cassazione – copia non ufficiale
del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (cfr.
ex multis,
Sez. 5, n. 14591 del
04/02/2014, Rv. 262541).
5. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrent pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero,
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila da versare alla Cassa del
ammende.
Così deciso in Roma in data 8 luglio 2025.