Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37349 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37349 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/05/2025 del TRIBUNALE di BRESCIA
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con ordinanza del 27 maggio 2025, il Tribunale di Brescia, in funzione di Giudice del Riesame, ha confermato il decreto di sequestro probatorio emesso il 5 marzo 2025 dal Pubblico Ministero presso il medesimo Tribunale, avente ad oggetto due telefoni cellulari in uso a NOME COGNOME, indagato per il reato di cui agli artt. 110 c.p. e 8 del d.lgs. n. 74/2000. A COGNOME, nella preliminare rubrica tratteggiata dal PM, è contestato di aver concorso con altri, nel ruolo di intermediario, all’emissione della fattura n. 35/24 del 28/3/2024 relativa a operazioni oggettivamente inesistenti, percependo per tale attività una remunerazione.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo, con un unico articolato motivo, “la violazione di legge in relazione agli artt. 253 e 275 c.p.p. in relazione al principio di proporzionalità e la mancanza di motivazione, risultando quella del Tribunale una “motivazione apparente”.
Il ricorrente lamenta che il sequestro aveva finalità meramente esplorative, in violazione del principio di proporzionalità. Si sostiene che il ruolo di COGNOME, quale mero intermediario, era già stato delineato in modo chiaro dagli atti di indagine, rendendo superflua e sproporzionata l’apprensione indiscriminata dei dati contenuti nei suoi dispositivi informatici.
In particolare, la difesa evidenzia come le esigenze probatorie indicate nel decreto del P.M. – individuate nella necessità di: verificare ” se gli odierni indagati siano gli effettivi gestori di fatto delle società o se vi siano amministratori occulti appurare chi abbia messo in contatto costoro con i soggetti cinesi, gestori occulti delle cartiere GXP; appurare se le fatture false siano state effettivamente annotate in contabilità” – non avevano alcuna attinenza logica con la posizione del COGNOME, il quale, secondo la stessa ipotesi accusatoria, è pacificamente estraneo alla gestione delle società coinvolte.
Di conseguenza, l’ordinanza del Tribunale del Riesame, nel confermare il provvedimento, aveva adottato un percorso argomentativo meramente apparente, limitandosi a ribadire genericamente la necessità di “approfondire il meccanismo criminale e la posizione assunta dai soggetti coinvolti”, senza spiegare in che modo l’analisi dei telefoni del COGNOME avrebbe potuto contribuire a chiarire aspetti non già acclarati relativi “al capo di imputazione attuale”. E, anzi, implicitamente ammettendo, laddove si sostiene che il sequestro è funzionale a verificare “i contorni e l’estensione del ruolo di COGNOME quale collettore remunerato”, che l’ “esplorazione” del contenuto del telefono dell’indagato è funzionale alla “ricerca di eventuali ulteriori condotte delittuose”.
Si lamenta ancora che il provvedimento impugNOME non aveva operato un’adeguata valutazione di proporzionalità e adeguatezza “fra il mezzo di ricerca della prova, il bene oggetto di sequestro e i reati per cui si procede”, essendo volto “ad ottenere l’acquisizione indiscriminata dei dati contenuti nei supporti informatici”, non essendo stati indicati criteri selettivi e il perimetro temporale della ricerca, in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (viene citata Sez. 4, n. 17312/2024).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto, in parte, aspecifico e nel resto manifestamente infondato.
Occorre preliminarmente ribadire il consolidato principio secondo cui il ricorso per Cassazione avverso le ordinanze emesse in materia di sequestro probatorio è consentito solo per violazione di legge, ai sensi dell’art. 325, comma 1, c.p.p. In tale nozione rientra anche il vizio di motivazione, ma solo qualora essa sia del tutto mancante o meramente apparente, ovvero affetta da palese illogicità o contraddittorietà, tale da renderla incomprensibile e da non consentire il controllo sul corretto percorso logico-giuridico seguito dal giudice. Non è invece deducibile in sede di legittimità un’asserita incompletezza o non persuasività della motivazione, che implicherebbe una rivalutazione nel merito preclusa a questa Corte (Sez. U., n. 25932 del 29/5/2008, I.,Rv 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, N., Rv. 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Rv. 254893).
Ciò premesso, il primo motivo del ricorso, relativo alla prospettata apparenza della motivazione in ordine alle esigenze probatorie soddisfatte dal sequestro, è manifestamente infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la motivazione è da considerarsi “apparente” quando, pur essendo graficamente esistente, risulta del tutto avulsa dalle risultanze processuali o sia fondata su argomentazioni di puro genere o asserzioni apodittiche o proposizioni prive di efficacia dimostrativa, quindi in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (così Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247682 – 01; Sez. 1, n. 34331 del 1/10/2025, COGNOME)
2.1 Nel caso di specie, l’ordinanza del Tribunale di Brescia si sottrae a tale censura. Il Tribunale non si è limitato a una generica conferma del provvedimento del Pubblico Ministero, ma ha sviluppato un proprio percorso argomentativo volto a dimostrare l’esistenza di un nesso funzionale fra il vincolo imposto sugli apparecchi e i temi di indagine individuati nel decreto.
Il giudice del riesame, infatti, dopo aver dato atto della complessità dell’indagine, che “ha messo in luce un gruppo di soggetti stabilmente dediti al riciclaggio di denaro”, ha sostenuto che vi era la necessità di “approfondire il meccanismo illecito”, che vedeva il coinvolgimento “di plurimi soggetti e plurime società”, anche attraverso l’analisi della documentazione contabile ed extracontabile sequestrata e del contenuto dei telefoni cellulari.
2.2 Tratteggiato il contesto investigativo nel quale si inserisce il sequestro, inoltre, il Tribunale ha correttamente rilevato come la necessità probatoria non si esauriva nell’acquisizione della prova del singolo fatto-reato già delineato a carico di COGNOME, ma si estendeva alla ricostruzione dei legami tra i vari concorrenti, alla definizione del ruolo di ciascuno e all’accertamento della portata complessiva del meccanismo fraudolento.
L’ordinanza impugnata ha, inoltre, precisato, “con particolare riferimento all’odierno ricorrente”, che le esigenze di indagini sottese al sequestro derivavano “dal coinvolgimento” di COGNOME nel predetto “sistema, in qualità di intermediario tra COGNOME e gli amministratori di fatto della società cartiera, dietro pagamento di un compenso”. E, più avanti, ha aggiunto che l’analisi del contenuto dei telefoni cellulari avrebbe potuto “lumeggiare i rapporti tra COGNOME, COGNOME, gli indagati cinesi ed eventuali ulteriori soggetti coinvolti” e, soprattutto, avrebbe consentito un approfondimento “dei contorni e dell’estensione del ruolo” di COGNOME quale “collettore remunerato”.
2.3 Tali affermazioni costituiscono una motivazione effettiva e non apparente. Esse spiegano, con rigore logico, “la sussistenza della relazione di immediatezza tra la res sequestrata e il reato oggetto di indagine” ( Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Pm in proc. Botticelli e altri, Rv. 273548 – 01, in motivazione) nonché le esigenze probatorie che rendevano necessario, anche a fronte di un ruolo di “intermediario” già delineato in via provvisoria, il sequestro dei dispositivi di comunicazione. L’obiettivo perseguito, attraverso il decreto, pertanto, non è meramente “esplorativo”, come sostenuto dal ricorrente, ma è finalizzato a “meglio circostanziare la prospettazione investigativa” attraverso la verifica dell’ampiezza e delle modalità concrete dell’attività di intermediazione di COGNOME, dei contatti attraverso cui tale attività si è esplicata, della frequenza dei rapporti così da poter ricostruire il ruolo svolto dal ricorrente nel sistema criminale rivelato dalle indagini.
2.4 Contrariamente a quanto asserito nel ricorso, pertanto, la motivazione del Tribunale non è né tautologica né slegata dalla posizione specifica dell’indagato, ma giustifica il vincolo imposto sui telefoni con la necessità di comprendere appieno la funzione svolta dal COGNOME all’interno dell’ampio e strutturato contesto criminale disvelato dalle indagini.
Generica e comunque non sorretta da un concreto interesse a impugnare risulta la censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità.
E’ noto che il principio di proporzionalità, pur non essendo esplicitamente menzioNOME nell’art. 253 c.p.p., costituisce un canone fondamentale che deve governare l’adozione e l’esecuzione del sequestro probatorio. Tale principio, mutuato dall’art. 275 c.p.p. in tema di misure cautelari personali (Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, COGNOME, Rv. 261509 – 01; Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013, COGNOME, Rv. 254712 – 01, più di recente Sez. 3, n. 20658 del 17/4/2025, COGNOME), impone al giudice di operare un bilanciamento tra le esigenze di accertamento dei reati e la compressione dei diritti fondamentali dell’individuo, primo fra tutti i diritto di proprietà e, nel caso di specie, il diritto alla riservatezza e alla segretezz delle comunicazioni.
3.1 Venendo al caso in esame, lamenta il ricorrente che il sequestro ha quale obiettivo, non essendo stati indicati i criteri selettivi dei dati di interesse “collegamento tra il reato contestato e i dati informatici che si intendono vincolare”, l’acquisizione indiscriminata dei contenuti presenti nei telefoni cellulari, in spregio al principio di proporzionalità.
Tale censura, però, non tiene conto della sintesi del decreto di sequestro esposta nel provvedimento impugNOME, avendo il Tribunale sottolineato che, attraverso il sequestro dei telefoni, l’indagine mira ad acquisire “elementi utili a ricostruire i rapporti tra i destinatari del sequestro e gli emittenti le false fattu e, in particolare, “i rapporti tra COGNOME, COGNOME, gli indagati cinesi ed eventuali ulterior soggetti coinvolti”. Il decreto, quindi, indica le specifiche informazioni oggetto di ricerca, alla cui acquisizione è finalizzato il sequestro degli apparecchi.
3.1 Non è dato, poi, sapere se il decreto di sequestro preveda anche le modalità di estrazione dei dati di interesse dagli apparecchi informatici, se, cioè, era stata disposta l’acquisizione omnicomprensiva dell’intero contenuto dei supporti informatici attraverso una copia forense integrale, nel qual caso sarebbe stato effettivamente onere del PM esplicitarne le ragioni, prevedendo al contempo un’adeguata organizzazione per limitare il trattenimento delle totalità delle informazioni per il tempo strettamente necessario ( Sez. 6, n. 34265 del 22/9/2020, Rv. 279949) ovvero, come appare più probabile, avendo il Tribunale del Riesame ritenuto di dover precisare che il PM avrebbe dovuto fare una copia integrale del contenuto dei dispositivi, è stato demandato alla PG il compito di individuare ed estrarre le informazioni d’interesse all’interno del perimetro di ricerca individuato nel decreto, nel qual caso, a fronte dell’acquisizione da parte della polizia delegata di informazioni eccedenti rispetto a quanto indicato nel provvedimento impositivo del vincolo, il ricorrente avrebbe dovuto chiedere al Pubblico Ministero la restituzione dei dati sequestrati in eccesso, e, contro il provvedimento del predetto, ricorrere in opposizione davanti al giudice, ai sensi dell’art. 263, commi 4 e 5, c.p.p. (Sez. 3, n. 20912 del 25/01/2017, Rv 270126; Sez. 5, n. 29391 del 10/4/2019, RAGIONE_SOCIALE). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
È evidente che in ordine a tali profili il ricorso difetta del requisit dell’autosufficienza non essendo stato allegato o riprodotto nell’impugnazione il decreto di sequestro.
3.2 A ciò si aggiunga che il ricorrente non ha allegato – tanto meno dimostrato- che i dispositivi sottoposti a sequestro contengono dati riservati e sensibili relativi alla propria sfera personale, estranei ai fatti per cui si indaga, ordine ai quali si denuncia l’illegittimità del mantenimento in sequestro.
Anche sotto tale profilo il ricorso difetta della necessaria specificità.
E’ stato di recente precisato che “solo attraverso la verifica dell’interesse concreto ed attuale alla disponibilità esclusiva di quei dati sensibili (perché, ad
esempio, riguardanti la salute propria o di altri), allegato dal loro titolare, il giudi è posto nelle condizioni di valutare l’effettiva esistenza di un rapporto di proporzionalità tra le necessità connesse all’accertamento del reato e il sacrificio imposto alla sfera di riservatezza del soggetto inciso dal provvedimento ablatorio, potendo, così, effettuare in concreto il bilanciamento tra le istanze di repressione del crimine e quelle di salvaguardia di un diritto fondamentale. Bilanciamento tra tali contrapposte esigenze il cui apprezzamento esige, in conformità alle indicazioni provenienti dal diritto convenzionale (Corte EDU 02/04/2015, RAGIONE_SOCIALE c. Francia Corte EDU 19/06/2014, COGNOME c. Portogallo; Corte EDU, 22/5/2008, NOME COGNOME c. Bulgaria; Corte EDU 07/06/2007, COGNOME c. Russia), che si abbia riguardo al tipo di dati sensibili che vengono in rilievo, nonché al tempo ragionevolmente necessario per selezionare, tra questi, quelli effettivamente utili alle investigazioni in corso. Diversamente, il ritenere che, “in caso di sequestro di uno strumento informatico, destiNOME per la sua stessa natura a raccogliere dati informatici di natura personale e professionale (materiale audiovisivo, dati di localizzazione, posta elettronica, passwords, dati relativi al traffico telefonico, messaggistica elettronica, ecc.) sia sufficiente da parte dell’istante dedurre la presenza nell’apparecchio di dati siffatti, essendo ultroneo dover pretendere la pleonastica dimostrazione in termini positivi dell’interesse alla disponibilità esclusiva di quanto vi era contenuto» (Sez. 6, n. 17878 del 03/02/2022, in motivazione) avrebbe come ricaduta, ancorché indiretta, il pretendere da parte del pubblico ministero, ai fini della stessa legittimità del sequestro, un obbligo di motivazione sulle ragioni dell’apprensione dei dati sensibili eventualmente contenuti nei dispositivi informatici e telematici, oggetto di sequestro, particolarmente incisivo e talmente penetrante da risultare, nei fatti, inesigibile: ciò, ove solo si abbia riguardo alla peculiare connotazione dei documenti informatici, che, nella generalità dei casi, richiedono, sia in ragione del loro contenuto, spesso promiscuo, che della loro mole, accertamenti tecnici per estrapolarne e selezionarne quanto utile alle indagini” (Sez. 5, n. 9797 del 04/03/2025, R., Rv. 287778 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A identiche conclusioni perviene Sez. 2, n. 37409 del 10/09/2024, Veglioni, Rv. 286989 – 01, relativa a dispositivi informatici già restituiti all’avente diritto esito all’estrazione di copia forense, che ritiene che sia “ammissibile la richiesta di riesame finalizzata alla verifica della proporzionalità del mezzo di ricerca della prova rispetto ai dati personali non rilevanti a fini investigativi nel solo caso in cui sia dimostrata la sussistenza di un interesse concreto ed attuale alla disponibilità esclusiva dei dati contenuti nella copia estratta”.
Non è superfluo, in conclusione, ricordare che, a sensi dell’art. 581 c.p.p. l’atto di impugnazione deve contenere, fra l’altro, i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
et, GLYPH
L’inosservanza di tale disposizione comporta l’inammissibilità dell’impugnazione, a sensi del comma 1, lett. c), dell’art. 591 c.p.p. rilevabile d’ufficio in ogni stato grado del procedimento, a norma dell’ultimo comma dello stesso articolo (Sez. 6, n. 6383 del 09/03/1998, COGNOME, Rv. 210904 – 01; Sez. 2, n. 33478 del 7/5/2021, COGNOME).
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché- ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 e dei profili di inammissibilità rilevati, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/10/2025