Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36106 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36106 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nata in Algeria il DATA_NASCITA;
avverso la ordinanza del Tribunale di Genova del 6 settembre 2023;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata;
sentita, altresì, per la ricorrente l’AVV_NOTAIO, del foro di Agrigento, la quale, in considerazione della persistenza del sequestro, chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Giova premettere che l’antefatto della presente vicenda processuale consiste nella circostanza che, con sentenza del 16 giugno 2023, il Tribunale di Genova ha mandato assolti, con la formula della insussistenza del fatto, COGNOME NOME e COGNOME NOME, imputati del reato di cui all’art. 178, commi 1, lett.B), e 2, del dlgs n. 42 del 2004, per avere, fra l’altro, posto in circolazione opere d’arte contraffatte a firma del noto pittore livornese NOME COGNOME; fra queste, per quanto ora interessa, vi era, secondo l’accusa, un “olio su tela” denominato “Testa di donna dai capelli rossi”, la cui proprietà è in capo a NOME, soggetto, si precisa sin da ora, nei cui confronti non era stata mossa alcuna imputazione penale.
Con la citata sentenza il Tribunale di Genova ha anche espressamente disposto la restituzione ai legittimi proprietari delle opere d’arte in sequestro, fra le quali vi è anche il quadro sopra indicato, senza alcuna ulteriore precisazione, laddove, per le opere ritenute false il Tribunale ha bensì disposto la restituzione, ma la ha subordinata alla previa apposizione sul retro delle stesse, con scrittura indelebile, che si tratta di opera falsificata non attribuibile al citato Maestro.
Con ricorso del 11 luglio 2023, dato atto di quanto sopra, la NOME, rappresentata e difesa dai suoi due legali dui fiducia, proponeva al Tribunale di Genova istanza volta alla restituzione alla medesima del quadro di sua proprietà denominato “Testa di donna dai capelli rossi”.
Con ordinanza depositata il successivo 13 luglio 2023 il Tribunale, nella medesima persona fisica del magistrato che aveva deliberato la ricordata sentenza di assoluzione, disponeva, previa acquisizione del parere del Pm, reso in termini contrari all’accoglimento della istanza di restituzione, il rigetto della medesima atteso che alla restituzione si dovrà, se del caso, procedere dopo il passaggio in giudicato della sentenza di cui in premessa.
Avverso detto provvedimento ha, a questo punto, presentato appello di fronte al giudice dei provvedimenti cautelari la difesa della NOME.
Con ordinanza resa in data 6 settembre 2023, il Tribunale di Genova ha rigettato l’appello cautelare, osservando che il dissequestro, visto l’art. 262, comma 1, cod. proc. pen., sarebbe stato consentito, data la natura probatoria del provvedimento in questione, nel momento in cui fosse venuta meno la sua funzione rispetto alle esigenze probatorie processuali.
Avverso tale ultimo provvedimento ha, pertanto, interposto ricorso per cassazione la NOME, affidandolo a 6 motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di ricorso è stata censurata la ordinanza del Tribunale di Genova per vizio di violazione di legge p di illogicità della motivazione per avere il detto Tribunale ritenuto sussistere la necessità di mantenere il sequestro a fini di prova senza avere tenuto conto del fatto che nella motivazione dela sentenza assolutoria emessa in sede di giudizio di merito si afferma, perentoriamente, che il quadro in questione è “con tranquillizzante certezza probatoria” autentico.
Tale rilievo rende illegittima la ordinanza impugnata nella parte in cui in essa non è stata colta la intima contraddittorietà del rigetto della originaria istanza di restituzione, essendo dal medesimo organo giudiziario non messa in dubbio la autenticità dell’opera in questione, dato questo che avrebbe dovuto escludere la perdurante rilevanza probatoria della medesima.
Aggiunge la ricorrente, a sostegno della irragionevolezza del rigetto della istanza di restituzione del bene, che altri reperti in sequestro probatorio sono, invece, stati restituiti ad altri proprietari in esecuzione del dissequestro disposto con la citata sentenza di assoluzione del Tribunale di Genova.
Il secondo motivo di impugnazione concerne la manifesta illogicità della motivazione della ordinanza impugnata, nonché la violazione di legge che minerebbe alla base gli argomenti che hanno indotto il Tribunale a non accogliere l’appello cautelare; in particolare si segnala la circostanza che, non essendo la NOME imputata nel giudizio a quo, anche un’eventuale impugnazione della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale non potrebbe spiegare alcun effetto sulla medesima odierna ricorrente.
Né, si aggiunge, alcuna valenza probatoria potrebbe avere nel giudizio di gravame il quadro in questione, del quale è stata affermata la autenticità.
Il terzo motivo di impugnazione attiene ad un profilo processuale, legato al fatto che il provvedimento di rigetto della originaria istanza di restituzione dell’opera per cui è causa è stato disposto successivamente alla illegittima acquisizione di un parere reso dal Pm in carenza di potere.
La quarta censura concerne la violazione di legge ed il vizio di motivazione per non avere il Tribunale rilevato la assoluta carenza di motivazione in ordine alla sussistenza delle condizioni per il mantenimento della misura non essendo emerso a carico della ricorrente, né potendo essi
sortire a seguito della eventuale impugnativa avverso la sentenza dì primo grado, gravi indizi di colpevolezza posti a giustificazione e motivo del mantenimento del sequestro.
Con il quinto motivo di ricorso ci si è doluti del fatto che, in violazione di legge e con motivazione illogica, sia stata affermata la sussistenza di esigenze cautelari idonee a giustificare la permanenza della misura, come evidenziato dal fatto che altre opere, parimenti assoggettate a sequestro probatorio, sono state, invece, restituite agli aventi diritto.
Infine, con il sesto motivo di ricorso è stato lamentato il fatto che, in spregio delle disposizioni anche di rango costituzionale ed internazionale che tutelano il diritto di proprietà privata sui beni, in assenza di un’adeguata motivazione, riferita anche alla sussistenza del requisito della proporzionalità fra la misura applicata e la necessità investigativa che essa dovrebbe soddisfare, il bene oggetto di sequestro probatorio sia, senza una apprezzabile ragione, ancora sottratto alla libera disponibilità dell’avente diritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, essendone risultati i motivi posti alla base o direttamente inammissibili o, comunque, infondati, deve essere, pertanto, rigettato.
Deve, in primo luogo rilevarsi come sia estranea alla presente fattispecie la pronunzia sulla base della quale, ancora di recente, la Corte di cassazione penale, a Sezioni unite, ha rilevato come non sia impugnabile dall’interessato il provvedimento del Gup di rigetto della richiesta di dissequestro dei beni sottoposti a sequestro probatorio (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 7 luglio 2023, n. 32938), infatti, nella presente occasione, già con la sentenza del Tribunale di Genova del 16 giugno 2023, i cui motivi sono stati depositati il successivo 18 luglio 2023, è stata disposta la restituzione della opera ora in questione alla legittima proprietaria; la questione ora in discorso attiene, pertanto, esclusivamente alla efficacia della già disposta restituzione del quadro, efficacia che, stante la non ancora intervenuta definitività della sentenza con la quale la restituzione è stata disposta, deve ritenersi subordinata, secondo la previsione di cui all’art. 262, comma 1, cod. proc. pen., alla intervenuta cessazione delle esigenze probatorie in funzione delle quali il sequestro era stato disposto.
Deve, altresì, ribadirsi che la possibilità di ricorrere per cassazione in tema di sequestro, anche probatorio oltre che preventivo, è limitata, secondo
la espressa dizione di cui all’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., alla sola deduzione del vizio di violazione di legge e non anche alle ipotesi in cui è lamentato, sia pure con riferimento alla sua manifesta illogicità, un vizio della motivazione del provvedimento impugnato (così, da ultimo in ordine di tempo: Corte di cassazione, Sezione II penale, 14 dicembre 2023, n. 49739, rv 285608).
Alla luce di tale rilievo, risulta con immediatezza la inammissibilità sia del primo che del secondo motivo di impugnazione, atteso che con essi parte ricorrente ha lamentato la pretesa manifesta illogicità, o comunque la inadeguatezza sotto il profilo della razionalità, della motivazione della ordinanza impugnata nella parte in cui avrebbe trascurato di prendere in esame la contraddittorietà del provvedimento con il quale il Tribunale di Genova, pur avendo ritenuto in occasione della pronunzia della sentenza del 16 giugno 2023, con tranquillizzante certezza la autenticità dell’opera pittorica in questione non ne avrebbe materialmente consentito la restituzione all’avente diritto, in ragione della non definitività della sentenza dianzi citata, e nella parte in cui non si sarebbe tenuto conto del fatto che, non essendo stata la NOME imputata nel processo che si è celebrato di fronte al Tribunale di Genova, il gravame presentato avverso la sentenza con la quale questo è stato definito non potrebbe svolgere effetti nei suoi confronti.
Si tratta di argomentazioni che involgono profili motivazionali e che, pertanto, non sono ammissibili in questa sede.
Né vale a rendere, diversamente, ammissibile la impugnazione la circostanza, solo declamata dalla ricorrente, che i motivi di ricorso ora in esame avrebbero ad oggetto anche la violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale ligure, trattandosi di affermazione privi di un reale contenuto, non essendo stato, di fatto, prospettato alcun profilo di contrarietà a norme legislative, se non la, semplicemente postulata, violazione dell’art. 262, comma 1, cod. proc. pen. – il quale, come accennato, prevede la restituzione dei beni sottoposti a sequestro probatorio una volta cessata la esigenza istruttoria che ne aveva legittimato il sequestro – che, tuttavia, è stata affermata sulla base del profilo, schiettamente implicante una valutazione sulla tenuta della motivazione della ordinanza impugnata, che non sussisterebbero più, una volta pronunziata la sentenza di assoluzione dei prevenuti in primo grado, siffatte esigenze.
Infondato è il terzo motivo di impugnazione; va, intanto premesso che, essendo già ampiamente terminata la fase delle indagini preliminari, nel corso
della quale la competenza su di essa spetta al Pm secondo la previsione di cui all’art. 263, comma 4, cod. proc. pen., correttamente è stato chiamato a decidere sulla richiesta di restituzione del bene in sequestro il giudice che in quel momento era da ritenersi ancora procedente in quanto, essendo stata pronunziata la ordinanza di rigetto della richiesta di restituzione del quadro in data 13 luglio 2023 mentre i motivi della sentenza emessa dal Tribunale di Genova sono stati depositati solamente il 18 luglio 2023, egli era ancora nella materiale disponibilità degli atti del processo (per la competenza “prorogata” del giudice che è ancora nella disponibilità degli atti, anche se ha già pronunziato la sentenza con la quale si è chiuso il grado del processo svoltosi di fronte a lui si veda, per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 febbraio 2009, n. 7452, rv. 242838).
Ciò detto si rileva, altresì, che, stante anche la natura probatoria del sequestro ancora formalmente in atto (non essendo ancora definitiva la sentenza emessa dal Tribunale del capoluogo ligure), la permanenza del sequestro doveva ritenersi giustificata ove fosse emersa la perdurante sussistenza di una esigenza di carattere istruttorio; pertanto, nel rispetto del contraddittorio fra le parti, del tutto legittimamente, a fronte di una istanza volta a modificare l’assetto degli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari svolte dal Pm, il giudice ha sollecitato l’espressione del parere di questo sulla perdurante sussistenza della esigenze che avevano originariamente giustificato l’adozione del provvedimento di sequestro.
Quanto ai successivi quarto e quinto motivo di impugnazione, che per la loro reciproca vicinanza contenutistica possono essere congiuntamente esaminati, si rileva che, diversamente da quanto ritenuto dalla parte ricorrente, per un verso appaiono estranee alla economia del presente giudizio i rilievi sulla estraneità della NOME al giudizio principale in corso, atteso che la sua posizione di terza rispetto a quello non è certamente ostativa alla sussistenza ed eventualmente alla persistenza delle esigenze probatorie che avevano legittimato l’adozione del provvedimento di sequestro, mentre, per ciò che attiene alla carenza di motivazione sulla necessità di mantenere il sequestro osserva il Collegio che, sebbene sia pur vero che l’obbligo di motivazione sulla concreta finalità probatoria che attraverso il provvedimento di sequestro si tende a salvaguardare sussiste anche nel caso in cui il bene oggetto del provvedimento sia costituito, come nel presente caso, dal corpo del reato (in tal senso, fra le più recenti: Corte di cassazione, Sezione II penale, 15 novembre 2023, n. 46130, rv 285348), dovendo, comunque, essere motivata la esistenza di un rapporto di stretta inerenza fra il bene ed il
reato per il quale si procede (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 11 settembre 2019, n. 37639, rv 277061), va, tuttavia, osservato che l’intensità dell’onere dimostrativo di tale esigenza deve atteggiarsi, e conseguentemente modularsi, anche in funzione della tipologia di reato in relazione alla quale il provvedimento è stato disposto, potendosi ricorrere a formule sintetiche laddove la funzione probatoria del corpo del reato sia un connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, che emerga, con immediata evidenza anche in relazione alla contestazione penale mossa, dalla peculiare natura delle cose che lo compongono (Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 gennaio 2017, n. 1145, rv 268736).
Nella presente fattispecie, in cui si procede in relazione alla ipotizzata messa in circolazione di opere d’arte contraffatte, la dimostrazione della valenza probatoria del corpo del reato, cioè di uno dei quadri di cui si ipotizza la falsità, potendo necessitare l’accertamento dell’illecito di intuitive attività di verifica coinvolgenti la stessa materialità dell’opera in questione, richiede una assai stringata spiegazione, di fatto consistente nella mera enunciazione del titolo di reato e nella indicazione, quale materiale riferimento di esso come possibile oggetto della contraffazione, del bene sottoposto a sequestro probatorio.
Quanto, infine, all’ultimo motivo di ricorso è sufficiente osservare, non senza avere segnalato come il bene sul quale il provvedimento di sequestro probatorio è caduto è comunque un bene – trattandosi, in ipotesi, di un oggetto di rilevanza storico-artistica – per il quale lo “statuto proprietario” è soggetto ad una serie di peculiarità che ne caratterizzano, in termini di singolarità, la disciplina
Nella fattispecie, pertanto, debbono essere bilanciati due valori entrambi dotati di valenza costituzionale; infatti se è vero che il sequestro ha inciso su di un bene del quale non è contestata la appartenenza alla ricorrente, di tal che questa è stata incisa nella libera disponibilità di esso derivante dal rapporto dominicale col medesimo, è altrettanto vero che ciò è dovuto alla esigenza, anch’essa sicuramente di rilevanza costituzionale, di tutelare la comunità rispetto alle aggressioni aventi rilevanza penale alle posizioni soggettive spettanti a ciascun associato accertandone e punendone i responsabili.
Di fronte al tali confliggenti interessi, la regola che ne consente il bilanciamento è data dal limitare, ove si tratti di sequestro probatorio disciplinato dal codice del rito penale, la incisione sul diritto di proprietà anche
del terzo estraneo al reato alla sole ipotesi in cui sia ravvisabile l’esist della necessità del perseguimento della finalità probatoria cui il provvedimento è preordinato.
E’ questo il principio che detta, sotto il profilo della indispensabi proporzionalità del mezzo rispetto al fine perseguito, il criterio per poter ritenere giustificata la momentanea privazione del bena in danno del legittimo proprietario.
Quanto al caso di specie, la perdurante pendenza del procedimento inerente alla ipotizzata falsità del quadro in questione rende, in assenza di da obbiettivi di diverso orientamento, tuttora attuale la necessità di mantenere l materiale efficacia del provvedimento di sequestro.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato e la ricorrente, visto l’art. cod. proc. pen., va condannata al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
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Il Presidente