Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25787 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25787 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COSENZA il 23/08/1971
avverso l’ordinanza del 08/02/2025 del TRIBUNALE RIESAME di VIBO VALENTIA
visti gli atti, letto il provvedimento impugnato e i ricorsi degli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME
ricorso trattato con rito cartolare in assenza di richiesta ex art. 611, comma 1-bis, lett. a) c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME DomenicoCOGNOME a mezzo dei difensori di fiducia, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in data 8/02/2025 del Tribunale del riesame di Vibo Valentia, con cui è stato confermato il decreto di sequestro probatorio emesso dal pubblico ministero in sede.
La difesa, dopo avere ricostruito la genesi del procedimento nell’ambito del quale si è pervenuti all’adozione del decreto di sequestro impugnato dinanzi al Tribunale del riesame, affida il ricorso a sei motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione di legge per omessa motivazione nel decreto di sequestro del fumus commissi delicti e della concreta finalità probatoria perseguita, profili che, inerendo alla legittimità originaria del provvedimento, non erano integrabili dal Tribunale del riesame che, peraltro, su entrambi gli aspetti si sostiene avere reso una motivazione apparente.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’assenza del fumus commissi delicti alla luce delle censure sollevate dalla difesa con la richiesta di riesame che il Tribunale aveva omesso di affrontare.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura e l’omessa motivazione in ordine al rispetto di tali principi, a fronte di un sequestro omnicomprensivo di documenti, già in possesso degli inquirenti (unitamente al CD rom su cui erano stati riversati), con conseguente mancanza della finalità probatoria ed esteso ad ulteriori dati telematici in assenza di indicazioni e disposizioni volte ad escludere la finalità esplorativa del mezzo di ricerca della prova.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia l’assenza del fumus commisi delicti in ragione dell’inutilizzabilità patologica delle fonti di prova, acquisite sulla base di un decreto di sequestro annullato (a seguito di ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro passata in giudicato) e che erano state richiamate a sostegno dall’ordinanza impugnata.
2.5. Con il quinto motivo si denuncia l’assenza del fumus commissi delicti stante l’improcedibilità dell’azione penale (adducendosi la natura duplicata del presente procedimento e il ricorrere di un’ipotesi di litispendenza), in quanto tutti i reati tributari ipotizzati nel decreto di sequestro avevano già formato oggetto di altri procedimenti, tra cui quello iscritto al n. 920/2022 presso la Procura di Lamezia Terme conclusosi con sentenza di proscioglimento del Gup con la formula perché il fatto non sussiste.
2.6. Con il sesto motivo si lamenta l’omessa motivazione in relazione alla
censura sollevata nel nono motivo della richiesta di riesame inerente alla violazione del divieto stabilito dall’art. 52, comma 7, D.P.R. n. 633/1972 di sottoporre a sequestro i documenti e le scritture contabili, salvo che sussista l’impossibilità di riprodurre o fare constatare il contenuto nel relativo verbale.
Il P.G. presso questa Corte, con requisitoria-memoria del 15/05/2025, ha concluso per il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente, con memoria del 28/05/2025, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato quanto al primo motivo nella parte in cui la difesa lamenta l’assenza, nel decreto di sequestro, della motivazione sul fumus commissi delicti.
A norma dell’art. 253, comma 1, cod. proc. pen., «l’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti».
La necessità della presenza della motivazione si collega alla previsione generale di cui all’art. 125, comma 1, cod. proc. pen., espressa in termini assoluti nell’incipit della disposizione e, dunque, indipendentemente dalla natura delle cose da apprendere a fini di prova, solo successivamente indicate.
La circostanza che il vincolo reale investa il corpo del reato ovvero riguardi cose pertinenti al reato non esime il provvedimento dall’essere corredato da motivazione in ordine al fumus commissi detteti. In entrambi i casi, infatti, i presupposti di legittimità della motivazione del decreto di sequestro probatorio concernono: nel caso del corpo del reato la sussistenza del fumus commissi delicti e della relazione di immediatezza tra la res sequestrata ed il reato oggetto di indagine; nell’ipotesi di cose pertinenti al reato, la sussistenza del fumus commissi delitti e della necessità di accertamento dei fatti (in termini ex multis, anche con richiamo degli orientamenti giurisprudenziali in materia, v. Sez. 5, n. 54018 del 03/11/2017, COGNOME, Rv. 271643 – 01, in motivazione; Sez. 6, n. 37639 del 13/03/2019, COGNOME, Rv. 277061 – 01).
Ciò che deve essere spiegato dall’Autorità giudiziaria procedente è l’astratta configurabilità del reato ipotizzato in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non certo nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, bensì con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato in modo da chiarire la ragione per cui è utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto,
non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. U., n. 23 del 20/11/1996, Bassi, Rv. 206657; tra le tante, Sez. 5, n. 13594 del 22/02/2015, COGNOME, Rv. 262898 – 01, secondo cui l’obbligo di motivazione che deve sorreggere, a pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possono considerarsi il corpo del reato ovvero cose ad esso pertinenti ed alla concreta finalità probatoria perseguita, con l’apposizione del vincolo reale, deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare; Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, COGNOME, Rv. 267007 – 01).
Ancorché non debba tradursi in un sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, ciò che deve essere verificata è la possibilità concreta di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato, non potendosi ritenere sufficiente la mera “postulazione” della sua esistenza da parte del pubblico ministero ovvero la prospettazione esplorativa di indagine rispetto ad una notizia di reato.
L’Autorità giudiziaria, tenuto conto dello stato del procedimento, deve rappresentare le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, spiegando la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti che si intendono accertare (Sez. 4, n. 15448 del 14/03/2012, Rv. 253508; Sez. 6, n. 45591 del 24/10/2013, Rv. 257816; Corte cost., ord. n. 153 del 2007).
Dalla lettura del decreto di sequestro risulta che il pubblico ministero, dopo avere riportati i capi di imputazione relativi alle ipotesi di reato per cui si procede nei confronti del ricorrente rubricate dalla lettera A) alla lettera O), precisandosi che quelle dalla lettera H) sino alla lettera O) valgono solo ai fini della contestazione, rileva che “con riguardo ai delitti di cui ai capi A), B), C), D), E), F) e G), così come sopra contestati, emergono gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato COGNOME NOME“, specificando, inoltre, che “ai fini che qui interessano si procede per ipotesi di reato concernenti la “Ditta individuale COGNOME Domenico e la RAGIONE_SOCIALE“.
Si è al cospetto, pertanto, di un’ipotesi di mancanza di motivazione, in quanto il decreto, omettendo del tutto di indicare le risultanze processuali in forza delle quali quelle condotte sono state ritenute integrare il fumus dei reati contestati, finisce, attraverso il mero richiamo ai capi di imputazione, per postularne l’esistenza, precludendo alla difesa di conoscere e confrontarsi con le emergenze processuali in forza delle quali quelle ipotesi di reato sono state ricavate e poste a fondamento della disposta cautela.
Ciò non significa che il pubblico ministero sia tenuto a passare puntualmente in rassegna tutte le fonti probatorie, attraverso una specifica disamina del loro contenuto e risultato, trattandosi di adempimento estraneo alla finalità del provvedimento di sequestro, ma occorre pur sempre che il provvedimento operi un richiamo alle risultanze processuali in base alle quali vengono in concreto ritenuti esistenti, sia pure sul piano indiziario, i reati configurati, trattandosi condizione che non solo consente di ricondurre alla figura astratta la fattispecie concreta, ma di poter verificare l’idoneità degli elementi di prova su cui si fonda la disposta cautela così da chiarire la ragione per cui è utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori rispetto al fatto (nel senso che non può ritenersi esaustivo il mero richiamo ai “risultati dell’attività di indagine”, v. Sez. 6, COGNOME, cit., in motivazione).
Ciò che appare essenziale ai fini di una sufficiente motivazione in ordine alla cautela probatoria è la indicazione di un nesso di inerenza funzionale tra la res e lo scopo assicurativo necessario per assicurare le fonti di prova già acquisite o ricercarne di nuove.
Quando si tratta di acquisizioni documentali la funzione probatoria deve essere, pertanto, indicata non con un semplice richiamo alla fattispecie astratta o al capo pertinente – peraltro pure assente nel caso di specie procedendosi per ipotesi di reati differenti e variegate -, ma alle ragioni, sia pure succintamente esposte, per le quali quel documento assume rilevanza probatoria nel processo.
Con la conseguenza che, essendosi al cospetto di un’ipotesi di radicale mancanza di motivazione su uno dei requisiti costitutivi della misura, non può ritenersi consentito al Tribunale del riesame di integrare, a differenza di quanto invece operato con riguardo alla finalità probatoria del sequestro, di integrare, la motivazione, sulla scorta della successiva trasmissione degli atti, individuando di propria iniziativa gli atti investigativi costituenti le fonti di prova e valutandone l’idoneità a supportare l’ipotesi accusatoria, in quanto si tratta di una prerogativa esclusiva del pubblico ministero quale titolare del potere di condurre le indagini preliminari e di assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale.
Il provvedimento di sequestro e l’ordinanza del Tribunale della libertà di Vibo Valentia devono, dunque, essere annullati senza rinvio con conseguente restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.
Restano di conseguenza assorbiti gli altri motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata ed il decreto di sequestro probatorio, e dispone la restituzione di quanto sequestrato all’avente diritto.
Manda alla Cancelleria per l’immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso, il 13 giugno 2025.