Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21090 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21090 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Genova il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Pescara il 27/09/2023;
visti gli atti ed esaminato il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Pescara ha confermato il decreto emesso l’11.7.2027 con cui è stato disposto il sequestro probatorio avente ad oggetto documentazione cartacea, un telefono cellulare, un computer ed un i-pad in uso a NOME COGNOME.
Si procede per i reati calunnia, diffamazione e minaccia.
In particolare, quanto alla calunnia, a NOME si contesta, in concorso con NOME COGNOME, di avere intenzionalmente incolpato attraverso esposti e missive anonimi e pur sapendolo innocente, COGNOME NOME, presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE” dei reati di associazione per delinquere, corruzione, falso in bilancio.
I reati diffamazione e di minaccia sono conseguenti.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando sei motivi.
2.1. Con i primi tre motivi, che possono essere descritti congiuntamente, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla dedotta questione di incompetenza funzionale ex art. 11 cod. proc. pen.
Dalla lettura degli atti emergerebbe che l’oggetto della falsa incolpazione sarebbe quella di avere COGNOME e COGNOME costituito un’associazione criminale – di cui avrebbero fatto parte anche alcuni magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Pescara- al fine di “direzionare” vari processi aventi come protagonista lo stesso COGNOME, ovvero di “coprire” alcuni fatti di falso in bilancio.
Sulla base di tali presupposti, si assume, era stata dedotta una questione di incompetenza funzionale ex art. 11 cod. proc. pen. e il Tribunale, pur enunciando principi sul tema, non avrebbe mai in concreto proceduto ad accertare la propria competenza, limitandosi ad affermare che non vi sarebbe la prova che i magistrati avrebbero assunto la qualità di persona offesa.
Nonostante lo stesso Pubblico Ministero all’udienza avesse attestato a verbale che effettivamente alcuni magistrati avrebbero dovuto considerarsi persone offese e che la posizione di questi era stata stralciata con conseguente trasmissione degli atti alla Procura di Campobasso, competente ex art. 11 cod. proc. pen., il Tribunale avrebbe erroneamente affermato che non sarebbe rilevante “in questa fase processuale”.
2.2. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del fumus comnnissi delicti.
2.3. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione, non avendo il Tribunale adottato una motivazione rafforzata in ragione della professione dell’indagato; sarebbe stato compiuto un sequestro indiscriminato su tutti i suoi strumenti lavorativi.
2.4. Con il sesto motivo si lamenta vizio di motivazione quanto al rigetto della richiesta di opposizione del segreto professionale da parte dell’indagato e alla mancanza di proporzionalità ed adeguatezza del sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Quanto ai primi tre motivi, non è sostanzialmente in contestazione in punto di fatto che: a) oggetto della calunnia sarebbe la falsa incolpazione di una serie di reati attribuit a COGNOME ed ad alcuni magistrati in servizio presso il Tribunale di Pescara; b) il Pubblico Ministero ha informato il Tribunale del riesame di avere inviato gli atti alla Procura d Campobasso, “competente” ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen.
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Le Sezioni unite hanno in più occasioni chiarito che la competenza, quale limite della giurisdizione, è un presupposto processuale indissociabile dalla funzionale attività del giudice.
Si è spiegato come non sia un caso che il nuovo codice, abbandonata definitivamente e con maggiore consapevolezza, la riduttiva nozione della competenza come “limite di un diritto”, abbia recepito, a pieno titolo, quella che in essa vede l’esistenza di un ve e proprio “dovere” del giudice che ne condiziona il potere decisorio.
Adeguandosi ai rilievi che da lungo tempo la Corte Costituzionale aveva formulato in conseguenza dell’avvertita necessità di assicurare l’astratta imparzialità del giudice attraverso la precostituzione di criteri oggettivi per la determinazione della su competenza, il nuovo codice, lungi dal precludere il sindacato giurisdizionale sulla competenza del giudice, lo ha armonizzato con le peculiari caratteristiche del procedimento incidentale che si sviluppa e si esaurisce nella fase delle preliminari indagini.
Dunque, da un lato, si è offerta una disciplina uniforme ed omogenea sugli effetti dell’incompetenza, quali che siano le cause che possono averla determinata e, dall’altro, si è avvertita la necessità di ribadire che il rispetto della competenza ha una sua specifica rilevanza anche nella fase delle indagini preliminari (Cosi, testualmente, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199396).
Il tema si incrocia con il consolidato principio per cui il tribunale del riesame de accertare la propria competenza, in sede di giudizio “de libertate” (Sez. 5, n. 23037 dell’8/03/2023, Pavanati, Rv. 284676; Sez. 4, n. 48273 del 28/09/2012, Minda, Rv. 253920).
3. Dunque, a fronte di fatti di calunnia commessi nei riguardi di più soggetti, alcuni dei quali magistrati, e rispetto alla decisione del Pubblico Ministero di trasferire gli alla Procura di Campobasso in ragione della previsione dell’art. 11 cod. proc. pen., cioè in relazione alla posizione dei magistrati, non è affatto chiaro: a) perché il Tribunale de riesame non debba verificare la propria competenza a provvedere; b) perché, nella specie, non sarebbe applicabile l’art. 11 cod. proc. pen.; c) perché, in particolare, non sarebbe applicabile l’art. 11, comma 3, cod. proc. pen., secondo cui anche i procedimenti connessi a quelli in cui il magistrato assume la qualità di persona indagata ovvero di persona offesa o danneggiata sono di competenza del giudice individuato ai sensi del comma 1 della stessa norma; d) perché il procedimento nei riguardi del ricorrente e di COGNOME dovrebbe continuare ad essere di competenza del Tribunale di Pescara.
Ne consegue che l’ordinanza deve essere annullata sul punto, dovendo il Tribunale procedere ai necessari accertamenti ed alla verifica della sua competenza.
Non diversamente sono fondati anche i motivi di ricorso relativi alla sussistenza del fumus commissi delictí, al principio di proporzionalità della misura adottata e, sostanzialmente, alla verifica del nesso di pertinenza tra beni sequestrati e finali probatoria perseguita sono fondati.
Quanto al requisito del fumus, in materia di misure cautelari reali e, più in generale, di sequestri, va registrata la graduale tendenza della giurisprudenza della Corte di cassazione a valutare con maggiore rigore i presupposti che giustificano l’adozione del sequestro: si richiede che il giudice verifichi la sussistenza del fumus commissi delicti attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione di elementi dimostrativi, sia pure sul piano indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato.
Si coglie la consapevolezza che la tesi consolidata, autorevolmente sostenuta, secondo cui, ai fini della verifica del requisito del fumus, sarebbe sufficiente accertare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato (Sez. U, n. 4 del 25/03/1993, COGNOME, R 193118) ha condotto ad una erosione in senso verticale ed orizzontale del contenuto della motivazione del relativo provvedimento dispositivo del vincolo cautelare; l’impegno argomentativo del giudice è comunemente inteso, per un verso, arretrato al di sotto del limite della verifica della fondatezza prognostica dell’ipotesi di re prospettata, e, dall’altro, limitato alla tipicità del fatto materiale prospettato nell descrizione da parte del Pubblico Ministero, non essendo richiesta una ricostruzione in concreto delle modalità con cui la ipotizzata condotta criminosa si sia manifestata, cioè, una valutazione fattuale della ipotesi tipica enunciata.
Si tratta di una impostazione tuttavia già in passato precisata dalla Corte di cassazione che, evidentemente consapevole del rischio di svuotarnento della funzione di garanzia della motivazione, ha in più occasioni affermato la necessità di individuare il presupposto del sequestro preventivo nella concretezza degli indizi di reato, pur escludendo la tesi estrema che richiederebbe la presenza dei gravi indizi di colpevolezza (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, Bassi, Rv. 206657; cfr. Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella).
Le misure cautelari, civili e penali, e, in generale, i sequestri hanno tutte un funzione strumentale.
Un reato, tuttavia, deve essere configurabile ed il giudice deve poter esercitare un controllo effettivo che, pur coordinato e proporzionale con lo stato del procedimento e con lo stato delle indagini, non sia meramente formale, apparente, appiattito alla mera prospettazione astratta, ipotetica ed esplorativa della esistenza di un reato da parte della Pubblica Accusa.
Quella in esame è una esigenza funzionale alla ineludibile necessità di un’interpretazione della norma che tenga conto della esigenza di verificare, da una parte, il nesso di pertinenza tra le cose sequestrate e la finalità probatoria perseguita i
relazione al reato per cui si procede, e, dall’altra, del requisito della proporzionalità d misura adottata rispetto alla finalità perseguita, in un corretto bilanciamento dei divers interessi coinvolti.
Il Tribunale di Pescara non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, non avendo spiegato alcunchè quanto al fumus, essendosi limitato a fare riferimento ad affermazioni di principio senza tuttavia riferirle in concreto ai fatti per cui proce peraltro nemmeno descritti nella loro consistenza naturalistica, e alla fluidit dell’imputazione.
In ragione di un decreto di perquisizione e sequestro obiettivarnente silente, nulla è stato spiegato in ordine: a) a quali sarebbero i fatti posti ad oggetto del reato calunnia; b) al perchè il reato sarebbe configurabile; e) alla indicazione del contenuto e alla congruenza degli atti da cui emergerebbe il fumus commissi delicti; d) alla sussistenza del dolo del reato per cui si procede e, in particolare, alla possibilità che gravi accuse mosse dall’indagato siano accompagnate non già dalla consapevolezza e dalla volontà di accusare ingiustamente persone che si sa essere innocenti, ma dal convincimento – errato o meno- della loro fondatezza (cfr., quanto alla verifica del dolo, Corte cost. n. 153 del 2007; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014, COGNOME, Rv. 259337).
Una genericità descrittiva che, di conseguenza, impedisce di verificare il nesso di pertinenza fra il reato per cui si procede e la finalità probatoria soti:esa al sequestro.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ancora una volta chiarito come il decreto di sequestro probatorio, anche se abbia ad oggetto cose costituenti corpo del reato, debba contenere una specifica motivazione della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273548).
Si è precisato come “la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione Edu richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, allo scopo di garantire che la misura, a fronte delle contestazioni difensive, sia soggetta al permanente controllo di legalità – anche sotto il profilo procedinnentale – e di concreta idoneità in ordine all’an e alla sua durata, in particolare per l’aspetto del giusto equili o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero lo spossessamento del bene, e il fine endoprocessuale perseguito, ovvero l’accertamento del fatto di reato”.
Detti principi valgono anche per il sequestro delle cose pertinenti al reato, atteso che la stessa qualificazione della “cosa” come pertinente al reato, presuppone la indicazione del perimetro investigativo, della ipotesi di reato per cui si procede, della final probatoria perseguita con il sequestro; intanto, cioè, una cosa può essere considerata
“cosa pertinente al reato” in quanto esista una descrizione concreta del reato per cui si procede e della relazione fra quella cosa e quel reato, così da comprendere la finalità probatoria perseguita.
L’obbligo di motivazione che deve sorreggere, a pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni pc)ssono considerarsi il corpo del reato ovvero cose a esso pertinenti e alla concreta finalità probatoria perseguita deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di ille cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reat nonché alla natura del bene che si intende sequestrare. (Sez. 6, n. 56733 del 12/09/2018, Macis, Rv. 274781 in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto nullo il decreto con cui il pubblico ministero, in relazione al delitto previsto dall’art. 356 cod. pen., av sequestrato a fini probatori tutta la corrispondenza intercorsa tra progettista responsabile del procedimento, limitandosi a richiamare gli articoli di legge e ad enunciare il tempo e il luogo di commissione dei fatti, senza, tuttavia, descrivere questi ultimi e senza indicare le ragioni per cui i beni sequestrati dovessero considerarsi corpo di reato o cose a esso pertinenti).
Né è stato spiegato perché nella specie sarebbe consentita una indiscriminata apprensione delle informazioni contenute nei dispositivi elettronici.
Anche sul punto la Corte di cassazione ha chiarito che in tema di sequestro probatorio, l’acquisizione indiscriminata di un’intera categorie di beni, nell’ambito del quale procedere successivamente alla selezione delle singole “res” strumentali all’accertamento del reato, è consentita a condizione che il sequestro non assuma una valenza meramente esplorativa e che il pubblico ministero adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare “ex ante” l’oggetto sequestro.(Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, COGNOME, Rv. 279949).
8. Né, sotto ulteriore profilo, l’ordinanza impugnata consente di verificare il rispet del principio di proporzionalità.
Il principio di proporzione, certamente ancorato alla disciplina delle cautele personali nel procedimento penale ed alla tutela dei diritti inviolabili, ha nel sistema una porta più ampia; esso travalica il perimetro della libertà individuale per divenire termin necessario di raffronto tra la compressione dei diritti quesiti e la giustificazione della limitazione.
In ambito sovranazionale, il principio in esame è ormai affermato tanto dalle fonti dell’Unione (cfr. par. 3 e 4 dell’art. 5 TUE, art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 della Carta diritti fondamentali), che dal sistema della CEDU.
La Corte costituzionale ha chiarito in più occasioni, ed anche di recente, come il generale controllo di ragionevolezza, a sua volta effettuato attraverso il bilanciamento tra gli interessi in conflitto, comprenda il canone modale della proporzionalità.
Con la sentenza sul “caso Ilva”, si è affermato che nessun valore costituzionale può divenire “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche, che il bilanciamento de essere condotto dal legislatore e controllato dal Giudice delle leggi secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, fermo restando che – si tratta di una affermazione centrale – non è consentito un «sacrificio del nucleo essenziale» di alcuna dell istanze in conflitto (Corte cost., sentenza n. 85 del 2013, ma anche n. 20 del 2017, in cui la Corte, in tema di “riservatezza”, ha ritenuto fondamentale che le disposizioni limitative della libertà di comunicazione rispettino la riserva assoluta di legge e giurisdizione, nonché i principi di ragionevolezza e di proporzionalità alla luce de parametri della idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto).
Non diversamente, è condivisibile quanto ritenuto in dottrina, e cioè che il rango conferito dall’ordinamento interno alle fonti sovranazionali consente di affermare che, qualunque sia la natura con cui sono costruite – sostanziale o processuale – le tutele dei diritti, si deve tenere conto del cd. test di proporzionalità.
Il principio in esame è capace di fungere da guida per lo sviluppo futuro della materia dei diritti fondamentali, oggetto primario delle disposizioni normative processuali penali.
Si può tuttavia affermare che, anche là dove non entri espressamente in gioco il tema dei diritti fondamentali, il principio di proporzionalità rappresenti un utile termin paragone per lo sviluppo di soluzioni ermeneutiche e, ancor prima, di nuovi modelli di ragionamento giuridico; in tal senso, si sostiene acutamente, il principio d proporzionalità assolve ad una funzione strumentale per un’adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, ed ad una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto.
In tale accezione, il canone della proporzione e della adeguatezza si rivolgono certamente al legislatore, nel momento in cui traccia le norme ordinarie, ed alla Corte costituzionale nel vaglio di legittimità delle stesse, ma anche al giudice comune, allorquando è chiamato in concreto a disporre atti limitativi delle istanze fondamentali.
Il principio di proporzionalità trova un formidabile ambito applicativo con riferimento ai mezzi di ricerca della prova, idonei ad incidere su bene giuridici costituzionalmente tutelati: esso segna il limite entro il quale la compressione di un’istanza fondamentale per fini processuali risulta legittima.
Il tema attiene al rapporto tra sicurezza e riservatezza, intesa come «diritto alla non intromissione da parte del potere pubblico e di soggetti privati nella sfera individual della persona”.
Ogni misura, per dirsi proporzionata all’obiettivo da perseguire, richiede che l’interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i diverge
interessi in gioco (Corte Edu 13 ottobre 2015, RAGIONE_SOCIALE Bulgaria).
Dunque, solo valorizzando l’onere nnotivazionalle è possibile, come sottolineato dalla più attenta dottrina, tenere “sotto controllo” l’intervento penale quanto al rapporto co le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti, quali la proprietà e la lib iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art.1 del Pri protocollo addizionale alla Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte Edu.
La motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all’accertamento penale diventa, allora, requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro, per su vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni, si mantenga nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità (così testualmente Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, COGNOME, in motivazione) ed al principio di proporzione.
Il giudice non solo deve motivare sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato ricorrendo ad altri e meno invasivi strumenti cautelari, ma deve modulare il sequestro – quando ciò sia possibile – in maniera tale da non compromettere la funzionalità del bene sottoposto al vincolo reale, anche oltre le effettive necessit dettate dalla esigenza che si intende neutralizzare; il giudice cioè deve conformare il vincolo in modo tale da non arrecare un inutile sacrificio di diritti, il cui esercizio di non pregiudicherebbe la finalità probatoria/cautelare perseguita (sul tema, anche Corte Cost., n. 85 del 2013).
Ciò che è richiesto è una delicata operazione di bilanciamento in cui la valutazione attiene alla peculiarità del caso concreto, alla ragionevolezza della soluzione, della proporzione, al bilanciamento tra valori, all’equità.
Su detti temi obiettivamente nulla è stato chiarito; un’ordinanza, quella impugnata, con cui non è stata fatta corretta applicazione della legge nemmeno quanto al tema delle garanzie che la selezione dei dati informatici avvenga in tempi congrui.
Ne consegue che il provvedimento impugnato deve essere annullato.
Il Tribunale in sede di rinvio, verificherà innanzitutto la sua competenza, e, posto che esista la competenza, applicherà i principi indicati e spiegherà se e in che limiti s legittimo il sequestro probatorio per cui si procede.
I residui motivi sono assorbiti.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Pescara, competente ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2024.