Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21249 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21249 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Pagani (SA) il 08/03/1974
avverso l’ordinanza del 25/11/2024 del Tribunale di Salerno;
letti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette la memoria e le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocato COGNOME
Cacciatore, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME indagato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno per i delitti di turbata libertà degli incanti e turbata libertà procedimento di scelta del contraente (artt. 353 e 353-bis, cod. pen.), affida al proprio difensore l’impugnazione dell’ordinanza di quel Tribunale in epigrafe
indicata, che ha respinto la sua istanza di riesame avverso il decreto di sequestro emesso dal Pubblico ministero il 15 ottobre 2024, avente per oggetto i dispositivi elettronici nella sua disponibilità, segnatamente un computer portatile e tre smartphone.
Con un unico ma articolato motivo, il ricorso denuncia violazione di legge e vizi della motivazione resa dal Tribunale, essenzialmente su tre profili.
2.1. Il primo è costituito dalla mera apparenza della motivazione in punto di “fumus commissi delicti”, per non avere il Tribunale risposto alle puntuali censure contenute nella memoria difensiva depositatagli: le quali, con riferimento ai due dei tre appalti oggetto d’indagini, dimostrerebbero l’insussistenza dei reati (in quanto, in un caso, la gara non sarebbe stata mai bandita e, nell’altro, non si sarebbe proceduto ai subappalti, presunto oggetto dei patti illeciti tra gli indagati); mentre, alla restante procedura, il ricorrente sarebbe del tutto estraneo, come del resto esplicitato dal Pubblico ministero in udienza e riportato nell’ordinanza.
E, per ciascuna di tali vicende, il ricorso ripropone quelle osservazioni critiche, confutando le differenti valutazioni del materiale probatorio presenti contenute nell’ordinanza.
Deduce, inoltre, l’assenza di motivazione sulla idoneità delle condotte accertate ad influenzare le gare, in essere o da indire, e quindi a realizzare la minaccia concreta al bene-interesse della libera concorrenza, a tutela del quale sono poste le ipotizzate fattispecie incriminatrici.
2.2. In secondo luogo, si censura l’esecuzione del sequestro e, in particolare, l’ablazione dei predetti dispositivi informatici senza la previa ispezione dei medesimi, pur disposta dal Pubblico ministero nel relativo decreto, e quindi senza che siano state accertate la pertinenza degli stessi ai reati oggetto d’indagine e la necessità della loro apprensione (diversamente da quanto avvenuto per il computer rinvenuto nell’ufficio del ricorrente, che è stato esaminato sul posto e non sequestrato, in quanto ritenuto privo d’interesse investigativo).
Anche su questo punto, si lamenta la mancata risposta del Tribunale.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per il rigetto del ricorso.
Ha depositato memoria di replica con conclusioni scritte la difesa ricorrente, con cui ribadisce gli argomenti del ricorso, rimarcando ancora l’estraneità dell’indagato ad una delle procedure, l’avvenuto esaurimento di un’altra già da tempo prima delle conversazioni intercettate e valorizzate dall’ordinanza ed il mancato avvio della terza. Sottolinea, poi, nuovamente, che, nella sua qualità di
delegato del Presidente della giunta regionale della Regione Campania per i tavoli e le riunioni tecniche in materia di infrastrutture e trasporti, COGNOME, a differenza di quanto ritenuto dall’accusa, avesse titolo ad interloquire con i soggetti variamente interessati a quegli appalti. Censura, infine, il riferimento agli svilupp investigativi che hanno successivamente condotto all’adozione di ulteriori sequestri anche in relazione a delitti associativi, operato dal Procuratore generale nella sua requisitoria, poiché del tutto inconferente e relativo a fatti estranei all presente procedura incidentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i motivi di ricorso sono quanto meno infondati, se non proprio inammissibili.
Il primo, infatti, rassegna essenzialmente censure di merito o, al più, vizi della motivazione, in una materia – come quella dei sequestri – nella quale il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge (art. 325, cod. proc. pen.).
Le doglianze difensive, infatti, riguardano essenzialmente il coinvolgimento del ricorrente nei fatti di reato per cui si procede, ma il sequestro può attingere beni anche non appartenenti ad indagati e, dunque, a maggior ragione, a soggetti indagati ancorché, in ipotesi, non raggiunti da un quadro di gravità indiziaria, purché l’apprensione della res sia giustificata da concrete esigenze investigative non altrimenti tutelabili, che qui sono indiscutibili, visti gli assidui ed opac contatti del ricorrente con gli altri indagati, compiutamente illustrati nell’ordinanza
Quanto, poi, alla seconda doglianza, in tema di pertinenza all’indagine delle cose apprese in esecuzione del decreto di sequestro, correttamente il Tribunale ha rilevato che il riesame è funzionale al controllo di tale provvedimento, ma non può riguardare la relativa fase esecutiva. Difatti, oggetto della richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro probatorio, ai sensi dell’art. 257, cod. proc. pen., non può essere l’esecuzione del sequestro, ma solo il decreto del Pubblico Ministero che lo dispone; pertanto, nell’ipotesi in cui la polizia delegata abbia eseguito in quantità eccedenti quanto indicato nel provvedimento o con modalità per altro verso illegittime un sequestro probatorio disposto dal Pubblico Ministero, è possibile chiedere a quest’ultimo la restituzione delle cose sequestrate in eccesso, e, contro il relativo provvedimento, si può proporre opposizione davanti al giudice, ai sensi dell’art. 263, commi 4 e 5, cod. proc. pen. (così, tra molte, Sez. 3, n. 20912 del 25/01/2017, COGNOME, Rv. 270126).
4. Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del proponente al pagamento delle spese di giudizio (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.