Sequestro Probatorio: Quando è Legittimo Anche con Prove di Scarsa Qualità?
La validità di un sequestro probatorio basato su elementi d’indagine incerti, come un filmato di videosorveglianza di bassa qualità, è spesso oggetto di dibattito nelle aule di giustizia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4797/2024) ha fornito un chiarimento fondamentale su questo tema, stabilendo un principio chiave: l’incertezza della prova non solo non inficia la legittimità del sequestro, ma può addirittura rafforzarne la necessità come strumento di indagine. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da un’indagine per il reato di tentata estorsione. Un individuo era stato sottoposto a indagini in quanto sospettato di aver lasciato una busta contenente un proiettile sul parabrezza dell’auto della persona offesa. Le indagini si basavano, tra l’altro, su un filmato estrapolato da telecamere di sorveglianza che riprendeva l’autore del gesto.
In esecuzione di un decreto del Pubblico Ministero, veniva eseguita una perquisizione presso l’abitazione dell’indagato, durante la quale veniva rinvenuto e sottoposto a sequestro probatorio un giubbotto. L’ipotesi degli inquirenti era che tale indumento corrispondesse a quello indossato dalla persona ripresa nel video. L’indagato, tramite il suo difensore, impugnava il provvedimento davanti al Tribunale del Riesame, che tuttavia rigettava la richiesta, confermando la legittimità del sequestro.
Il Ricorso in Cassazione e le Ragioni della Difesa
Contro la decisione del Tribunale, l’indagato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una “totale mancanza della motivazione” dell’ordinanza. La difesa metteva in dubbio due aspetti principali:
1. La corrispondenza dell’indumento: A causa della scarsa nitidezza delle immagini video, non era possibile stabilire con certezza che il giubbotto sequestrato fosse lo stesso indossato dall’autore del reato.
2. La rilevanza probatoria: Di conseguenza, si contestava l’utilità stessa del sequestro ai fini dell’accertamento dei fatti.
In sostanza, secondo la tesi difensiva, un elemento di prova così debole e incerto non poteva giustificare una misura invasiva come il sequestro di un bene personale.
L’Analisi del Sequestro Probatorio Secondo la Corte
La Corte di Cassazione ha respinto completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. Il ragionamento dei giudici ribalta la prospettiva della difesa: la scarsa qualità dell’immagine non è un motivo per invalidare il sequestro probatorio, ma è esattamente la ragione che ne giustifica e ne rafforza la legittimità.
Il decreto di sequestro originario, infatti, indicava chiaramente la finalità dell’atto: ricercare e sequestrare capi di abbigliamento per verificare se corrispondessero a quelli indossati dalla persona nel filmato. Lo scopo del sequestro non è quello di basarsi su certezze già acquisite, ma proprio quello di dissipare i dubbi e accertare i fatti.
Le motivazioni della decisione
La motivazione della sentenza si fonda su un principio logico e procedurale ineccepibile. Il Tribunale ha correttamente osservato che le incertezze sulla corrispondenza tra il giubbotto ripreso e quello sequestrato possono essere superate o confermate proprio attraverso un’indagine tecnica più approfondita sull’oggetto in sequestro. Senza la disponibilità materiale del bene, tale accertamento sarebbe impossibile.
Pertanto, il sequestro probatorio si configura come lo strumento indispensabile per consentire quegli approfondimenti (perizie, analisi comparative, etc.) necessari a trasformare un semplice sospetto in una prova o, al contrario, a scagionare l’indagato. La motivazione del provvedimento, dunque, non era affatto mancante, ma era intrinseca alla finalità stessa dell’atto di indagine: l’accertamento della verità processuale.
Le conclusioni
La Corte di Cassazione, con questa pronuncia, ribadisce un principio fondamentale in materia di procedura penale: un sequestro probatorio è legittimo quando è funzionale alla raccolta di elementi utili per l’accertamento dei fatti. La presenza di dubbi o di prove iniziali di scarsa qualità non costituisce un ostacolo, ma anzi rappresenta la premessa logica che rende necessario il sequestro. L’atto serve proprio a superare tali incertezze. La decisione ha comportato per il ricorrente, oltre alla conferma del sequestro, anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a sottolineare l’evidente infondatezza del ricorso proposto.
Un’immagine video di scarsa qualità può giustificare un sequestro probatorio?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la scarsa qualità di un’immagine non solo non invalida il sequestro, ma può renderlo ancora più necessario per consentire indagini tecniche approfondite sull’oggetto sequestrato e verificare la sua corrispondenza con quanto ripreso.
Qual è lo scopo principale di un sequestro probatorio in un caso come questo?
Lo scopo è l’accertamento dei fatti. Il sequestro serve a raccogliere prove materiali (in questo caso, un giubbotto) per confermare o smentire le ipotesi investigative, come l’identificazione dell’autore di un reato.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4797 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4797 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TAVANTI LUISITO GLYPH
nato a SINALUNGA il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 13/09/2023 del TRIBUNALE DI AREZZO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto la inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 13 settembre 2023 il Tribunale di Arezzo rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME, sottoposto a indagini per il reato di tentata estorsione, avverso il sequestro probatorio di un
giubbotto rinvenuto all’interno della sua abitazione, ove era stata eseguita una perquisizione, in esecuzione del decreto emesso dal Pubblico ministero.
Ha proposto ricorso l’indagato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza “per totale mancanza della motivazione”: in sede di riesame il difensore aveva messo in dubbio, data la scarsa nitidezza dell’immagine, la corrispondenza del giubbotto visibile nel filmato estrapolato dalle telecamere (che avevano ripreso l’uomo che aveva lasciato la busta contenente un proiettile sul parabrezza dell’autovettura della persona offesa) con quello sequestrato e aveva altresì contestato la rilevanza del sequestro a fini probatori.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte, alle quali ha replicato il difensore del ricorrente.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con un motivo manifestamente infondato.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la motivazione dell’ordinanza non è affatto mancante.
Il Tribunale ha osservato che il decreto di sequestro emesso dal Pubblico ministero indicava specificamente la necessità di ricercare e sequestrare capi di abbigliamento presso l’abitazione di COGNOME, indiziato di essere l’autore del reato sulla base delle dichiarazioni del denunciante, al fine di verificare se nella sua abitazione vi fossero capi quali quelli indossati dall’uomo ripreso nell’atto di lasciare la busta contenente un proiettile.
Nel decreto, dunque, si dava conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti; la circostanza segnalata dalla difesa circa la scarsa qualità dell’immagine rende ancora più evidente la legittimità dell’atto contestato, posto che proprio attraverso una più approfondita indagine di tipo tecnico le incertezze circa la corrispondenza del giubbotto di COGNOME con quello indossato dall’uomo ripreso dalle telecamere potrebbero essere superate ovvero confermate.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15/01/2024.