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Sequestro probatorio: interesse a ricorrere sui dati

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di sequestro probatorio di un cellulare. Nonostante il dispositivo fosse stato restituito, la Procura aveva trattenuto una copia forense dei dati. La Corte ha stabilito che, per impugnare la ritenzione della copia, l’interessato deve dimostrare un interesse concreto e attuale alla restituzione, non essendo sufficiente una generica lamentela sulla violazione della privacy.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Probatorio e Dati Digitali: L’Interesse a Ricorrere Oltre la Restituzione

Il sequestro probatorio di dispositivi elettronici come smartphone e computer è uno strumento investigativo sempre più comune. Ma cosa succede quando il dispositivo fisico viene restituito all’avente diritto, ma l’autorità giudiziaria ne trattiene una copia forense completa dei dati? Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale (Sent. n. 5184/2024) affronta proprio questo tema, delineando i confini dell’interesse ad agire dell’indagato.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’indagine per reati contro l’ordine pubblico, scaturiti da violenze avvenute durante i festeggiamenti per un evento sportivo. Nel corso delle indagini, veniva disposta una perquisizione domiciliare a carico di un soggetto, con conseguente sequestro probatorio del suo telefono cellulare.

L’indagato proponeva istanza di riesame avverso il provvedimento, che veniva però respinta dal Tribunale. Successivamente, in data 24 agosto 2023, il cellulare veniva restituito al proprietario. Tuttavia, l’autorità inquirente aveva provveduto a estrarre e trattenere una copia integrale dei dati informatici presenti sul dispositivo.

Nonostante la restituzione del bene fisico, l’indagato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo di avere ancora interesse a contestare la legittimità del sequestro originario, con specifico riferimento alla copia dei dati ancora in possesso della Procura.

Le Argomentazioni del Ricorrente

Il ricorrente basava la sua impugnazione su diversi punti, tra cui:

1. Violazione di legge per omessa valutazione del fumus commissi delicti: Si lamentava la mancanza di solidi indizi di colpevolezza che potessero giustificare una misura così invasiva.
2. Violazione dell’onere di motivazione: Il decreto di sequestro era ritenuto generico e non specificava le finalità probatorie concrete che si intendevano perseguire.
3. Violazione del principio di proporzionalità: L’acquisizione massiva e non selettiva di tutti i dati informatici veniva considerata sproporzionata e meramente esplorativa, in assenza di criteri specifici per la ricerca delle prove.

Il punto cruciale, però, era l’affermazione di un persistente interesse ad agire, fondato sulla lesione del diritto alla riservatezza causata dal possesso, da parte della Procura, di una copia dei suoi dati sensibili.

La Valutazione del Sequestro Probatorio: le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione, pur riconoscendo la linea giurisprudenziale secondo cui l’interesse a impugnare un sequestro informatico può sopravvivere alla restituzione del supporto fisico se ne viene trattenuta una copia (come stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 40963 del 2017), ha dichiarato il ricorso inammissibile per carenza di interesse.

Il fulcro della motivazione risiede nella distinzione tra un interesse generico e un “interesse concreto ed attuale”. Secondo la Corte, non è sufficiente invocare in modo astratto il diritto alla privacy o alla riservatezza dei propri dati. Per poter legittimamente contestare la ritenzione della copia forense, l’interessato deve dimostrare in modo specifico e puntuale perché la disponibilità esclusiva di quei dati sia per lui essenziale.

La Corte ha specificato che l’istante deve allegare “elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari conseguenti alla indisponibilità delle informazioni”. Questo interesse concreto può derivare, ad esempio, da ragioni connesse a diritti di concorrenza, a specifiche attività professionali o ad altre situazioni particolari che rendano necessaria la disponibilità esclusiva dei dati.

Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a lamentare un accesso indiscriminato ai suoi dati sensibili in un’ottica “esclusivamente esplorativa”, senza però esplicitare quale pregiudizio concreto e attuale derivasse da tale situazione. Questa argomentazione è stata ritenuta troppo generica e, di fatto, apparente. Il diritto alla riservatezza, sebbene costituzionalmente protetto, è recessivo rispetto alle esigenze investigative, nei limiti previsti dalla legge.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di impugnazioni cautelari reali: l’interesse a ricorrere non può essere presunto o astratto, ma deve essere ancorato a una situazione fattuale specifica, concreta e attuale. Quando si contesta la ritenzione di una copia forense di dati digitali dopo la restituzione del dispositivo, non basta più lamentare la violazione della privacy. È necessario spiegare al giudice perché quella specifica mole di dati è cruciale per la propria vita personale, professionale o economica, e in che modo la sua mancata disponibilità esclusiva provoca un danno tangibile. In assenza di tale dimostrazione, il ricorso è destinato all’inammissibilità.

È possibile impugnare un sequestro probatorio dopo che il bene (es. un cellulare) è stato restituito?
Sì, è possibile impugnare l’ordinanza se, nonostante la restituzione del dispositivo fisico, l’autorità giudiziaria ha trattenuto una copia forense dei dati in esso contenuti.

Quale condizione è necessaria per poter ricorrere contro la ritenzione della copia dei dati?
È necessario dimostrare un “interesse concreto ed attuale” alla restituzione dei dati. Questo significa che il ricorrente deve spiegare specificamente perché la disponibilità esclusiva di quelle informazioni è fondamentale, ad esempio per la lesione di interessi primari, diritti di concorrenza o specifiche attività.

Invocare genericamente il diritto alla privacy è sufficiente per giustificare l’interesse a ricorrere?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una generica allegazione sulla violazione della privacy non è sufficiente. L’interesse deve essere specifico, oggettivamente valutabile e basato su elementi concreti che dimostrino un pregiudizio effettivo derivante dalla mancata disponibilità esclusiva dei dati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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