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Sequestro probatorio di dati: quando è legittimo?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il mantenimento di un sequestro probatorio su una vasta mole di dati informatici (4 Terabyte). La Corte ha ritenuto congrua la motivazione del giudice, basata sulla complessità delle indagini e sulla necessità di analizzare i dati, ribadendo che l’appello non può contestare la legittimità originaria del sequestro, ma solo la sua attuale necessità probatoria.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro probatorio di dati: la Cassazione traccia i confini

Nell’era digitale, il sequestro probatorio di dati informatici è diventato uno strumento investigativo fondamentale. Tuttavia, quando si tratta di enormi quantità di dati, come si bilancia l’esigenza di giustizia con i diritti degli indagati? Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti e le condizioni per mantenere un sequestro su dispositivi elettronici, sottolineando l’importanza del principio di proporzionalità.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un’indagine complessa per reati di frode e reati fiscali, che ha portato al sequestro di numerosi dispositivi informatici appartenenti a due associazioni e due persone fisiche. La quantità di dati sequestrati era imponente: circa 4 Terabyte. Gli indagati, dopo che il Pubblico Ministero aveva respinto la loro richiesta di restituzione dei dati, si sono opposti davanti al Giudice per le indagini preliminari (GIP).

Il GIP ha respinto l’opposizione, confermando la necessità di mantenere il sequestro. La decisione si basava su una nota della Guardia di Finanza che spiegava come l’analisi tecnica dei dati fosse ancora in corso a causa dell’enorme volume e della complessità delle operazioni. Contro questa decisione, gli indagati hanno presentato ricorso in Cassazione, lamentando una motivazione carente e la violazione del principio di proporzionalità.

Il sequestro probatorio e i rimedi a disposizione

La Corte di Cassazione, prima di entrare nel merito, ha ribadito una distinzione procedurale cruciale. Esistono due modi principali per contestare un sequestro probatorio:

1. Il riesame: Si utilizza per contestare la legittimità originaria del sequestro, ovvero se esistevano fin dall’inizio i presupposti per disporlo (il cosiddetto fumus commissi delicti).
2. L’opposizione al rigetto di restituzione: Si utilizza per contestare la permanenza delle esigenze probatorie. In altre parole, si sostiene che, anche se il sequestro era inizialmente legittimo, non è più necessario mantenerlo perché le indagini sono concluse o i dati utili sono già stati estratti.

Nel caso in esame, i ricorrenti hanno utilizzato il secondo strumento, ma le loro argomentazioni sembravano mettere in discussione la legittimità generale del sequestro, un tema che avrebbero dovuto sollevare in sede di riesame.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili. La motivazione del GIP, secondo i giudici supremi, non era né assente né meramente apparente. Il giudice di merito aveva correttamente bilanciato le esigenze dell’accusa con i diritti della difesa, basando la sua decisione su elementi concreti:

* Vasto volume di dati: L’analisi di 4 Terabyte di dati richiede inevitabilmente un tempo considerevole.
* Complessità delle indagini: Le indagini coinvolgevano più soggetti e ipotesi di reato complesse, rendendo necessaria un’analisi approfondita.
* Analisi tecnica in corso: La Guardia di Finanza aveva specificato che le operazioni tecniche erano in pieno svolgimento e sarebbero state completate nel più breve tempo possibile.

La Cassazione ha sottolineato che il sequestro probatorio di dati digitali deve rispettare il principio di proporzionalità. Il PM deve motivare perché è necessario un sequestro così esteso, specificare i criteri di ricerca e i tempi previsti per la selezione dei dati rilevanti. Tuttavia, la durata di queste operazioni deve essere valutata in base alle difficoltà tecniche, che possono aumentare se l’indagato non collabora (ad esempio, non fornendo le password).

Nel caso specifico, i ricorrenti si sono limitati a lamentare la durata del sequestro in modo generico, senza fornire elementi concreti per dimostrare che il mantenimento del vincolo fosse diventato sproporzionato o per agevolare una più rapida estrazione dei dati.

Le conclusioni: cosa insegna questa sentenza

La decisione della Cassazione offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, ribadisce la netta distinzione tra gli strumenti a disposizione per contestare un sequestro: il riesame per la legittimità iniziale, l’opposizione per la necessità attuale. Confondere i due piani porta all’inammissibilità del ricorso.

In secondo luogo, chiarisce che, di fronte a un sequestro probatorio di una grande mole di dati, non è sufficiente lamentare la durata delle operazioni per ottenerne la restituzione. È necessario argomentare in modo specifico perché il vincolo non è più necessario o è diventato sproporzionato rispetto alle finalità investigative. La complessità del caso e il volume dei dati sono fattori che giustificano una maggiore durata delle analisi tecniche, a condizione che l’autorità giudiziaria fornisca una motivazione adeguata e non meramente apparente, come avvenuto in questo caso.

Quando si può chiedere la restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio?
Secondo la legge (art. 262 cod.proc.pen.), la restituzione può essere chiesta quando il mantenimento del sequestro non è più necessario a fini di prova.

Qual è la differenza tra riesame e opposizione al rigetto di restituzione in un sequestro probatorio?
Il riesame serve a contestare la legittimità originaria del provvedimento di sequestro (se c’erano i presupposti per emetterlo). L’opposizione al rigetto di restituzione, invece, contesta la necessità attuale di mantenere il sequestro, sostenendo che le esigenze probatorie sono venute meno.

Perché la Corte ha ritenuto legittimo mantenere il sequestro di una grande mole di dati?
La Corte ha ritenuto che la motivazione del giudice fosse adeguata, in quanto basata su elementi concreti come l’enorme quantità di dati (4 Terabyte), la complessità delle indagini in corso e la difficoltà oggettiva di completare l’analisi tecnica in tempi brevi. Il mantenimento del vincolo è stato quindi giudicato proporzionato alle finalità investigative.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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