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Sequestro preventivo terzo: la prova della titolarità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di tre sorelle che rivendicavano la proprietà di un immobile sottoposto a sequestro preventivo. La decisione si fonda sul principio che, nel caso di sequestro preventivo terzo, la prova cruciale non è la titolarità formale del bene, ma la sua effettiva e concreta disponibilità da parte dell’indagato. Il ricorso è stato respinto perché le proprietarie non hanno superato la presunzione di disponibilità del bene in capo all’indagato, la cui ingerenza nella gestione era provata da intercettazioni e messaggi.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Terzo: Quando la Proprietà Formale Non Basta

Il tema del sequestro preventivo terzo rappresenta un delicato punto di incontro tra la necessità di reprimere i reati e la tutela del diritto di proprietà di soggetti estranei ai fatti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4755/2024) ha ribadito un principio fondamentale: di fronte a un sequestro, la semplice intestazione formale di un bene non è sufficiente a ottenerne la restituzione se le prove dimostrano che la disponibilità effettiva era in capo all’indagato. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Proprietà Formale vs. Disponibilità Effettiva

Il caso riguarda un immobile di pregio, formalmente di proprietà di tre sorelle, pervenuto loro per successione ereditaria dalla madre, deceduta senza testamento. Tale immobile era stato oggetto di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca nell’ambito di un procedimento penale a carico di un soggetto terzo, ex coniuge della figlia di una delle proprietarie.

Le tre sorelle, ritenendosi terze estranee al reato, avevano chiesto la revoca del sequestro e la restituzione del bene, sostenendo che la loro proprietà fosse legittima e che l’immobile fosse abitato dalla loro parente (figlia e nipote) in virtù dei legami familiari, e non perché fosse nella disponibilità del suo ex coniuge indagato.

Tuttavia, sia il Tribunale del Riesame prima, sia la Corte di Cassazione poi, hanno rigettato le loro istanze, basandosi su prove che dimostravano una realtà ben diversa da quella formale.

La Decisione della Corte sui Limiti del Sequestro Preventivo Terzo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso delle sorelle inammissibile. Il punto centrale della decisione non è stato contestare la loro titolarità formale derivante dalla successione, ma stabilire i limiti dell’impugnazione per il terzo proprietario.

Secondo la Corte, il terzo che afferma di avere diritto alla restituzione del bene sequestrato non può contestare i presupposti della misura cautelare (cioè l’esistenza del reato per cui si procede). Può, invece, dedurre unicamente due elementi:
1. La propria effettiva titolarità o disponibilità del bene.
2. L’inesistenza di un proprio contributo, anche colposo, al reato attribuito all’indagato.

In questo caso, le ricorrenti non sono riuscite a superare il primo punto, poiché le prove raccolte dimostravano una disponibilità concreta e di fatto dell’immobile da parte dell’indagato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale del Riesame completa, logica e priva di vizi. Le prove decisive provenivano da intercettazioni telefoniche, messaggi WhatsApp e documentazione rinvenuta nell’ufficio dell’indagato. Da questi elementi emergeva chiaramente che era l’indagato a gestire direttamente l’immobile, occupandosi persino degli affitti e parlandone come se fosse ‘cosa sua’, commentando annunci di vendita su portali online. Questa gestione avveniva senza alcuna ingerenza o autorizzazione da parte delle formali proprietarie.

Di conseguenza, il Tribunale ha concluso che l’intestazione originaria dell’immobile alla madre delle ricorrenti era fittizia e che la disponibilità reale era sempre stata dell’indagato. In tale scenario, anche la successiva vicenda ereditaria perde di rilevanza. La Corte ha sottolineato che il ricorso delle sorelle era una mera riproposizione dei motivi d’appello, senza confrontarsi efficacemente con le solide argomentazioni del provvedimento impugnato, rendendolo così inammissibile.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale in materia di misure cautelari reali: la giustizia guarda alla sostanza più che alla forma. La ‘disponibilità’ di un bene, intesa come potere di fatto e controllo concreto, prevale sulla titolarità giuridica formale quando quest’ultima appare come uno schermo. Per il terzo proprietario che voglia ottenere la restituzione di un bene sequestrato, l’onere della prova è molto stringente: non basta esibire un atto di proprietà, ma è necessario dimostrare che tale titolarità corrisponde a un effettivo e reale dominio sul bene, escludendo ogni ingerenza da parte dell’indagato.

Cosa può contestare un terzo proprietario quando un suo bene viene sottoposto a sequestro preventivo?
Un terzo proprietario non può contestare i presupposti del sequestro legati al reato, ma può solo chiedere la restituzione del bene dimostrando la propria effettiva titolarità o disponibilità e l’assenza di qualsiasi contributo, anche involontario, al reato commesso dall’indagato.

Nel sequestro preventivo, conta di più la proprietà formale o il controllo effettivo del bene?
La sentenza chiarisce che il controllo effettivo e la disponibilità concreta (‘di fatto’) del bene da parte dell’indagato prevalgono sulla proprietà formale. Se l’intestazione risulta essere fittizia, essa non è sufficiente a ottenere la restituzione del bene.

Perché il ricorso delle proprietarie è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava violazioni di legge, ma si limitava a riproporre argomentazioni di fatto già esaminate e respinte dal Tribunale del Riesame. La Corte di Cassazione ha ritenuto che le motivazioni del Tribunale fossero logiche, complete e basate su prove concrete (intercettazioni, messaggi) che dimostravano la disponibilità del bene in capo all’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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