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Sequestro preventivo: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro un sequestro preventivo su un portafoglio di criptovalute. L’indagato era sospettato di essere coinvolto in un traffico di banconote false. La Corte ha stabilito che il ricorso mirava a una nuova valutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità, confermando che la motivazione del tribunale del riesame sul ‘fumus commissi delicti’ era logica e sufficiente.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo di Criptovalute: I Limiti del Ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2538/2024, ha offerto importanti chiarimenti sui limiti di impugnazione di un provvedimento di sequestro preventivo, specialmente in contesti moderni che coinvolgono criptovalute e il dark web. La decisione sottolinea come il ricorso in sede di legittimità non possa trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti, ma debba limitarsi alla sola ‘violazione di legge’.

Il Contesto: Il Sequestro di un Wallet di Criptovalute

Il caso trae origine da un’indagine su un presunto commercio di banconote false condotto sul dark web. Secondo l’accusa, un soggetto, insieme ad altri complici, avrebbe venduto denaro contraffatto ricevendo i pagamenti in bitcoin su un ‘wallet’ digitale. Sulla base di questi elementi, il Giudice per le Indagini Preliminari disponeva il sequestro preventivo delle somme presenti nel portafoglio elettronico. Il Tribunale del Riesame confermava successivamente la misura cautelare, ritenendo sussistente il cosiddetto fumus commissi delicti, ovvero la verosimile esistenza del reato.

I Motivi del Ricorso: Una Difesa a Tutto Tondo

L’indagato proponeva ricorso per cassazione, basando la sua difesa su due argomenti principali:

1. Insussistenza del fumus: Il ricorrente sosteneva la mancanza di prove concrete del suo coinvolgimento diretto nell’attività illecita. A suo dire, i fondi sequestrati non erano il provento del reato, ma risparmi di famiglia affidatigli dai genitori. L’uso di un nome falso per gestire il wallet e i contatti con gli altri indagati sarebbero stati, secondo la difesa, relativi ad altre vicende e non pertinenti all’accusa.

2. Mancanza del nesso di pertinenzialità: Veniva contestato il legame tra il denaro sequestrato e il reato ipotizzato, ribadendo la provenienza lecita delle somme.

Limiti del Ricorso contro il Sequestro Preventivo

La Corte di Cassazione ha immediatamente chiarito un punto procedurale fondamentale. Ai sensi dell’art. 325 del codice di procedura penale, il ricorso contro le ordinanze in materia di sequestro è ammesso solo per ‘violazione di legge’. La giurisprudenza consolidata, richiamata nella sentenza, specifica che in questa nozione rientrano non solo gli errori di diritto, ma anche i vizi di motivazione talmente gravi da renderla inesistente, illogica o contraddittoria, al punto da non permettere di comprendere il ragionamento del giudice.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che le censure mosse dall’indagato non configurassero una reale ‘violazione di legge’, ma rappresentassero un tentativo di ottenere un nuovo e non consentito esame del merito della vicenda. Il ricorrente, infatti, non contestava l’illogicità del ragionamento del Tribunale del Riesame, ma ne criticava le conclusioni, proponendo una lettura alternativa delle prove.

Il Tribunale del Riesame, secondo la Cassazione, aveva fornito una motivazione logica e coerente, basata su specifici elementi:

* Il ritrovamento, durante la perquisizione, delle credenziali di accesso al wallet in possesso dell’indagato.
* L’utilizzo di un nome falso sull’account, circostanza ritenuta priva di giustificazione se i fondi fossero stati semplici risparmi di famiglia.
* La commistione nel wallet tra i presunti risparmi e altre risorse proprie del ricorrente.
* I numerosi messaggi scambiati con gli altri indagati, che confermavano l’esistenza di contatti tra loro.

Questi elementi, nel loro insieme, costituivano un apparato giustificativo idoneo a sostenere l’esistenza del fumus commissi delicti e a legittimare il sequestro preventivo.

Le Conclusioni della Suprema Corte

In conclusione, la Corte di Cassazione ha ribadito che il giudizio di legittimità non può essere utilizzato per contestare l’apprezzamento dei fatti operato dai giudici di merito. Un ricorso contro un sequestro preventivo è destinato all’insuccesso se, pur lamentando formalmente una violazione di legge, si limita a contrapporre la propria valutazione delle prove a quella, logicamente argomentata, del tribunale. Per tali ragioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile contestare la valutazione delle prove in un ricorso per cassazione contro un sequestro preventivo?
No, il ricorso per cassazione avverso un’ordinanza in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge. Non è possibile utilizzarlo per contestare la valutazione dei fatti e delle prove operata dal giudice del riesame, proponendo una lettura alternativa degli elementi raccolti.

Cosa si intende per ‘violazione di legge’ come unico motivo di ricorso in questo contesto?
Per ‘violazione di legge’ si intendono non solo gli errori nell’applicazione delle norme di diritto (errores in iudicando o in procedendo), ma anche i vizi della motivazione così radicali da renderla mancante, del tutto apparente o talmente illogica da non rendere comprensibile l’iter decisionale seguito dal giudice.

Quali elementi ha considerato il Tribunale per ritenere sussistente il ‘fumus commissi delicti’ nel caso di specie?
Il Tribunale ha ritenuto sussistente la parvenza di reato sulla base di una serie di indizi: il possesso da parte dell’indagato delle credenziali di accesso al wallet, l’uso di un nome falso per gestire l’account, la commistione di fondi di presunta origine lecita con altre risorse, e i numerosi messaggi scambiati con gli altri coindagati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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