Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2538 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2538 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a RIMINI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/08/2023 del TRIB. LIBERTA’ di FORLI’
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Procuratore Generale conclude per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’8 agosto 2023 il Tribunale del riesame di Forlì, rigettando la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso nei confronti di quest’ultimo dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Forlì il 5 luglio 2023, sequestro che avuto ad oggetto somme di denaro depositate in un “wallet” di criptovalute “bitcoin”.
Secondo l’ipotesi accusatoria, della quale il Tribunale del riesame e prima ancora il Giudice per le indagini preliminari hanno ritenuto la sussistenza del fumus commissi delicti, il COGNOME insieme ad altri soggetti sarebbe stato coinvolto in un commercio di banconote false, condotto sotto falso nome nel dark web, i cui corrispettivi venivano versati in criptovalute.
Ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, articolando due motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pe
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e travisamento della prova con riferimento alla sussistenza del fumus: non vi sarebbe in atti alcuna prova della gestione diretta, da parte del COGNOME, dell’affare illecito che sarebbe stato invece gestito dagli altri coimputati. L’utilizzo di un nome falso (“NOME COGNOME“) da parte del ricorrente sarebbe questione ultronea rispetto all’accusa. Non vi sarebbe la prova che i denari versati nel “wallet” fossero il provento della vendita di banconote falsificate, mentre i contatti tra il sedicente NOME COGNOME e il coindagato NOME sarebbero relativi ad altra vicenda. Il Tribunale non avrebbe dato credito alle dichiarazioni dell’indagato COGNOME, che scagionerebbero il ricorrente.
Il “wallet” sarebbe di esclusiva pertinenza del COGNOME e della sua famiglia, che vi depositava i risparmi.
Da ultimo, il ricorrente deduce che il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari mancherebbe del requisito dell’autonoma valutazione degli elementi di prova, rispetto alla richiesta del pubblico ministero.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’omessa valutazione del nesso di pertinenzialità tra il denaro sequestrato e il reato contestato, posto che si sarebbe trattato di denaro di lecita provenienza conferito al COGNOME dai genitori, con l’incarico di depositarlo per loro conto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
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1. Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge (cfr. art. 325, comma 1, cod. proc. pen.), in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; nello stesso senso, ex multis, Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, COGNOME, Rv. 285189 e Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
2. Il ricorrente, anche laddove ha nominalmente evocato il vizio di violazione di legge (in uno con l’inammissibile deduzione di un vizio motivazionale), ha rivolto in realtà le proprie critiche alla valutazione degli elementi di prova operata dal Tribunale del COGNOME riesame, COGNOME valutazione che contesta, COGNOME inammissibilmente proponendone una diversa alla Corte di cassazione.
In ogni caso, il vizio di violazione di legge, sub specie di violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. (e prima ancora dell’art. 111, comma 6, Cost.), può essere ravvisato solo nel caso in cui la motivazione sia radicalmente omessa, cioè sia mancante o del tutto apparente ovvero radicalmente inidonea a consentire di comprendere l’itinerario logico seguito dal giudice.
Si tratta di un vizio certamente non ravvisabile nell’ordinanza impugnata, che è al contrario dotata di un apparato giustificativo idoneo e consente di seguire il ragionamento dell’organo giudicante, a partire dalle premesse cui corrispondono conclusioni logicamente plausibili.
Il Tribunale del riesame si è infatti confrontato con la versione difensiva, oggi meramente riproposta nel ricorso, ed ha giudicato sussistente il fumus commissi delicti considerando che: in occasione della perquisizione, al COGNOME sono state trovate le credenziali di accesso all’account che gestiva il wallet ove confluivano i proventi delle vendite di banconote false; su quell’account il COGNOME usava un nominativo falso, cosa che non avrebbe avuto ragione di fare se avesse dovuto semplicemente depositare e gestire i risparmi dei genitori, comunque asseritamente consegnatigli oltre due anni prima del sequestro, sicché si tratta comunque di risorse che si sono confuse con quelle proprie del ricorrente; il COGNOME ha scambiato numerosi messaggi con gli altri indagati, a conferma dei contatti tra loro.
Dunque, non già di motivazione carente si tratta, bensì di una motivazione reale ed in grado di spiegare il ragionamento del Tribunale del riesame,
semplicemente contestata dal ricorrente che propone, in modo non consentito, una diversa lettura degli atti.
E’ appena il caso di precisare, comunque, che la deduzione relativa alla omessa autonoma valutazione degli elementi di prova da parte del G.i.p. è inammissibile, oltre che per le già spiegate ragioni, anche perché del tutto inedita, non essendo stata prospettata al Tribunale del riesame.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 30/11/2023