Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27740 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27740 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE legalmente rappresentata da NOME COGNOME nato in Cina il 08/10/1979;
avverso l’ordinanza del 28/01/2025 del Tribunale di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
udito l’avvocato NOME COGNOME del foro di Milano, difensore di fiducia di RAGIONE_SOCIALE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 28 gennaio 2025, il Tribunale di Milano ha rigettato l’appello cautelare proposto da RAGIONE_SOCIALE legalmente rappresentata da NOME COGNOME avverso il decreto del Tribunale di Milano del 18/11/2024 che ha rigettato l’istanza di dissequestro e restituzione del magazzino in sequestro preventivo, autorizzando il dissequestro e la restituzione di beni in magazzino per un valore pari ad euro 2.100.000,00, previo versamento dell’importo predetto con le modalità indicate in seno al medesimo provvedimento.
Avverso l’indicata ordinanza, RAGIONE_SOCIALE legalmente rappresentata da NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, lamenta violazione degli artt. 322-bis e 125 cod. proc. pen. in relazione all’art. 325 cod. proc. pen., violazione di legge in ordine all’ammissibilità dell’appello e vizio di motivazione in ordine alla fondatezza dell’appello.
La difesa lamenta, innanzitutto, che la motivazione con la quale è stato rigettato l’appello perché l’appellante non avrebbe provato di essere l’unico proprietario dei beni oggetto di sequestro è apparente, essendo stato evidenziato nell’atto di appello a) che i reati commessi da Aigostar risalgono al 2021, mentre il sequestro è del 2024, b) che nel 2024 Aigostar non comprava e non vendeva più merce, c) che i beni vennero sequestrati ad Italia Market e non ad Aigostar, d) che il giorno successivo al sequestro RAGIONE_SOCIALE aveva fornito alla polizia giudiziaria l’inventario completo dei beni presenti nel magazzino, e) che fino a quando RAGIONE_SOCIALE aveva pagato nessun problema di titolarità dei beni e di arricchimenti senza causa ai danni di terzi si era posto.
Evidenzia la ricorrente come non sia in contestazione la proprietà dei beni, non essendoci state richieste di restituzione di altri soggetti, mentre i beni andrebbero restituiti alla società alla quale sono stati sottratti, vale a dire ad RAGIONE_SOCIALE che ne aveva la disponibilità.
2.2 Con il secondo motivo, deduce violazione degli artt. 322-bis e 125 cod. proc. pen. in relazione all’art. 325 cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla proporzionalità del sequestro.
Lamenta la ricorrente che, a fronte di circa quattro milioni di euro da cautelare rispetto ad una futura confisca, si tiene sotto vincolo 20 milioni di euro, così rischiando di far fallire una società sana (ovvero la RAGIONE_SOCIALE) in assenza di ragioni di cautela.
2.3 Con il terzo motivo, deduce violazione degli artt. 322-bis e 27 cod. proc: pen. in relazione all’art. 325 cod. proc. pen., violazione di legge, perdita di efficacia del sequestro.
Lamenta la difesa che, con il primo motivo di appello, era stata rilevata l’incompetenza del Tribunale monocratico ad emettere il decreto di sequestro e la successiva perdita di efficacia del provvedimento per mancata rinnovazionè da parte del Tribunale collegiale. Sostiene la difesa, al riguardo, che dell’incompetenza “per qualsiasi causa” disciplinata dall’art. 27 cod. proc. pen. dovrebbe essere data una lettura amplia ricomprendente anche casi simili a quello oggetto di giudizio. Aggiunge la difesa che la sede nella quale lamentare il vizio in questione era quella dell’appello cautelare, poiché la ricorrente, che è terzo, non partecipa alle udienze, ma si limita a presentare richieste ed impugnare i provvedimenti di rigetto sulle stesse.
2.4 Con il quarto motivo, deduce violazione dell’art. 322-bis in relazione all’art. 325 cod. proc. pen., violazione di legge, inammissibilità dell’impugnazione dell’ordine di vendita all’asta dei beni oggetto di sequestro.
Deduce la difesa che, con il settimo motivo di appello, era stato contestato l’ordine di procedere alla vendita della merce sequestrata, che tuttavia il Tribunale ha ritenuto questione attinente alla mera gestione del compendio sottoposto a vincolo e, pertanto, sottratta alla cognizione del Tribunale del riesame.
Sostiene la difesa trattarsi di violazione di legge, ricordando che, secondo giurisprudenza di legittimità, il provvedimento del giudice che ordina la vendita o la distruzione dei beni sottoposti a sequestro preventivo è impugnabile con l’appello.
• CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Iniziando dal primo motivo, deve essere ricordata la costante affermazione di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso per sola violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del
14/03/2017, Rv. 269656). Ed è stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e riter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893). Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Alla luce di tali principi, la motivazione resa dal provvedimento impugnato, quanto ai dati di fatto valorizzati e alle conclusioni da essi tratte, non risulta affatto apparente, avendo il Tribunale cautelare, adeguatamente e senza vizi logici, dato conto dei rapporti intercorrenti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE richiamando gli argomenti del provvedimento genetico, ovverosia a) l’utilizzo, da parte delle due società, della stessa sede, dello stesso compendio aziendale e della medesima piattaforma digitale di contabilizzazione, b) la cessione delle unità immobiliari dall’una all’altra società, prevedendo l’accollo del mutuo residuo e il pagamento del residuo prezzo senza prevedere alcuna clausola di salvaguardia, con transito dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE in Italia Market, c) a partire dall’anno di imposta 2021 RAGIONE_SOCIALE aveva progressivamente trasferito il proprio volume di affari in Italia Market, continuando ad operare dissimulando dal 01/01/2024 la propria attività attraverso l’utilizzo della Italia RAGIONE_SOCIALE, riconducibile anch’essa all’imputato NOME COGNOME; d) al momento della costituzione di RAGIONE_SOCIALE, nell’anno 2018, era intervenuto un dipendente di RAGIONE_SOCIALE, delegato con procura dal legale rappresentante della società costituenda, e) RAGIONE_SOCIALE era stata gradualmente utilizzata a copertura delle attività di RAGIONE_SOCIALE, operando anche sulla piattaforma Amazon, sfruttando il canale di vendite già riconducibile ad RAGIONE_SOCIALE. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Emerge, in definitiva, uno sviluppo argomentativo del provvedimento impugnato tale da far ritenere come il Tribunale non sia venuto meno all’obbligo di esaustiva verifica della perdurante legittimità del sequestro, richiamando il provvedimento cautelare genetico finalizzato anche alla confisca diretta e per equivalente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di persone fisiche e giuridiche interposte, quale in particolare la apparente cessionaria RAGIONE_SOCIALE e senza che quest’ultima fosse riuscita a dimostrare la piena ed esclusiva titolarità dei beni chiesti in restituzione, trattandosi di beni stoccati alla rinfusa all’interno del magazzino ed attesa la genericità della doglianza mossa.
In definitiva, alla luce delle valutazioni tipiche di questa fase, consegue la manifesta infondatezza delle censure mosse in ordine alla riconducibilità dei beni oggetto di sequestro ad Aigostar.
Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
3.1. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 4170 del 19/09/2024, dep. 2025, Pezzi, Rv. 287396; Sez. 2, n. 41861 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287165; Sez. 3, n. 23713 del 23/04/2024, COGNOME, Rv. 286439), cui il Collegio aderisce, «in tema di sequestro preventivo, il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene sequestrato non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene stesso e l’assenza di collegamento concorsuale con l’indagato» (Sez. 6, n. 24432 del 18/04/2019, COGNOME, Rv. 276278; Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016, COGNOME, Rv. 268070; Sez. 6, n. 34704 del 05/08/2016). E stato, infatti, osservato che la titolarità del bene afferisce al dato preliminare della legittimazione per proporre impugnazione e precede ogni eventuale ulteriore problematica riguardante il perimetro delle censure che il terzo, in tale qualità, può proporre, agendo per la restituzione di quanto in sequestro; si rileva inoltre, che, in mancanza di prova dell’effettiva titolarità del bene, ove pure venisse accolto il ricorso del terzo nella parte avente ad oggetto i presupposti della misura, la conseguenza sarebbe la revoca della confisca, ma con restituzione al soggetto ritenuto effettivo titolare del bene, sicché alcun risultato concretamente utile ne conseguirebbe per il terzo stesso (in tal senso, con specifico riferimento alla disciplina delle misure di prevenzione, Sez. 1, n. 35669 dell’11/05/2023, n.m.).
A ben vedere, tutti gli aspetti che concernono i presupposti applicativi della misura sono dunque estranei alla sfera soggettiva del terzo o preteso tale, sicché ammettere la possibilità di una contestazione di tali aspetti andrebbe a ledere il fondamentale principio secondo cui la legittimazione ad agire deve essere individuata in relazione alla titolarità del diritto oggetto del giudizio, non potendosi consentire una sorta di intervento ad adiuvandunn del terzo in favore del destinatario della misura (Sez. 3, n. 23713 del 23/04/2024, cit.).
3.2. Deve in ogni caso essere rilevata la genericità del secondo motivo di ricorso, incentrato sul difetto di proporzionalità, avendo il Tribunale cautelare rilevato che il sequestro, oltre ad avere’ una duplice finalità, perché innpeditivo e preordinato alla confisca, è stato posto in essere su una molteplicità di beni anche a fini di confisca, riferibili ad RAGIONE_SOCIALE, ad RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE, senza poterne attribuire con certezza la proprietà all’uno o all’altro di tali soggetti, in assenza di una puntuale contabilità di magazzino, e senza che RAGIONE_SOCIALE fosse riuscita a dimostrare la piena ed esclusiva titolarità dei beni chiesti in restituzione, trattandosi di beni stoccati alla rinfusa all’interno del magazzino ed essendo la richiesta di restituzione del tutto generica; consegue a cascata la genericità del quarto motivo di ricorso.
3.3. Infine, sul terzo motivo di ricorso, deve comunque essere ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito che, sul piano dei principi, il Tribunale è un ufficio unitario, nell’ambito del quale non possono configurarsi casi di conflitto (Sez. 1, n. 5725 del 28/01/2003, Aiello, Rv. 223440) ed ha altresì escluso che la ripartizione dei processi tra Tribunale monocratico e Tribunale collegiale possa dare luogo a questioni di competenza, escludendo, in particolare, anche l’applicabilità dell’art. 27 cod. proc. pen. nei rapporti fra Tribunale in composizione monocratica e Tribunale in composizione collegiale (Sez. 3, n. 18779 del 15/03/2012, Martino, Rv. 252642). E’ stato aggiunto in proposito che, mentre l’incompetenza nel dibattimento di primo grado è dichiarata con sentenza (art. 23 cod. proc. pen.), l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale dà luogo a un’ordinanza di trasmissione degli atti ad un diverso organo giudiziario (art. 33-septies cod. proc. pen.) e che, soprattutto, l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale non determina l’invalidità degli atti del procedimento, né l’inutilizzabilità delle prove già acquisite (art. 33-nonies cod. proc. pen.), così avvalorando la tesi che, rispetto ad ordinanza cautelare disposta dal Tribunale monocratico in luogo di quello collegiale, non ci sia ragione di applicare la disciplina stabilita dall’art. 27 cod. proc. pen. per il diverso caso in cui il provvedimento cautelare sia disposto da un giudice incompetente (Sez. 5, n. 21817 del 16/04/2004, COGNOME, Rv. 228104).
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 03/07/2025.