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Sequestro informatico: i limiti secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di sequestro informatico per reati finanziari. Un indagato aveva contestato la misura per presunta sproporzionalità e per vizi procedurali legati alla mancata trasmissione di atti al Tribunale del Riesame. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che il sequestro era legittimo perché circoscritto da parole chiave specifiche e che la mancata trasmissione di alcuni atti non invalida automaticamente la misura se la difesa non ne richiede formalmente l’acquisizione.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Informatico: La Cassazione definisce Proporzionalità e Termini

Nel contesto delle indagini penali moderne, il sequestro informatico di dispositivi come smartphone, computer e tablet è diventato uno strumento investigativo cruciale. Tuttavia, la sua applicazione deve bilanciare le esigenze di accertamento della verità con il rispetto dei diritti fondamentali dell’indagato, in particolare il diritto alla privacy. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10454/2024) offre importanti chiarimenti sui principi di proporzionalità e adeguatezza che devono guidare tali misure, nonché sugli oneri procedurali a carico della difesa in sede di riesame.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’indagine per un reato finanziario previsto dal Testo Unico della Finanza (TUF). La Procura della Repubblica disponeva un decreto di perquisizione informatica e sequestro nei confronti di un indagato, avente ad oggetto documentazione e dispositivi elettronici. Il Tribunale del Riesame confermava la misura e l’indagato proponeva ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. Violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza: La difesa lamentava che l’acquisizione generalizzata di materiale informatico, con l’uso di oltre 90 parole chiave a fronte delle sole 7 indicate nel decreto, fosse sproporzionata e avesse un carattere meramente esplorativo. Si contestava inoltre la durata delle operazioni di analisi dei dati.
2. Inefficacia della misura per vizi procedurali: Si eccepiva la mancata trasmissione al Tribunale del Riesame di atti fondamentali, come i decreti autorizzativi delle intercettazioni e le relative conversazioni, che a dire della difesa erano alla base dell’ipotesi accusatoria. Tale omissione avrebbe impedito un controllo effettivo sulla legittimità del provvedimento.

Il Sequestro Informatico e i Principi di Proporzionalità

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso. I giudici hanno chiarito che il decreto di sequestro era sufficientemente motivato, in quanto circoscriveva l’oggetto della ricerca a documenti e comunicazioni telematiche “idonee ad accertare chi possa avere diffuso o propalato le notizie” relative al reato contestato.

La Corte ha inoltre valorizzato le modalità concrete di esecuzione della misura, ritenendole conformi alla giurisprudenza più recente in materia di sequestro informatico:

* Creazione di una copia forense: Agli inquirenti è consentito creare una copia integrale dei dati contenuti nei dispositivi (cd. copia forense).
* Immediata restituzione dei dispositivi: Gli apparecchi originali (smartphone, PC, tablet) sono stati immediatamente restituiti all’indagato, minimizzando il pregiudizio.
* Ricerca mirata: L’analisi investigativa non è stata condotta indiscriminatamente, ma è avvenuta sulla copia forense utilizzando parole chiave specifiche, ritenute “calibrate” e puntuali rispetto all’ipotesi di reato.

Secondo la Corte, questa procedura rispetta i canoni di adeguatezza e proporzionalità, in quanto il vincolo sui dati viene limitato al tempo strettamente necessario per l’estrazione delle informazioni pertinenti, evitando perquisizioni “a strascico”.

La Trasmissione degli Atti al Tribunale del Riesame

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato in materia di misure cautelari reali (come il sequestro). A differenza di quanto previsto per le misure cautelari personali (es. arresti), non esiste un termine perentorio per la trasmissione di tutti gli atti al Tribunale del Riesame.

L’omessa trasmissione di alcuni documenti, come i decreti di intercettazione, non determina automaticamente l’inefficacia del sequestro. Tale omissione potrebbe, al più, rendere inutilizzabili gli esiti delle intercettazioni, ma solo a una precisa condizione: che la difesa dell’indagato abbia presentato una specifica e tempestiva richiesta di acquisizione di tali atti.

Nel caso di specie, la difesa si era limitata a lamentare la mancanza dei documenti nel fascicolo, senza però formulare una richiesta formale per la loro integrazione. La Corte ha sottolineato che non è compito del Tribunale agire d’ufficio per completare gli atti, ma è onere della parte che eccepisce la carenza attivarsi per richiederli. In assenza di tale richiesta, la doglianza è stata ritenuta infondata.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su un’interpretazione equilibrata delle norme procedurali. Riguardo al primo punto, ha stabilito che la legittimità di un sequestro informatico non si valuta solo sul numero di parole chiave, ma sulla coerenza tra l’oggetto della ricerca e il reato contestato, e sulle cautele adottate per limitare l’invasività della misura. La procedura di copia forense con successiva restituzione dei supporti originali è stata considerata una prassi virtuosa che contempera le esigenze investigative con i diritti dell’indagato. Eventuali doglianze sulla durata dell’analisi o sul numero di parole chiave sono state qualificate come censure di merito, non ammissibili in sede di legittimità se la motivazione del giudice del riesame non è palesemente illogica o assente.

Sul secondo punto, la Corte ha posto l’accento sulla differenza tra il regime delle misure cautelari reali e quello delle misure personali. Per il sequestro, il termine per la trasmissione degli atti è meramente ordinatorio. La conseguenza è che la difesa assume un ruolo attivo: non può limitarsi a una critica passiva sulla completezza del fascicolo, ma deve attivarsi con una richiesta esplicita di acquisizione degli atti mancanti per consentire al giudice un controllo pieno. In mancanza, l’eccezione non può essere accolta.

Le Conclusioni

La sentenza n. 10454/2024 offre due importanti indicazioni operative. In primo luogo, consolida un approccio procedurale al sequestro informatico che, attraverso la tecnica della copia forense e della ricerca mirata, viene ritenuto rispettoso dei principi di proporzionalità. In secondo luogo, chiarisce in modo netto gli oneri della difesa nel procedimento di riesame: per contestare efficacemente un provvedimento sulla base di un fascicolo incompleto, è indispensabile una richiesta formale di integrazione documentale. Questa pronuncia rappresenta, quindi, un punto di riferimento fondamentale per operatori del diritto e cittadini, delineando con maggiore chiarezza i confini tra un’indagine efficace e la tutela dei diritti nell’era digitale.

Un sequestro informatico che acquisisce tutti i dati di un dispositivo è sempre sproporzionato?
No. Secondo la Corte, l’acquisizione di una copia forense integrale dei dati è legittima se seguita dall’immediata restituzione del dispositivo all’indagato e se la successiva analisi sulla copia viene effettuata tramite parole chiave specifiche e pertinenti al reato, limitando così la ricerca alle sole informazioni di interesse investigativo.

Cosa succede se la Procura non trasmette tutti gli atti al Tribunale del Riesame, inclusi i decreti di intercettazione?
La mancata trasmissione non comporta l’inefficacia automatica del sequestro. A differenza delle misure personali, i termini per la trasmissione degli atti sono ordinatori. La misura può essere invalidata solo se la difesa dell’indagato presenta una specifica e tempestiva richiesta di acquisizione dei documenti mancanti e questa non viene accolta, impedendo un controllo effettivo sulla legittimità.

La lunga durata delle operazioni di analisi dei dati informatici rende illegittimo il sequestro?
Non necessariamente. La Corte afferma che la ragionevole durata delle operazioni tecniche deve essere valutata in base alle difficoltà concrete, come la complessità dei dati e l’eventuale mancata collaborazione dell’indagato (es. se non fornisce le password). La mera durata, se giustificata da esigenze tecniche, non costituisce di per sé un fattore di illegittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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