Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35353 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35353 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME;
COGNOME NOME;
avverso l’ordinanza del 6 febbraio 2024 del Tribunale di Ravenna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME e l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata in relazione alla posizione della società RAGIONE_SOCIALE;
udito l’AVV_NOTAIO nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto dei ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 febbraio 2024, il Tribunale di Ravenna, in accoglimento degli appelli proposti dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE, ha annullato il provvedimento di dissequestro dell’immobile ubicato nel Comune di Cervia ed identificato catastalmente al foglio 36, p.11a 479, sub. 3, emesso il 30 ottobre 2023 dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Ravenna, disponendo, in relazione alle ipotesi di reato contestate nel capo d’imputazione cautelare (artt. 624 bis e 633 cod. pen.), il ripristino del sequestro preventivo originariamente disposto dal Giudice per le indagini preliminari.
Ricorrono per cassazione la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME (amministratore della società fallita), articolando quattro motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo deduce, sotto il profilo dell’inosservanza di norma processuale (in relazione agli artt. 568, commi 3 e 4, e 591, comma 1 lett. A, cod. proc. pen.), il difetto di legittimazione tanto della RAGIONE_SOCIALE, quanto del curatore, in quanto entrambi non avrebbero diritto alla restituzione del bene, dovendo questo, in caso di accoglimento del ricorso, tornare nella disponibilità del Pubblico Ministero.
2.2. Il secondo lamenta il rigetto dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore.
2.3. Il terzo ed il quarto, in ultimo, deducono, sotto i profili dell’inosservanza di norma processuale (in relazione all’art. 324, comma 8, cod. proc. pen.) e del vizio di motivazione, che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, non sussisterebbe alcuna contestazione in merito alla proprietà dell’immobile oggetto della misura reale.
Il 14 giugno 2024 e il 24 giugno 2024, rispettivamente, l’AVV_NOTAIO, nell’interesse della curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE, e l’AVV_NOTAIO, nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, hanno depositato una memoria difensiva con la quale hanno chiesto dichìararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La valutazione delle censure sollevate dai ricorrenti impone la perimetrazione del contesto fattuale all’interno del quale si inserisce la misura reale originariamente disposta dal Giudice per le indagini preliminari e, successivamente, ripristinata dal Tribunale con l’ordinanza impugnata.
Il 5 ottobre 2020, la società RAGIONE_SOCIALE concedeva in comodato, alla RAGIONE_SOCIALE, l’uso del fabbricato sito a CerviaINDIRIZZO. Dichiarato il fallimento della RAGIONE_SOCIALE, a 17 marzo 2022, il curatore, nonostante le rimostranze manifestate dalla RAGIONE_SOCIALE, apponeva i sigilli agli accessi dei locali, sostituendo le serrature degli ingressi.
RAGIONE_SOCIALE chiedeva ripetutamente la restituzione dell’immobile, ma le plurime istanze da questa presentate venivano tutte rigettate e, all’udienza del 20 giugno 2022, rinunciava ad ogni pretesa sull’immobile, impegnandosi a prelevare, entro la fine di luglio 2022, a propria cura e spese, i campioni e le collezioni di abbigliamento presenti all’interno.
Il 30 agosto 2022, il personale di vigilanza dell’immobile (incaricato dal curatore) segnalava (chiedendo l’intervento dei carabinieri) che alcune persone, tra le quali NOME COGNOME (rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE), adducendo di essere state a ciò autorizzate, avevano fatto ingresso nel capannone e, dopo circa mezz’ora, ne erano usciti portando via il case di un personal computer; nell’immediatezza veniva constatata la rimozione dei sigilli e la sostituzione della serratura d’ingresso.
Analoghe condotte venivano segnalate il 31 agosto 2022, il 7 e il 15 settembre 2022. Cosicché, su richiesta della stessa curatela, con decreto del 12 maggio 2023, veniva disposto il sequestro preventivo dell’immobile, successivamente confermato, il 29 giugno 2023, dal Tribunale distrettuale.
Disposto, inizialmente, il dissequestro dei soli capi d’abbigliamento presenti all’interno dell’immobile, I’ll ottobre 2023, su istanza della RAGIONE_SOCIALE, qualificatasi come terza interessata, il Pubblico Ministero disponeva il dissequestro anche dell’intero immobile, decreto, successivamente, annullato dal Tribunale distrettuale con l’ordinanza impugnata.
Ricostruito in questi termini il contesto fattuale all’interno del quale si inserisce la misura reale in esame, questo Collegio ritiene, anticipando le conclusioni, che entrambi i ricorsi siano inammissibili.
Va premesso che l’art. 322-bis cod. proc. pen., nel disciplinare l’appello avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo, procedura sulla quale si è innestato il ricorso in discussione, indica, quali soggetti legittimati a proporre l’impugnazione, oltre al pubblico ministero, all’imputato e al difensore di questi, anche “la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione”; una disposizione, questa, peraltro già dettata nel precedente art. 322, in materia di riesame del decreto di sequestro preventivo, e puntualmente riportata nel successivo art. 325, a proposito del ricorso per cassazione avverso le ordinanze che decidono nelle procedure di riesame e di appello.
Ora, se la “persona alla quale le cose sono state sequestrate” è testualmente identificata in base ad una circostanza di fatto, la “persona che avrebbe diritto alla loro restituzione” è categoria concettuale che viene individuata, nell’interpretazione che a tale nozione è stata data in sede giurisprudenziale, in forza dell’esistenza di un rapporto di fatto della persona con il bene, tale da generare una situazione giuridica soggettiva autonoma del soggetto rispetto al bene, tutelata
dall’ordinamento (Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019, Fall. Mantova Petroli, Rv. 277257; condizioni, queste, riconosciute in fattispecie di possesso o detenzione qualificata, come nei casi del conduttore di un immobile (Sez. 3, n. 26196 del 12 22/04/2010, Vicidomini, Rv. 247693) o del promissario acquirente già immesso nel possesso del bene (Sez. 3, n. 42918 del 22/10/2009, Soto, Rv. 245222).
Ebbene, rispetto ai beni del fallimento, se una disponibilità rispondente a queste caratteristiche è senza dubbio esistente in capo al curatore, divenendo, quest’ultimo, nella sua funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento, detentore qualificato dei beni (Sez. 2 civ., n. 16853 del 11/08/2005, Rv. 585055) e, quindi avente diritto alla loro restituzione (Sez. U, n. 45936, cit.), tale medesima disponibilità non può riconoscersi, in concreto, né in capo alla RAGIONE_SOCIALE, né al Moschino.
Non alla RAGIONE_SOCIALE (che, peraltro, ha rinunciato ad ogni pretesa sull’immobile), in quanto il fallimento del comodante, pronunciato dopo la stipulazione del relativo contratto, genera l’obbligo del comodatario di restituire immediatamente, alla curatela (che lo richieda), il bene oggetto del contratto stesso (Sez. 1 civ., n. 27938 del 31/10/2018, Rv. 651330); non al COGNOME, che, nella sua qualità di rappresentante della società fallita, ha perso, con il fallimento, ai sensi dell’art. 42 I. fall., ogni disponibilità del bene appreso dalla curatela.
Entrambi i ricorrenti, quindi, non avendo diritto alla restituzione del bene oggetto di sequestro, non possono ritenersi legittimati ad impugnare il relativo provvedimento. E il rilevato difetto di legittimazione assorbe ogni censura prospettata con i ricorsi proposti.
I ricorsi, quindi, devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 luglio 2024
Il Consigl re estensore