Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25918 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25918 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LUSHNJE (ALBANIA) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/01/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17 gennaio 2024, la Corte di appello di Torino, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di restituzione della somma di C 34.785,45 sottoposta a sequestro conservativo a seguito di un’ordinanza emessa il 4 novembre 2008 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Torino i nell’ambito di un procedimento a carico di NOME COGNOME, imputato per violazioni degli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.
Per miglior comprensione della vicenda si deve subito chiarire che NOME è stato condannato a pena detentiva (anni otto, mesi uno e giorni dieci di reclusione) con sentenza della Corte di appello di Torino del 27 aprile 2010, confermata dalla Prima Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 47673 del 24 novembre 2011. Nel caso di specie, dunque, il sequestro conservativo (previsto all’epoca anche a garanzia del pagamento della pena pecuniaria), garantiva solo il pagamento delle spese del procedimento e di quelle di mantenimento in carcere.
L’istanza volta ad ottenere la restituzione della somma in sequestro è stata proposta in data 10 ottobre 2023 e la Corte di appello l’ha respinta facendo applicazione dell’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. Ha sostenuto, infatti, che la restituzione avrebbe dovuto essere chiesta nei cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna e che la somma in sequestro, non essendo stata confiscata né reclamata dall’avente diritto, è ormai devoluta allo Stato.
Contro il provvedimento di rigetto dell’istanza, NOME ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del difensore munito di procura speciale.
Con RAGIONE_SOCIALE motivo, articolato in più punti, il ricorrente deduce: inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 262, comma 3 bis; e 320 cod. proc. pen.; mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
La difesa osserva che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, le competenti amministrazioni avrebbero dovuto provvedere alla liquidazione del credito per consentire, ai sensi dell’art. 320 cod. proc. pen., la conversione del sequestro in pignoramento e la restituzione all’avente diritto dell’eventuale somma eccedente, ma ciò non è avvenuto. Riferisce inoltre: che COGNOME si è attivato chiedendo alla Corte di appello di procedere alla liquidazione delle spese processuali e, a seguito di questa iniziativa, le spese sono state quantificate in C 58,89 e inserite nella partita di credito n. 198/16, al pagamento della quale il ricorrente ha provveduto in data 3 maggio 2016; che, terminata la detenzione (nel febbraio/marzo 2019), COGNOME ha atteso invano la quantificazione delle somme dovute all’Amministrazione penitenziaria per le spese di
mantenimento in carcere ed è per questo che, solo in data 10 ottobre 2023, ha proposto l’istanza di restituzione.
Tanto premesso il difensore del ricorrente sviluppa le seguenti argomentazioni:
l’istanza è stata proposta al giudice dell’esecuzione e non al giudice civile perché, non essendovi un credito certo, liquido ed esigibile, il sequestro non si era convertito in pignoramento;
facendo applicazione dell’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen., la Corte di appello è incorsa in errore di diritto, atteso che questa norma non si applica a qualunque tipo di sequestro, ma soltanto al sequestro probatorio;
il sequestro conservativo a garanzia dei crediti vantati dallo Stato nei confronti del condannato non è funzionale a una successiva confisca e ciò rende evidente che, in questo caso, l’art. 262, comma 3 bis cod. proc. pen. non può / trovare applicazione;
l’inerzia dello Stato, mai attivatosi per determinare il proprio credito, non può riverberarsi in danno dell’interessato il quale mantiene il diritto alla restituzione della somma eccedente rispetto a quella dovuta;
sarebbe incongruo, rispetto a un credito dello Stato soggetto a prescrizione decennale e ancora non quantificato, ritenere che, decorsi cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza, la somma sequestrata a garanzia di quel credito sia devoluta all’erario.
A sostegno di tali conclusioni la difesa osserva che, se il sequestro conservativo fosse stato disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato, per giurisprudenza costante, avrebbe potuto convertirsi in pignoramento solo al passaggio in giudicato della sentenza del giudice civile contenente la liquidazione del danno e una tal sentenza ben può intervenire più di cinque anni dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Se l’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. fosse applicabile al sequestro conservativo, dunque, la parte civile potrebbe veder pregiudicate le proprie ragioni solo perché la liquidazione del danno non è stata tempestiva. Ogni somma sequestrata, infatti, decorsi cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna sarebbe devoluta allo Stato e ogniqualvolta, nei cinque anni, non sia stato possibile convertire il sequestro in pignoramento, tra le somme devolute allo Stato vi sarebbero anche quelle sottoposte a sequestro conservativo a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato.
Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata e osservando che non è precluso al giudice dell’esecuzione «operare la determinazione delle somme da
destinare alla soddisfazione del credito garantito per il quale è stato mantenuto il vincolo».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Dalla lettura dell’ordinanza impugnata e dell’atto di ricorso emerge che NOME COGNOME, è stato imputato in un processo per violazione degli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, che si è concluso con sentenza irrevocabile di condanna. Con provvedimento del 4 novembre 2008 / il Giudice per l’udienza preliminare, di fronte al quale era in corso il giudizio abbreviato, su richiesta de Pubblico Ministero, dispose il sequestro conservativo della somma di € 34.785,45, rinvenuta sul conto corrente n. 1028 intestato all’imputato (somma che era stata sottoposta a sequestro preventivo poi revocato). Il sequestro conservativo fu disposto «a garanzia del pagamento della pena pecuniaria» e il provvedimento fu confermato dal Tribunale del riesame. Il 9 dicembre 2008, concluso il giudizio abbreviato, essendo stata ritenuta la continuazione tra i reati e più grave quello di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 (che non prevede pena pecuniaria), NOME fu condannato a pena detentiva e, per mezzo dei difensori, chiese la revoca del sequestro conservativo. L’istanza fu respinta dal G.u.p. il quale, dato atto che era stata inflitta solo una pena detentiva e, pertanto, il sequestro non poteva essere mantenuto a garanzia del pagamento della pena pecuniaria, osservò: che COGNOME era stato condannato, «in solido con i coimputati, al pagamento delle spese processuali e a quelle relative al proprio mantenimento durante la custodia in carcere»; che il mantenimento del vincolo sulle somme in sequestro trovava ragione «nella necessità di garantire il pagamento di tali spese»; che si trattava di spese concretamente rilevanti perché, nel corso delle indagini, erano state svolte «attività di intercettazione protrattesi per un tempo non breve ed effettuate su numerose utenze» e perché l’imputato era stato sottoposto «per circa un anno» a custodia cautelare in carcere. L’impugnazione proposta di fronte al Tribunale del riesame contro l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca del sequestro conservativo fu ritenuta inammissibile. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Muovendo da queste premesse in fatto, si deve ritenere che il sequestro conservativo sia stato disposto a garanzia del pagamento delle spese di cui all’art. 205 d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nelle quali, ai sensi del comma 2 bis ) sono comprese quelle relative alle operazioni di intercettazione) e di quelle di cui all’art. 206 del medesimo decreto (spese di mantenimento dei detenuti definitivi e in stato di custodia cautelare).
3. La Corte di appello ha ritenuto applicabile anche al sequestro conservativo la disposizione di cui all’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. in base alla quale: «Trascorsi cinque anni dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione, le somme di denaro sequestrate, se non è stata disposta la confisca e nessuno ne ha chiesto la restituzione, reclamando di averne diritto, sono devolute allo Stato».
Ha sottolineato in tal senso: in primo luogo, che la disposizione in esame è una «norma di chiusura» applicabile a tutti i sequestri riguardanti somme di denaro, «che sono destinati ad alimentare il RAGIONE_SOCIALE»; in secondo luogo, che nessuna indicazione normativa espressa esclude la possibilità di applicare l’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. al sequestro conservativo, ed anzi, l’art. 262 menziona, al comma 2, «proprio il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell’art. 316».
3.1. A sostegno della tesi secondo la quale l’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. è norma di chiusura del sistema, destinata ad operare in ogni caso nel quale un sequestro abbia ad oggetto somme di denaro, l’ordinanza impugnata cita la sentenza Sez. 1, n. 51888 del 29/10/2019, COGNOME, Rv. 277919.
Questa sentenza parla in effetti, della norma in esame come di una norma «di chiusura» volta ad evitare il protrarsi del sequestro quando coloro che sarebbero interessati alla restituzione siano rimasti inerti. Nel farlo, afferma che «il termi di cinque anni entro cui, ai sensi dell’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen., le somme di denaro sottoposte a sequestro, qualora non confiscate né richieste in restituzione, sono devolute allo Stato, ha natura di termine di decadenza». Precisa, inoltre, che il diritto alla restituzione rimane assoggettato, ai sensi dell’art. 2 cod. civ., al termine di prescrizione decennale previsto per l’indebito oggettivo solo se la decadenza è impedita dalla «tempestiva presentazione dell’istanza di restituzione» o dall’adozione, «anche officiosa, di un provvedimento di dissequestro». La sentenza in esame riguarda il sequestro del controvalore di un certificato di deposito. Il sequestro fu eseguito nell’ambito di un procedimento per violazione dell’art. 367 cod. pen. definito con una sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. (divenuta irrevocabile il 19 maggio 1995) che non aveva adottato statuizione alcuna in ordine alla sorte del bene sequestrato. Il certificato di deposito non era stato confiscato e, dopo la sua scadenza, nessuno ne aveva chiesto la restituzione. Il relativo importo era stato versato alla Cassa delle ammende in esecuzione di conforme decreto, emesso dal Tribunale di Cassino il 24 ottobre 2005. Anni dopo, l’interessato aveva chiesto la restituzione della somma, dapprima all’istituto di credito che aveva emesso li certificato di deposito, poi al giudice dell’esecuzione. Si trattava, dunque, di un caso nel quale, in linea di principio, non vi sarebbero
stati dubbi sulla possibilità di applicare l’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen., e tale dubbio sorgeva perché il sequestro era stato disposto in un procedimento definito con sentenza divenuta irrevocabile nel 1995 e la norma della cui applicazione si discute è stata introdotta nel codice di rito dalla legge 24 dicembre 2007 n. 244. Questo dubbio è stato sciolto osservando che, se una norma introduce un nuovo termine di decadenza senza prevedere una apposita disciplina transitoria, l’innovazione normativa «ha efficacia generale, anche per chi avesse già acquistato il diritto poi assoggettato a limite temporale di esercizio, con l’unic differenza – sulla base del disposto dell’art. 252 disp. att. cod. civ., espressione d un principio generale dell’ordinamento – consistente nella decorrenza del termine dall’entrata in vigore della legge che lo ha introdotto (Sez. L civile, n. 13355 de 12/06/2014, Rv. 631461-01; Sez. L civile, n. 4051 del 20/02/2014, Rv. 62978701; cfr., altresì, Sez. U civili, n. 6173 del 07/03/2008, Rv. 602255-01)» (così testualmente, Sez. 1, n. 51888 del 29/10/2019, COGNOME, Rv. 277919, pag. 5 della motivazione). Si è ritenuto, dunque, che la richiesta di restituzione del denaro avrebbe dovuto essere formulata entro cinque anni dall’introduzione dell’art. 262, comma 3 bis,cod. proc. pen. e, nel caso concreto, fosse tardiva.
3.2. La sentenza citata afferma che il termine previsto dall’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen., deve essere considerato quale termine di decadenza e tale qualificazione non depone affatto in favore di una generalizzata applicazione della norma in esame e della possibilità di ritenerla operante anche in caso di sequestro conservativo. Si osserva in proposito: in primo luogo, che le norme in materia di decadenza non sono suscettibili di interpretazione estensiva; in secondo luogo, che il termine di decadenza di cui si tratta inizia a decorrere dalla pronuncia della sentenza non più soggetta ad impugnazione, ma soltanto se «non è stata disposta la confisca delle somme in sequestro» e «nessuno ne ha chiesto la restituzione reclamando di averne diritto». La disposizione in esame, dunque, opera solo se può essere disposta la confisca del denaro e dello stesso può essere chiesta la restituzione, ma le somme sottoposte a sequestro conservativo non sono soggette a confisca.
Chiamata a decidere in un caso in cui l’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. era stato applicato con riferimento a denaro sottoposto a sequestro preventivo, la Prima Sezione penale di questa Corte ha affermato che «non può riconoscersi giuridica cittadinanza all’applicazione dell’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. al di fuori della sedes materiae» che è quella propria del sequestro probatorio. Ha sottolineato in tal senso «che il disposto dell’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. trova applicazione nella materia del sequestro probatorio e non anche in quella, autonoma e distinta, del sequestro preventivo, la cui perdita di
efficacia è regolata dall’art. 323 cod. proc. pen., imperniata sulla richiamata alternativa tra confisca e restituzione all’avente diritto», che trova unica eccezione al comma 4, per il caso in cui, pur in assenza di confisca, il giudice disponga la conversione del sequestro preventivo in sequestro conservativo (Sez. 1, n. 6751 del 25/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284064, pag. 3 della motivazione).
Principi analoghi sono applicabili alla materia del sequestro conservativo i cui effetti cessano, ai sensi dell’art. 317, comma 4, cod. proc. pen. «quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non è più soggetta a impugnazione», ma permangono quando a non essere più soggetta ad impugnazione è una sentenza di condanna. In questo caso, il giudice non deve disporre la confisca dei beni né ordinarne la restituzione all’avente diritto perché con la pronuncia della sentenza di condanna l’esigenza sottesa all’apposizione del vincolo non viene meno, anzi si rafforza.
Una significativa conferma in tal senso può trarsi proprio dalla lettura dell’art. 262, comma 2, cod. proc. pen. secondo il quale l’alternativa tra la confisca e la restituzione all’avente diritto di quanto in sequestro viene meno «se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all’imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell’art. 316». Ed invero, diversamente da quanto sostenuto nell’ordinanza impugnata, lungi dal dimostrare che l’art. 262, comma 3 bis, cod. proc. pen. riguarda anche i casi di sequestro conservativo, questa norma chiarisce che, quando questo sequestro è disposto, la disciplina del sequestro probatorio non ha più applicazione e, dunque, non deve più procedersi alla confisca o alla restituzione, ma si applicano gli artt. 316 e ss. cod. proc. pen
Come noto, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, il sequestro conservativo non può più essere disposto a garanzia del pagamento della pena pecuniaria ed è previsto solo: a garanzia del pagamento «delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato» (art. 316, comma 1); a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato (art. 316, comma 2); in alcuni casi di omicidio, a garanzia del risarcimento dei danni subiti dai figli delle vittime (art. 316, comma 1 bis).
Ai sensi dell’art. 320, comma 1, cod. proc. pen. «il sequestro conservativo si converte in pignoramento quando diventa esecutiva la sentenza che condanna l’imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile». Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, questo presuppone «che la pronuncia costituisca un titolo esecutivo, per avere accertato un credito certo, liquido ed esigibile, sicché, nel caso di condanna generica, la predetta conversione opera solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza
del giudice civile che abbia proceduto alla liquidazione del danno» (Sez. 1, n. 6751 del 25/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284064; Sez. 4, n. 9851 del 19/01/2015, COGNOME, Rv. 262439; Sez. 6, n. 42698 del 10/07/2008, COGNOME, Rv. 242806).
È coerente con questa impostazione l’affermazione secondo la quale «il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, o di applicazione pena su richiesta delle parti, che contenga statuizioni già esecutive in ordine al credito garantito dalla misura cautelare, determina l’automatica conversione dello stesso in pignoramento» (Sez. 1, n. 34251 del 22/09/2020, COGNOME, Rv. 279999; Sez. 1, n. 22468 del 16/05/2007, COGNOME, Rv. 236796; Sez. 6, Ordinanza n. 10983 del 20/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 244173).
Nella medesima prospettiva si è affermato che, in presenza di statuizioni già esecutive, per effetto dell’automatica conversione del sequestro in pignoramento, «la competenza a giudicare domande di terzi intese a contestare il vincolo imposto sul bene è funzionalmente devoluta al giudice civile, dinanzi al quale la domanda va introdotta nelle forme dell’opposizione del terzo al pignoramento» (Sez. 1, n. 34251 del 22/09/2020, COGNOME, Rv. 279999; Sez. 5, n. 16312 del 08/02/2013, COGNOME, Rv. 255190; Sez. 1, n. 37579 del 27/06/2001, Saetta, Rv. 220118).
6. Prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, il riferimento alle statuizioni già esecutive comportava che, col passaggio in giudicato di una sentenza di condanna con la quale era stata inflitta una pena pecuniaria, il sequestro preventivo disposto a garanzia del pagamento di questa pena si convertisse in pignoramento. Con la sentenza irrevocabile, infatti, l’entità della pena pecuniaria è determinata e, di conseguenza, il credito vantato dall’erario nei confronti del condannato per il pagamento della relativa somma è certo ed è liquido. Nel vigore della normativa preesistente, tuttavia, fu opportunamente chiarito che, perché la conversione si producesse automaticamente, questo non bastava essendo necessaria anche l’esigibilità del credito. Fu precisato infatti che, in caso di condanna a pena pecuniaria condizionalmente sospesa, tale automatica conversione non poteva ritenersi operante essendo indispensabile a tal fine «l’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, che possa costituire titolo esecutivo a norma dell’art. 474 cod. proc. civ. (Sez. 1, n. 5451 del 22/11/2019, dep. 2020, Pusceddu, Rv. 278181 – pag. 6 della motivazione).
6.1. Alla luce dei principi esposti, risulta chiaro perché l’art. 320, comma 1, cod. proc. pen. non preveda l’automatica conversione in pignoramento del sequestro conservativo disposto a garanzia del pagamento «delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato» e non la prevedesse neppure prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 150/2022. La
sentenza definitiva di condanna, infatti, è il titolo sulla base del quale queste somme sono dovute, ma quando la sentenza è pronunciata, l’importo delle stesse non è noto e deve essere determinato dall’amministrazione. Ne consegue che, nel caso oggetto del presente giudizio, non può parlarsi di conversione del sequestro in pignoramento e la competenza a giudicare sulla richiesta di restituzione non è funzionalmente devoluta al giudice civile.
Per quanto esposto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Torino che dovrà decidere in ordine alla destinazione delle somme sottoposte a sequestro conservativo tenendo conto dell’entità del credito erariale.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Torino.
Così deciso il 22 maggio 2024
Il Consigtirre estensore
Il Presidente