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Sequestro conservativo: quando si ha diritto alla restituzione

Un soggetto, condannato a pena detentiva, chiedeva la restituzione di una somma sottoposta a sequestro conservativo a garanzia delle spese. La Corte di Appello respingeva la richiesta applicando la devoluzione allo Stato dopo 5 anni. La Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che la norma sulla devoluzione (art. 262, c. 3-bis c.p.p.) si applica solo al sequestro probatorio e non al sequestro conservativo, soprattutto se il credito dello Stato non è ancora liquido ed esigibile.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Restituzione somme in sequestro conservativo: la Cassazione fa chiarezza

Con la sentenza n. 25918 del 2024, la Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale della procedura penale: il destino delle somme sottoposte a sequestro conservativo. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale, distinguendo nettamente la disciplina di questa misura cautelare da quella del sequestro probatorio e chiarendo quando l’interessato ha diritto alla restituzione dei beni, anche a distanza di anni dalla condanna definitiva.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un procedimento penale per reati in materia di stupefacenti. Nel 2008, il Giudice per l’udienza preliminare disponeva il sequestro conservativo di una somma di circa 35.000 euro su un conto corrente dell’imputato. La condanna, divenuta irrevocabile nel 2011, prevedeva una pena detentiva ma non una pena pecuniaria. Di conseguenza, il sequestro veniva mantenuto non più a garanzia di una sanzione monetaria, ma per assicurare il pagamento delle spese di procedimento e di mantenimento in carcere.

L’interessato, dopo aver saldato le spese processuali nel 2016 e aver terminato di scontare la pena nel 2019, presentava istanza di restituzione della somma residua nel 2023. La Corte di Appello di Torino respingeva la richiesta, sostenendo che, essendo trascorsi più di cinque anni dalla sentenza irrevocabile senza che nessuno avesse reclamato la somma, questa dovesse essere devoluta allo Stato, in applicazione dell’art. 262, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

La decisione della Corte di Cassazione sul sequestro conservativo

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’imputato, annullando con rinvio l’ordinanza della Corte di Appello. Il cuore della decisione risiede nella netta distinzione tra le diverse tipologie di sequestro previste dal nostro ordinamento. I giudici di legittimità hanno stabilito che l’art. 262, comma 3-bis, c.p.p. – che prevede la devoluzione allo Stato delle somme non reclamate entro cinque anni – si applica esclusivamente al sequestro probatorio e non può essere esteso analogicamente al sequestro conservativo.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi principali.

La non applicabilità dell’art. 262, comma 3-bis c.p.p. al sequestro conservativo

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che la norma sulla devoluzione è inserita nel titolo del codice dedicato al sequestro probatorio, la cui finalità è l’accertamento dei fatti. Il sequestro conservativo, invece, ha una funzione di garanzia patrimoniale per i crediti dello Stato o delle parti civili. Le due misure hanno presupposti e discipline diverse.

Applicare la norma sulla devoluzione al sequestro conservativo sarebbe un’interpretazione estensiva non consentita per norme che prevedono una decadenza. Con la sentenza di condanna, la finalità del sequestro conservativo non viene meno, ma anzi si rafforza, in attesa che i crediti garantiti vengano liquidati.

La conversione in pignoramento e la necessità di un credito liquido

In secondo luogo, la Corte ha chiarito le condizioni per la conversione del sequestro in pignoramento, disciplinata dall’art. 320 c.p.p. Tale conversione non è sempre automatica con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. È necessario che la sentenza costituisca un titolo esecutivo per un credito certo, liquido ed esigibile.

Nel caso di specie, il credito dello Stato per le spese di mantenimento in carcere, pur trovando il suo titolo nella sentenza di condanna, non era liquido. Il suo ammontare non era specificato nella sentenza e doveva essere ancora determinato dalla competente amministrazione. In assenza di liquidità del credito, il sequestro non poteva convertirsi in pignoramento e, di conseguenza, la competenza a decidere sulla restituzione rimaneva al giudice dell’esecuzione penale e non si trasferiva al giudice civile.

Conclusioni

La sentenza in esame offre un importante chiarimento: la regola della devoluzione allo Stato dopo cinque anni non si applica alle somme vincolate da sequestro conservativo. L’inerzia dello Stato nel quantificare il proprio credito non può andare a detrimento del diritto dell’interessato alla restituzione dell’eccedenza. La Corte di Cassazione ha quindi riaffermato che il diritto alla restituzione delle somme sequestrate sussiste finché il credito garantito non viene precisamente quantificato e soddisfatto, senza che possano operare termini di decadenza previsti per altre tipologie di sequestro.

La regola della devoluzione allo Stato dopo cinque anni si applica al sequestro conservativo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la norma dell’art. 262, comma 3-bis, c.p.p., che prevede la devoluzione allo Stato delle somme sequestrate e non reclamate entro cinque anni dalla sentenza irrevocabile, si applica solo al sequestro probatorio e non può essere estesa al sequestro conservativo.

Quando un sequestro conservativo si converte in pignoramento?
Il sequestro conservativo si converte in pignoramento quando la sentenza di condanna che garantisce diventa esecutiva e accerta un credito certo, liquido ed esigibile. Se il credito, come le spese di mantenimento in carcere, non è ancora quantificato nel suo ammontare (quindi non è liquido), la conversione automatica non avviene.

Cosa succede se lo Stato non quantifica il proprio credito (es. spese di mantenimento in carcere) garantito dal sequestro?
L’inerzia dello Stato nel determinare l’importo esatto del proprio credito non può pregiudicare il diritto della persona interessata alla restituzione delle somme sequestrate in eccedenza. La competenza a decidere sulla richiesta di restituzione rimane del giudice dell’esecuzione penale, che dovrà tener conto dell’entità del credito erariale una volta che sarà stato determinato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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