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Sequestro conservativo: conversione dopo proscioglimento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22657/2024, ha stabilito che un’ordinanza che, dopo un proscioglimento, revoca la restituzione di beni e li destina a garanzia di crediti erariali attraverso un sequestro conservativo non è un atto abnorme. La Corte ha chiarito che il rimedio corretto per impugnare tale provvedimento non è il ricorso per cassazione, bensì l’appello ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p. Di conseguenza, il ricorso è stato riqualificato come appello e gli atti sono stati trasmessi al Tribunale competente.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro conservativo per crediti erariali: la Cassazione fa chiarezza

L’ordinanza n. 22657 del 2024 della Corte di Cassazione offre un’importante delucidazione sui meccanismi di tutela dei crediti erariali nel contesto di un procedimento penale concluso con un proscioglimento. La decisione verte sulla possibilità di convertire un sequestro preventivo in sequestro conservativo e sui corretti strumenti di impugnazione a disposizione della difesa.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una vicenda processuale complessa. Un imputato, dopo essere stato prosciolto da tutte le accuse con sentenza, otteneva dal Tribunale di Milano un’ordinanza di restituzione di una cospicua somma di denaro (circa 127.000 euro) precedentemente sottoposta a sequestro.

Tuttavia, su richiesta del Pubblico Ministero, lo stesso Tribunale revocava la precedente ordinanza di restituzione. La motivazione era la necessità di garantire ingenti crediti erariali (oltre 12 milioni di euro) vantati dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione nei confronti dell’imputato. Le somme, quindi, venivano assegnate all’ente di riscossione.

La difesa dell’imputato proponeva ricorso per cassazione avverso questo secondo provvedimento, sostenendone l'”abnormità”: a suo dire, una volta emessa la sentenza di proscioglimento, il giudice penale non avrebbe avuto altro potere se non quello di restituire i beni sequestrati, come previsto dall’art. 323, comma 1, del codice di procedura penale.

Il percorso del sequestro conservativo secondo la Corte

La Suprema Corte ha rigettato la tesi dell’abnormità del provvedimento. Secondo gli Ermellini, l’ordinanza del Tribunale di Milano, sebbene avesse revocato una precedente decisione, non si collocava al di fuori del sistema normativo. Al contrario, trovava un suo potenziale fondamento nell’articolo 323, comma 4, del codice di procedura penale.

Questa norma prevede espressamente che, anche in caso di proscioglimento, la restituzione dei beni sequestrati possa essere negata se il giudice, su richiesta del PM o della parte civile, dispone il mantenimento del vincolo a garanzia dei crediti erariali, convertendo di fatto il sequestro preventivo in sequestro conservativo ai sensi dell’art. 316 c.p.p.

L’impugnazione corretta: non ricorso ma appello

Sulla base di questa premessa, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema del corretto rimedio processuale. Esclusa l’abnormità dell’atto, veniva meno il presupposto per un ricorso diretto in Cassazione.

La Corte ha stabilito che lo strumento corretto per contestare un’ordinanza in materia di misure cautelari reali, come quella in esame, è l’appello previsto dall’articolo 322-bis del codice di procedura penale. Questo articolo costituisce un rimedio a carattere generale per tutti i provvedimenti in materia, diversi da quello impositivo iniziale.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa interpretazione sistematica delle norme processuali. In primo luogo, si nega l’abnormità dell’atto perché il giudice ha agito nell’ambito dei poteri conferitigli dalla legge (artt. 316 e 323, comma 4, c.p.p.), seguendo un percorso normativo previsto per la conversione del sequestro a tutela di crediti erariali. Sebbene la decisione potesse essere errata nel merito, non era estranea al sistema processuale.

In secondo luogo, si identifica nell’appello ex art. 322-bis c.p.p. il mezzo di impugnazione specifico e adeguato, in linea con un orientamento consolidato (richiamando le sentenze Sez. 6, n. 2337/2015 e Sez. Un., n. 48126/2017). Questo rimedio consente una revisione completa del provvedimento da parte del tribunale competente per le impugnazioni cautelari.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha qualificato il ricorso proposto dalla difesa come appello, ai sensi del principio generale di conservazione degli atti processuali (art. 568, comma 5, c.p.p.). Di conseguenza, ha disposto la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’appello, affinché decida nel merito l’impugnazione. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la scelta del corretto mezzo di impugnazione è cruciale e un errore può portare a una decisione di inammissibilità o, come in questo caso, a una riqualificazione dell’atto con conseguente rinvio al giudice competente.

Dopo un proscioglimento, i beni sequestrati devono essere sempre restituiti all’imputato?
No. Secondo l’art. 323, comma 4, c.p.p., la restituzione non è ordinata se il giudice, su richiesta del Pubblico Ministero o della parte civile, dispone che sulle cose sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti erariali, convertendolo in un sequestro conservativo.

Un’ordinanza che assegna beni sequestrati a un creditore erariale dopo un proscioglimento è un atto “abnorme”?
No, secondo la Corte di Cassazione non è un atto abnorme. Questo perché la procedura di conversione da sequestro preventivo a sequestro conservativo per la tutela di crediti erariali è prevista dalla disciplina processuale, in particolare dagli articoli 316 e 323, comma 4, del codice di procedura penale.

Qual è il rimedio corretto contro un’ordinanza che converte un sequestro preventivo in sequestro conservativo?
Il rimedio corretto non è il ricorso diretto per cassazione, ma l’appello ai sensi dell’art. 322-bis del codice di procedura penale. Questo è considerato il rimedio di carattere generale per tutti i provvedimenti in materia di misure cautelari reali diversi da quello impositivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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